Kaev
Devi restare concentrato, gli aveva detto Masaaraq quando erano al Ripostiglio, e adesso sapeva perché.
Sente l’odore di sangue, vede tutti questi movimenti frenetici, non ci vuole niente perché si scateni in un raptus assassino.
Kaev la sentiva. La rabbia dell’orso cantava dentro di lui. Non era brutale o selvaggia. Era bella. Era musica. Non era quella cosa brutta e umana che Kaev provava prima di un combattimento, un caos miserevole di emozioni come odio e paura e brama. Era pulita e chiara e semplice.
Non distogliere l’attenzione dalle persone su cui si deve concentrare.
Ma chi fossero queste persone non lo sapeva. La donna che amava stava litigando con una delle sue madri. Quella che gli aveva portato Liam, che gli aveva messo a posto il cervello, che l’aveva reso intero di nuovo.
Masaaraq colpì Go con l’impugnatura della lancia, spingendola all’indietro.
– Ehi, – urlò senza volerlo. – No!
Masaaraq sollevò lo sguardo per un istante. Abbastanza perché Go riuscisse a colpirle la gamba col machete. Sangue. Non molto – lo spesso cuoio che avvolgeva le gambe dell’orcamante aveva attutito il colpo – ma fu abbastanza forte per farla barcollare, perdere l’equilibrio.
Nell’acqua scura sotto di loro qualcosa si agitò con rabbia. Kaev guardò attraverso il reticolo. Incontrò gli occhi di Atkonartok, e quello che vide gli fece congelare il sangue.
Corse verso di loro. Non sapeva cosa avrebbe fatto una volta là. Chi avrebbe aiutato. Avrebbe voluto mettersi in mezzo tra queste due persone che amava, per impedire loro di battersi, ma l’orso la pensava diversamente. Si sentiva lacerato, spezzato, confuso, e in quella confusione si infilò l’animale.
L’orso ruggì, e Kaev con lui. Masaaraq trasalì a quel suono raddoppiato.
– Kaev! – urlò. – Fermati!
Non riusciva. La bestia aveva preso il sopravvento.
E all’orso Masaaraq non piaceva.
Kaev sentì il dolore della gabbia di metallo sulla testa, delle catene con cui lei l’aveva legato. Per anni e anni. Mentre viaggiava verso nord, verso ogni colonia e campo e città reticolo e lugubre rimorchiatore. Momenti magnifici di tanto in tanto in cui veniva liberato, quando lei era in pericolo o aveva rintracciato qualcuno di particolarmente pericoloso, solo per poi essere messo KO con un dardo di tranquillante e risvegliarsi di nuovo in catene.
Non voleva farti male, tentò di dirgli Kaev. Stava cercando di riportarti da me. Di aiutarci entrambi. Eravamo incompleti. Lei ci ha resi completi di nuovo. E tenerti in catene era l’unico modo.
È nostra madre.
Sapeva di stare sprecando fiato. In un momento di calma forse sarebbe riuscito a farglielo capire. Adesso, però, nella mente dell’orso non c’era spazio per le parole. Per le emozioni. C’era solo la voglia di uccidere. Era così per entrambi. La parte umana di lui che si era preoccupata di convincere Liam a non fare del male a Masaaraq fu rapidamente sopraffatta dalla frenesia dell’animale.
Masaaraq corse verso la fine del Braccio. L’orso la seguì. Oora urlò e si mise a correre verso di loro, e Soq estrasse una qualche arma che aveva legata alla schiena, ma l’orcamante e l’orso erano troppo veloci, troppo lontani.
Se riesce a raggiungere l’acqua può salire sull’orca e scappare, pensò Kaev, e si chiese se fosse davvero lui a pensarlo. Sapeva di non volerlo. Era così vicina e lui – lui? Quale lui? – stava guadagnando terreno, ancora qualche balzo e l’avrebbe raggiunta – voleva che inciampasse, cadesse…
E cadde.
Sentì lo sparo mezzo secondo più tardi. La soldatessa col tirapugni di Go si era tirata in piedi, aveva mirato con il braccio tremante e aveva sparato. Masaaraq non l’aveva lasciata viva per caso. Aveva avuto pietà di lei. E adesso. Adesso era a terra. Priva di sensi, non morta. L’orso lo sapeva, per via del suo odore.
Un secondo sparo – da Soq, questa volta, lo vide con la coda dell’occhio ma non colpì né lui, né il suo orso, per cui l’attenzione di Kaev non vacillò.
Go emise un suono, un suono terribile. Kaev fu a malapena in grado di sentirlo. Liam aveva raggiunto il corpo immobile di Masaaraq. Ruggì. Si sollevò sulle zampe posteriori. Kaev rise per la pura gioia dell’orso. Per l’ondata di felicità, la divina perfezione di quel momento, uccidere, la cosa per cui era fatto. L’orso sollevò le zampe, e Kaev lo imitò. Alzò lo sguardo e si vide le mani: erano enormi, ricoperte di pelo bianco, con lunghi artigli affilati e neri in cima.
Il dolore fu lacerante. Gli spaccò il cervello. Cadde in ginocchio, e poi a terra, tremando.
Davanti a lui, vide una macchia confusa di nero e di bianco. E poi il rosso. Così tanto rosso.
L’orca aveva infranto la superficie dell’acqua con un balzo, e aveva chiuso le sue fauci implacabili intorno al torace dell’orso. Liam ruggì, agitando le zampe contro i fianchi dell’orca, traendone sangue a fiotti, scavando – ma non abbastanza per romperne lo spesso strato di grasso, molle e cedevole eppure, allo stesso tempo, l’armatura più efficace del regno animale. L’orca spalancò la bocca, la serrò di nuovo. Spezzò la schiena dell’orso. Lo trascinò in acqua.
Gli occhi chiusi, Kaev vide l’acqua nera. Le fauci del mare che lo ingoiavano. Li aprì, e vide il cielo bianco. La neve bianca che scendeva. Il vomito gli gorgogliava in gola a ogni faticoso respiro. Perché non poteva morire con l’orso? Voleva solo perdere i sensi. Sdraiato sulla schiena, pregò perché accadesse, invano.