Kaev
Si avvicinarono tra loro senza parlarne e nemmeno pensarci, rendendosi istintivamente più difficili da colpire, prendendosi un po’ di spazio di manovra intorno a chissà quali ostacoli o armi potessero spuntare dai muri. Al diciottesimo piano, l’architettura dell’edificio sembrava diversa. Proseguendo, il corridoio si faceva sempre più largo, e all’improvviso a entrambi i lati spuntarono rigogliosi giardini.
– Aree fumatori, – disse Kaev, leggendo di nuovo dallo schermo di Soq. – Spazi all’aria aperta. Per sdraiarsi al sole, fare un po’ di esercizio. Molto utile per la gente pazza.
– Da che lato è il reticolo? – chiese Masaaraq. – E da che lato è il mare?
Kaev glieli indicò entrambi.
Mia madre è vicina, pensò. Per la prima volta da quando sono bambino, la vedrò.
La troverò. La libererò.
Entrarono nel cilindro centrale; un caos di urla e gemiti. Pazienti ovunque, e operatori sanitari. Tutti bloccati lì.
– Il protocollo anti-invasione ha messo in pausa quello di evacuazione, – disse Kaev. – La Sicurezza dovrebbe arrivare a frotte nel giro di tre minuti, forse quattro.
– La Sicurezza è già qui, – disse Masaaraq.
C’era solo un’addetta solitaria e apparentemente disarmata. Anche se il suo sorriso era un po’ troppo ottimista perché fosse davvero così. Doveva esserci qualcos’altro. I pazienti fecero loro spazio. Impauriti dall’orso polare, dall’arma che portava Masaaraq, dal fatto che riuscivano a vedere il fiato condensarsi nell’aria gelata.
L’addetta alla Sicurezza alzò un braccio, arrotolò la manica. Gli impianti sottocutanei brillavano e lampeggiavano. Era una cosa sola con la stanza, col sistema, col Ripostiglio. Fusa in modo perfetto con i suoi innumerevoli meccanismi di difesa.
Kaev e Masaaraq si allontanarono dalla donna. Kaev esaminò la folla, alla ricerca di un gruppo di residenti meno squilibrati e scarmigliati – non fu difficile da trovare, vicino alla parete, vestiti in abiti civili – una di loro reggeva persino un bicchiere di vino.
La donna della Sicurezza si fece avanti. Kaev strinse i pugni, osservò Masaaraq per capire come si sarebbe comportata di fronte a questa nuova minaccia, chiedendosi se sapesse abbastanza da capire quanto fosse pericolosa l’avversaria. Ma Masaaraq non la stava guardando per niente.
– Oora, – disse.
Era in piedi a pochi metri di distanza, avvolta in coperte, calva, bella, la pelle luminosa e scura.
– Kaev! – urlò qualcuno. Vide sua sorella correre verso di loro attraverso la folla. Una donna con la faccia da pesce urlò il nome di Ankit prima di essere travolta dalla corrente umana.
– Preparatevi! – urlò Ankit, e Kaev entrò in modalità di combattimento, disattivando le funzioni più alte, diventando solo animale, solo istinto e azione veloce e brutale, e vide quello che lei vedeva, la donna della Sicurezza che toccava gli impianti sottocutanei, e seppe cosa significava, in qualche modo, anche se non aveva mai visto niente del genere. Afferrò Masaaraq e se la tirò dietro.
Solo Oora sembrava in grado di agire autonomamente, e solo lei sembrò tentennare, non per incertezza o paura, ma per l’enormità della decisione che si trovava a prendere. Il mondo che doveva scegliere.
– Dai! – urlò lui.
Come fa ad avere dubbi? Pensò, ma il pensiero svanì in un istante.
L’orso ruggì per allontanare gli spettatori. Si aprì un varco e iniziarono ad arretrare verso il muro. Ankit arrivò e lo prese per mano.
Un’onda di polyglass salì dal pavimento. Solo a quel punto Oora si mosse. Corse verso di loro, ma la parete di polyglass si stava muovendo più veloce di lei. Si tuffò, infine, e non riuscì a passare con tutto il corpo attraverso la parete che si stava richiudendo, che la colpì sulla gamba facendola cadere sul pavimento alle loro spalle.
La nuova parete raggiunse la vecchia e si fuse alla perfezione, richiudendoli: Masaaraq, Kaev, Liam, Ankit, Oora. La donna della Sicurezza sorrise e si avvicinò.
L’orso ruggì e si lanciò contro la parete di vetro della sua prigione come se fosse ghiaccio, solo che non si sarebbe rotta più facilmente di quanto prima si fosse rotta la finestra. C’era una porta nella parete alle loro spalle, ma non voleva saperne di aprirsi. Oora si toccò la gamba, annuì. Niente di rotto, niente sangue.
Kaev si fece rosso in volto. I suoi muscoli si contrassero. Si acquattò, una postura da lottatore, aspettando il suono del gong per un’esplosione di violenza. Ma ovviamente non stava per combattere contro nessuno. In un niente i condotti sotto al pavimento si sarebbero riordinati, riconfigurati, avrebbero spruzzato un po’ di fumo modificato per metterli KO, e quando si fossero svegliati si sarebbero ritrovati in prigione per sempre. Vide Ankit che faceva respiri profondi, come a prepararsi a dover trattenere il fiato il più a lungo possibile.
Masaaraq invece non sembrava essersi resa conto di essere in trappola. Sorrise. Allungò la mano.
Lentamente, con dolore, come qualcuno che cerchi di vedere attraverso la nebbia o un paziente che esce dalla paralisi. Oora rispose al sorriso. E le prese la mano.