Soq

Il più gigantesco e letale cucciolo mai visto. L’orso giaceva sulla schiena e lasciava che Soq accarezzasse in cerchi la soffice pelliccia sul suo stomaco, prima sempre più piccoli e poi sempre più larghi.

Ovviamente Soq non aveva mai posseduto un cane. Non aveva mai avuto una casa abbastanza stabile per tenerne uno, non proprio, e anche se c’erano un sacco di ragazzi persi con animali di compagnia era una vita decisamente dura. Per gli animali, di sicuro, e per le persone, quando inevitabilmente l’animale finiva per essere ucciso o rubato.

Nessuno avrebbe ucciso questo, di animale.

– Ha un nome? – chiese Soq all’orcamante.

Dipende da Kaev.

– Liam, – disse Soq. – Si chiama Liam.

Masaaraq inarcò un sopracciglio.

– È come se fosse mio. E se a mio padre non sta bene, che ne parli con me.

Era ancora così strano, dirlo: mio padre. Il bruto dagli occhi tristi; l’eterno perdente dei combattimenti su trave. Soq aveva letto tutto su di lui nel lungo periodo che aveva trascorso a bighellonare sul ponte della nave di Go. Kaev era bravo, un lottatore capace, abbastanza forte ed esperto da rendere divertente ogni suo combattimento. Più di un giornalista sportivo si era chiesto perché perdesse contro avversari tanto inferiori a lui, sospettando un coinvolgimento della malavita.

C’entrava Go? Il padre di Soq era stato anche lui una pedina di Go, uno strumento nella sua ascesa al potere, un modo facile per truccare i combattimenti, accumulare risorse e reputazione?

Erano sottocoperta, adesso. Kaev e Go. Non stavano facendo l’amore, aveva detto Masaaraq – o l’orso si sarebbe comportato in modo diverso, non con l’attuale calma pigra e beata. Stavano recuperando il tempo perduto. Ne avevano per un po’. E quando sarebbe arrivato il momento di recuperarlo, per Soq? Si immaginò una cena di famiglia imbarazzante, pagliacciate demenziali, equivoci esilaranti, come nei vecchi film che andavano un sacco qualche anno prima. Soq aveva molte domande, ma non è che morisse dalla voglia di avere quel tipo di conversazione.

– Dove sei andata l’altro giorno?

Masaaraq corrugò la fronte. – A vedere qualcuno.

– A vedere chi?

– Un’amica.

– Hai amici qui?

– Taci, – disse Masaaraq.

– Cosa ti ha detto la tua amica, che quando sei tornata eri così agitata?

– Sono tua nonna, e se ti dico di tacere, taci.

– Come vuoi, – disse Soq, ma poi effettivamente smise di parlare.

Un suono strano catturò l’attenzione di Soq. Masaaraq stava sfregando la lama d’osso su una rete appena aggiustata.

– Cosa stai facendo?

– Niente, – disse Masaaraq.

– Come no. Stai tagliando quella rete.

– Taci.

– Cosa c’è?

Masaaraq restò in silenzio

L’orso polare era stato una distrazione. Soq avrebbe dovuto concentrarsi sul fatto che aveva dei genitori, che si erano ritrovati, che c’erano un sacco di retroscena da recuperare. Su questo e su Masaaraq, l’orcamante, l’ultima dei nanolegati. E forse avrebbero continuato a fingere che non esistesse, ma un persona curiosa come Soq non poteva permettere che un’occasione del genere andasse persa.

– Sei venuta qui per fare qualcosa, – disse Soq. – E invece adesso te ne devi stare seduta come una stupida mentre quei due giocano alla famiglia.

– Eh?

– Mamma e papà. Famigliola felice. Un po’ di sesso.

Masaaraq alzò gli occhi al cielo. – Non mi importa proprio, quello che fanno.

– Ma tu sei qui per un motivo. E in questo momento stai perdendo tempo. Giusto? Per questo sei infastidita.

Masaaraq scrollò le spalle, ma il suo gesto indicava che in quello che diceva Soq c’era un fondo di verità.

Si alzò in piedi. Sirene e lampeggianti sfarfallavano sull’acqua all’estremità del Terzo Braccio. Dei giganteschi droni da evacuazione ronzavano nell’aria.

Soq chiese, – Sei qui per uccidere qualcuno?

– Fai un sacco di domande.

Soq si accigliò. – E tu hai un sacco di modi per non rispondere.

– Te la faccio io, una domanda. Il Ripostiglio. Lo conosci?

– Certo.

– Se qualcuno fosse lì dentro. E volessi farlo uscire. Come faresti?

– Chi è che c’è lì dentro? – disse Soq, gli occhi sgranati.

Masaaraq sbuffò con rabbia e si voltò dall’altra parte.

– Aspetta! Scusami. Non so se sono in grado di rispondere alla tua domanda. Non ho mai sentito di qualcuno che ce l’abbia fatta. Conosco un sacco di persone che ci sono finite, spesso contro la loro volontà, ma nessuno che sia riuscito a scappare e a raccontarlo.

Masaaraq annuì.

– Ma tu devi saperne più di me, comunque. Giusto? Hai fatto i compiti. Ti ho sentito spiegare a Kaev il modulo di consenso per la registrazione, lo sai a memoria, meglio di me o di chiunque sia cresciuto qui. Immagino che tu abbia passato un sacco di tempo a studiare. Cosa ne hai cavato? Ho un sacco di risorse. E anche Go.

– Così dicono, – disse acida Masaaraq.

– Spremiamoci le meningi! – disse Soq. – Rimbalziamoci un po’ di idee a vicenda. Condividiamo pensieri folli.

Masaaraq scoppiò a ridere. – La migliore delle mie idee è già abbastanza folle. Avevo intenzione di buttare giù quella stramaledetta porta, marciare lì dentro con l’orso polare e uccidere chiunque si mettesse in mezzo.

– Mi sembra un buon inizio, – disse Soq. – Ma quelle porte non le riesce a buttare giù neanche Liam.

– Non si chiama Liam. Che nome idiota, per un orso polare.

– Avrai bisogno di aiuto. Di un software, forse, un modo per reindirizzare il comando dei sistemi di sicurezza. Di gente che lavora lì, che puoi corrompere o minacciare o ricattare per farti dare una mano.

– Ci ho pensato, – disse Masaaraq, ma non sembrò disprezzare quello che Soq le stava offrendo. – Ad alcune di queste cose, quantomeno. Continua a rifletterci. Io devo andare.

– Andare? – disse Soq, ridendo. – Cos’è, hai appuntamento dal parrucchiere?

Ne parliamo domani. Tu, io e Kaev. E, come si chiama? Go.

– Fa parte anche lei della famiglia? La persona che è là dentro?

Masaaraq se ne andò fino al lato opposto della nave. Mentre Soq la osservava, iniziò una serie complicata di sequenze con le armi. Soq cercò di concentrarsi sull’importantissimo compito di accarezzare la pancia di Liam, ma non riusciva a staccare gli occhi dalle ipnotiche mosse dell’orcamante. Una figura nera che si stagliava contro le luci della città, colpendo, saltando, roteando. Inarrestabile. Instancabile. Irremovibile. A combattere per l’eternità una fila di nemici invisibili.