Fill

Nell’aria sopra di lui nuotavano balene, si stagliavano bianche contro il crepuscolo blu scuro. Neve spessa e polverosa, ideale per le proiezioni luminose. La rudimentale Intelligenza Artificiale rimbalzò sulla forma di una bambina e si mise a nuotarle intorno. Fill si sentì stranamente abbandonato. Quando aveva la sua età credeva che le proiezioni sulla neve amassero lui e lui soltanto.

Alle sue spalle, i leoni marini ruggirono.

Caricò l’ultimo episodio di CITTÀ SENZA UNA MAPPA, trasmissione in mandarino. Non gli piacevano quelle registrate in lingue che non parlava. Il suo impianto aveva il software di traduzione più avanzato – riproduceva alla perfezione la voce del parlante – ma qualcosa non sopravviveva alla transizione. Nessuna macchina poteva eguagliare la sincerità, la fame, dei Lettori originali.

Fill sentì l’umidità raccogliersi nei suoi vestiti. Il fatto che succedesse così di rado era un segno del suo privilegio. I ricchi potevano avere nelle loro pareti costosi deumidificatori e grate di polimeri di sale per aiutare a togliere l’onnipresente umidità. Chiunque altro a Qaanaaq doveva semplicemente sopportare di essere perennemente bagnato. Di avere l’eczema. Di avere qualcosa di peggio.

La bambina urlò di gioia mentre le balene si combinarono in un tirannosauro e iniziarono a inseguirla.

Quando sarò morto, le proiezioni sulla neve saranno ancora qui. Tutta la città continuerà a funzionare.

Fill aveva passato tutta la vita a credere che la città gli appartenesse. Dopo un certo momento aveva iniziato a credere che forse fosse l’opposto, ma si sbagliava comunque. A Qaanaaq non importava niente di lui, Qaanaaq non lo vedeva, non lo conosceva, e niente sarebbe cambiato una volta che l’avessero infilato nel suo involucro di plastica reso più pesante dal sale e gettato nel mare alla fine del suo Braccio. Osservò le acque agitarsi. L’acqua che l’avrebbe ingoiato.

– Fill, – disse una voce arrugginita e familiare, e poi si ritrovò stretto in un abbraccio.

– Nonno.

Si lasciò andare in quell’abbraccio. Incredibilmente forte. Fill sapeva che suo nonno era mortale quanto gli altri uomini, ma non riusciva a immaginare malattie o armi che potessero scalfirlo.

– Adori ancora i leoni marini, – osservò il vecchio.

– Certo, – disse Fill, consapevole per la prima volta dell’espressione rapita sul suo viso, mentre osservava i pontili dove i giganteschi mammiferi si dimenavano, riposavano e ruggivano.

Ma non li adorava da sempre. C’era stato un tempo in cui li aveva considerati delle cose da bambini, in cui non gli interessavano proprio. Ci passavano tutti i ragazzi, pensò, ma quand’è che era passato al lato opposto? Quando era diventato adulto abbastanza da arrendersi alla gioia infantile? Ancora una volta fu sopraffatto da una sensazione angosciante: il sospetto che ciò che provava non gli appartenesse. Un brivido insalubre gli percorse la lunghezza della schiena, amplificandosi sempre di più, fino a scuotergli le spalle e chiudergli i denti in uno schiocco netto sulla lingua.

– Tutto a posto? – chiese suo nonno sentendolo trasalire, toccandogli la manica.

Fill inghiottì il sangue. – Certo. Ho solo freddo, tutto qui.

– Vuoi che entriamo?

– No. Mi piace.

Che cosa penserebbe, il mio caro vecchio nonno, se sapesse che ho il frantumo? La macchia oscena del povero? Sorriderebbe educatamente, se ne andrebbe, correrebbe a casa, brucerebbe i suoi vestiti, taglierebbe ogni ponte? Cosa pensa quando li vede, i malati e i morenti, gli uomini e le donne accalcati sul reticolo, sul punto di liberarsi dei propri corpi? Li schernisce? Li incolpa per le loro decisioni? Riesce a vederli?

– E come stai tu, davvero, nonno? – chiese Fill. – Come impegni le giornate di questi tempi?

– Gestisco il mio impero, – rispose con una risata cupa.

– Pensavo che avessi chi lo fa al posto tuo.

– È vero… diciamo che impegno le giornate a supervisionare le persone che gestiscono il mio impero.

– Sembra noioso.

– Magari lo fosse.

– Cosa succede?

Suo nonno guardò a lungo i leoni marini. Poi sembrò arrivare a prendere una qualche decisione tra sé e sé. – Sono sotto attacco. Niente che non sia in grado di gestire, ma è comunque fastidioso. Una boss della malavita si sta montando la testa. Capita. Vuole qualcosa di più della nicchia che si è ritagliata e se la prende con un azionista.

– E cosa si fa in una situazione del genere?

– Si prende tempo, di solito. La gente prima o poi si stanca di lanciare sassi contro un muro di mattoni.

– Siete davvero così invincibili?

– Nessuno lo è. Ma abbiamo messo in piedi questa città. Tutto gioca a nostro favore. Abbiamo solo bisogno di pazienza – di un viaggetto, magari, se la situazione si complica, o di un periodo di residenza protetta in una delle suite più comode del Ripostiglio.

– Allora quella leggenda metropolitana è vera? Che il Ripostiglio ha stanze di lusso per nascondere i VIP, oltre ai reparti affollati pieni di pazzi urlanti?

– Verissimo. Il vecchio si osservò le mani. – Certo, di tanto in tanto capita che un azionista impazzisca un pochino. Che risponda alla violenza con la violenza; che ammazzi i suoi nemici. Tutt’altro schema di gioco. Non è proprio il mio stile.

Fill abbassò lo sguardo su uno schiff mutaforma. Parti del pavimento della barca salivano, scendevano. Un’operaia della Ricostruzione controllava tutto dalle file di impianti sottocutanei che le correvano lungo le braccia. Al suo tocco, le piattaforme giravano e roteavano. Dei ragazzini scorrazzavano lì intorno, ma evitavano di guardarla negli occhi. Le cyberprotesi a Qaanaaq erano sminuite, disprezzate, considerate rozze. In alcune città reticolo, e nella maggior parte dei posti ancora popolati nel Mondo Sommerso, erano molto più accettate. Persino obbligatorie. Fill si chiese da dove provenisse l’operaia e se avesse scelto di fare quel lavoro di sua spontanea volontà. Se le piacesse.

Una donna si parò di fronte a lui. Sfarfallava, così che al principio pensò che si trattasse di una proiezione ma no – la proiezione le passava attraverso, un kraken che le chiazzò il corpo prima di svanire. Alta e bella, la pelle scura. Calva. Aveva ben più di cinquant’anni. Indossava vestiti troppo sottili per il freddo di Qaanaaq. Sembravano vestaglie da ospedale. Lo fissava. Sorridendo, forse o forse no.

Un veliero navetta vomitò passeggeri. Si arrampicarono su per il Braccio, passando tra lui e la donna, e quando se ne furono andati la donna non c’era più.

Una visione causata dal frantumo? Fill tremò, si leccò le labbra, sentì di nuovo il gusto del sangue. Decise di parlare della donna nel corso della sua chiacchierata quotidiana con Barron. Decise che era meglio di no. – Non è buffo? – disse, come se ci fosse arrivato per caso, perché se c’era una cosa che i ragazzi gay un po’ frivoli imparavano in fretta era parlare di argomenti spinosi con noncuranza. – Mi sono reso conto di non sapere quasi niente di te. I miei amici trovano informazioni sulla storia di famiglia nel cloud, ma tu... l’invisibilità degli azionisti... il nome della nostra famiglia è un enorme vuoto digitale. Non dev’essere costato poco, immagino.

Suo nonno rise. – Quindi stai lavorando a un progetto di storia orale.

– Una cosa del genere. So che siamo di New York. Come…

– Ne siamo usciti? Come siamo diventati ricchi?

– Immagino che un po’ lo fossimo fin dal principio.

– Tuo padre non ha mai voluto sapere. – Uno sguardo torvo, al passato, al reticolo su cui stavano camminando. – Quando era piccolo gli interessava. Voleva la favola, però. La versione da film. Ma una volta cresciuto? Figurati…

Fill cercò di ignorare l’accenno a suo padre, strizzò via le lacrime che minacciavano di affiorare in superficie. – È una storia così terribile?

– Nessuno poteva sopravvivere senza sporcarsi almeno un po’ le mani. Ma credo che tu sia forte abbastanza per conoscere la verità. Sei più forte di quanto fosse lui.

– No che non lo sono, – disse Fill, il concetto era così ridicolo che lo fece scoppiare a ridere. – Non ho mai fatto un cavolo di niente. Proprio zero.

– Lo sei. Ho sempre visto in te una certa forza. Il fatto che non sia mai stata messa alla prova non significa che non ci sia.

– È molto carino da parte tua, – disse Fill, poco convinto. – E in mio padre? In lui non l’hai mai vista?

– Tuo padre era un bravo ragazzo. Ma non era forte.

Le immagini affiorarono spontaneamente. Suo padre, in partenza verso la provincia di Heilongjiang per raccontare le Migrazioni per carestia. L’equipaggiamento fotografico che aveva fatto inventariare a Fill. – La mamma diceva sempre che era coraggioso. Ad andare in quei posti. A scattare quelle foto.

– Tua madre non avrebbe saputo riconoscere la forza neanche se ce l’avesse avuta davanti, – disse suo nonno. – Se mi permetti di dirlo. Fare cose pericolose e sciocche è l’opposto di essere forti.

E cos’è la forza? – chiese Fill, sentendo di avvicinarsi, finalmente, alla Cosa, al Segreto, alla storia che suo padre non aveva voluto conoscere.

– Lavoravo per una società di sicurezza. Edifici ed eventi. Roba semplice: assumi le guardie e le mandi nei posti che hanno bisogno di essere sorvegliati. Ma erano tempi folli. Le Rivolte Immobiliari erano al culmine – ne avrai sentito parlare, no? Stavano per trasformarsi nelle Guerre Immobiliari. Non credevo che la sicurezza avesse a che fare solo con i muscoli. Ho convinto il proprietario della società a creare una nuova divisione, a lasciarmela guidare. Ho reclutato alcuni dei nomi più grossi delle pubbliche relazioni newyorchesi. Intelligence, la chiamavo. Perché la sicurezza non serviva più solo a tenere lontani i cattivi – serviva a impedire che i cattivi prendessero ciò che era tuo. Gruppi di squatter, politici sensibili alle pressioni, pronti a usare l’esproprio per pubblica utilità per sottrarre proprietà da dare ai poveri.

Fill cercò con tutto se stesso di impedire ai suoi occhi di farsi vitrei.

– Il mio dipartimento andava nei quartieri, piazzava agenti travestiti da inquilini, valutava la situazione, identificava le linee di frattura. Le divisioni tra la gente. Una volta che capisci come istigare le persone, ci pensano loro a fare il tuo lavoro.

– Che tipo di lavoro?

– Ero specializzato in religione. Fondamentalisti, soprattutto. Ce ne sono un sacco – di tutti i tipi, anche se quelli cristiani erano i più facili. Presto ci siamo ritrovati con decine di contratti con tutti i più grandi sviluppatori immobiliari. Dicevo alla gente che mi occupavo della fabbricazione e dell’impiego strategico dell’idiozia di massa. L’ho praticamente messo sul biglietto da visita.

Biglietti da visita – Fill ne aveva sentito parlare.

– Fabbricare indignazione. Fornire un obiettivo. Identificare le persone a cui altre persone danno ascolto, i pastori o le mamme delle associazioni genitori-insegnanti, e pagare un paio di loro per piantare grane. Mi sono più che altro limitato a copiare quello che stava accadendo in politica. Quando ci siamo espansi a livello nazionale, ho acquisito diversi gruppi che avevano gestito campagne elettorali.

Il nonno si interruppe per guardare la faccia di Fill. In attesa di una risposta. Fill era abbastanza certo di essersi perso dei pezzi. I leoni marini colpivano il legno marcio dei pontili con le pinne.

– È morta un sacco di gente, Fill.

– Ah.

– Sono successe delle cose, ad Harlem e nella Lower East Side che… be’, diciamo solo che tuo padre avrebbe potuto scattare un sacco di fotografie, lì. In scala inferiore, ma all’altezza di qualsiasi cosa uscita da Calcutta. Ora me ne pento, ma cosa avrei dovuto fare? E tu e io non saremmo qui, se non l’avessi fatto. Tutto il mio lavoro, in tutta l’America del Nord – niente sarebbe potuto accadere senza New York.

Fill sapeva tutto. Gliel’aveva insegnato CITTÀ SENZA UNA MAPPA.

Il ricordo del fumo annerisce il cielo. Le urla dei cittadini morti da tempo risuonano per le strade. Esplosioni: carrarmati che sparano alle roccaforti degli squatter; eventi culturali di gran classe bombardati dagli attivisti dell’esercito degli inquilini.

Qaanaaq è un sogno da cui ti puoi risvegliare quando ti stendi la notte. Per tornare al mondo reale, alla tua vita, alla tua città che sta morendo. Ogni notte torni e osservi gli eventi dipanarsi in un inquietante deja vù in slow-motion, perché certo, hai già assistito a tutto, certo, sai cosa succederà, certo, ti comporterai in maniera diversa, e questa volta riuscirai a fuggire in tempo…

Il nonno aveva perso suo figlio. Presto avrebbe perso anche suo nipote. Qualunque cosa avesse fatto, quali che fossero gli orribili crimini di cui si era macchiato, era difficile non compatirlo. Aveva combattuto così tanto per guadagnare così tanto e finire con un niente. Be’, un niente, a parte tutto.

Fill aveva così tante altre domande. Sui clienti per cui suo nonno aveva lavorato quando aveva finito di aiutare a distruggere New York. Sulle cose che erano sparite. La Metropolitan Opera; le Figlie degli scomparsi; Qaanaaq quando era ancora nuova di zecca.

Suo nonno gettò un fazzoletto appallottolato in mare. Lasciare in giro rifiuti: un’altra stranezza tipicamente newyorchese. – Ti ho chiamato perché mi mancavi, – disse suo nonno, – ma anche perché ho una sorpresa. Ti voglio dare una cosa. Due cose, anzi. Non mi preoccupa più di tanto quella… faccenda di cui ti ho parlato prima. Sciocchezze da malavita. Noi azionisti non ci siamo tenuti stretti tutto quello che abbiamo per così tanto tempo senza imparare ad affrontare le intemperie. Comunque. Sarebbe sciocco non prendere delle precauzioni. Voglio che tu abbia accesso a due cose a cui, al momento, solo io posso accedere. Una è un appartamento. Chiuso, segreto. Mantenuto fuori dal mercato. So che hai già un tuo posto. Ma ho bisogno che tu abbia tutte le informazioni anche su questo, che al momento non è registrato in nessun elenco abitativo. Un investimento, ecco. Ne abbiamo diversi, a dirla tutta, ma questo per me è speciale. Tua nonna e io… è lì che andavamo quando volevamo scappare.

Fill annuì, sentendosi molto nobile e diligente. – Va bene, nonno. E la seconda cosa?

– Un software. Un programma particolarmente instabile e pericoloso. Messo insieme da un’alleanza di azionisti combinando una decina di protocolli di sicurezza molto diversi tra loro e approcci illegali al data-mining. Roba pericolosa, di livello militare. L’abbiamo creato alla nascita di Qaanaaq, per condividere informazioni, osservare ricorrenze, mantenere traccia delle nostre unità, valutare problemi, capire come gestirli… non è più in uso da vent’anni se non di più. Troppo instabile. Inaffidabile. Faceva quello che volevamo, ma anche un bel po’ di cose che non avremmo voluto facesse.

– Cosa vuoi che ci faccia?

– Per l’amor del cielo, niente! Non per ora, quantomeno. Tienilo e basta. Non ho idea di quanti altri azionisti siano ancora vivi o vi abbiano accesso. So che non è stato utilizzato, è nell’elenco dei programmi sorvegliati dal nostro osservatorio, ma se sono l’ultima persona ad avere l›accesso, non voglio che muoia con me. Anche se forse dovrebbe. Ma vale un sacco di soldi, e tra cinquant’anni potresti essere felice di averlo in saccoccia.

– Certo, – disse Fill, perché tutto questo sembrava rendere felice il vecchio. Importava che non volesse avere niente a che fare con un appartamento vuoto e un software volubile? Avrebbe finalmente potuto fare qualcosa per il vecchio, avere un piccolo ruolo negli affari di famiglia. E, ovviamente, non poteva dire, No, nonno, mi spiace, non sarò vivo tra cinquant’anni, o tra quindici, forse nemmeno tra cinque mesi.

– Ti mando tutte le informazioni.

– Grazie, nonno. Oh, guarda!

Due leoni marini ruggirono colpendosi a vicenda col petto. Entrambi gli uomini risero.