Capitolo Ventuno

La signora Grough invertì il senso di marcia della macchina e ripartì a tutta velocità, zigzagando fra le strade piene di nevischio fangoso finché non affiancarono l’elfo. Se questo si stupì di ritrovarseli accanto, non lo diede a vedere.

«Ciao, Jiggles. Dai da mangiare ai gatti randagi?» gli domandò Aisling.

«No, questa è la mia cena. Dopo una lunga giornata noiosa di lavoro, non c’è niente di meglio che spaparanzarsi sul divano davanti alla tv e mangiare una deliziosa scatoletta per gatti. Ora per favore lasciami in pace, ragazzina rompiscatole.» A quel punto, fece per allontanarsi.

«Aspetta!» insistette Aisling. «Per caso hai visto una gatta bianca e nera con una chiave attaccata al collare?»

Jiggles si fermò e i suoi occhi si assottigliarono. «Forse sì o forse no.»

«È successo niente di strano, ieri al lavoro?»

«Perché mi fai tutte queste domande?»

«Per favore, signor Jiggles. È importante. Niente di strano ieri al lavoro?»

«Be’, sì, c’è stata una specie di emergenza. Erano tutti nel panico, come impazziti. Nessuno mi ha detto di cosa si trattasse, naturalmente. A Jiggles non dicono mai niente.»

Aisling sorrise. «Jiggles, ti piacerebbe passare alla storia come l’elfo che ha salvato il Natale?»

«Non mi dispiacerebbe, immagino. Meglio che stare qui. Non dico che questa città sia noiosa, ma… un momento, no, lo sto dicendo. È proprio noiosa, quindi sì, certo, qualsiasi cosa è meglio di questo.» Non era la risposta entusiastica che Aisling si aspettava, ma doveva farsela andare bene.

Aisling su una macchina passa e parla a Jiggles

«Ma è davvero un elfo?» domandò il signor Grindle, con gli occhi spalancati dallo stupore, mentre Jiggles si infilava nell’auto.

«No, mi vesto così perché è di moda» rispose lui.

Erano un po’ stretti, sul sedile posteriore, e il pompon del cappello di Jiggles era finito sotto il naso di Victor. Inoltre, ben presto in macchina si sparse un odore pungente di cibo per gatti.

«Fermatevi qui» disse Jiggles, nemmeno un paio di minuti dopo.

Erano davanti a un vicoletto buio che correva lungo il municipio di mattoni rossi, in fondo al quale si vedeva un cancello di ferro alto almeno due metri, chiuso da un lucchetto.

«La gatta è dall’altra parte. Si nasconde fra i bidoni in fondo. L’ho sentita miagolare e piangere, così ho pensato che avesse fame e che, forse, potevo convincerla a uscire con del cibo.» La signora Grough posteggiò la macchina, poi tutti e sei scesero e si incamminarono nel vicolo, guidati dalla luce della torcia con cui la babysitter illuminava la strada. Victor portava il suo pesante zaino per mostrare quanto fosse forte.

«Non credo che dovremmo scalare tutti il cancello. Potremmo spaventare la gatta. Magari solo una persona» suggerì la donna.

«Di sicuro io» convenne il signor Grindle. «È la mia gatta.»

«Ma non credo che lei sarà in grado di scal…» intervenne Aisling.

«Non sarei in grado?» Grindle la fulminò con lo sguardo. «Che razza di sciocca stupidaggine è questa? Ho solo settantotto anni, sai» protestò. Ma, quando ci provò, l’impresa si dimostrò troppo difficile per lui, al che si voltò sconsolato verso la bambina. «Sì, in effetti è un po’ alto. Vuoi andare tu? Ci tengo molto a riavere la mia gatta.» La ragazzina non ebbe bisogno di farselo ripetere due volte: senza alcun aiuto, scalò il cancello, calandosi dall’altra parte con attenzione. Jiggles le passò il cibo attraverso le sbarre e il signor Grindle le allungò la sua sciarpa.

«Ha il mio profumo. La signora Pushkins lo riconoscerà.»

Aisling si diresse lentamente verso i bidoni, poi si accucciò e allungò un braccio con il palmo della mano verso il rifugio della gatta.

«Forza, signora Pushkins. Tsz tsz tsz.» La ragazzina udì un “miao” lamentoso.

«Cantale una canzoncina. Le piacciono le canzoni, soprattutto quelle degli Abba» suggerì il signor Grindle.

Aisling non aveva alcuna intenzione di mettersi a cantare davanti a tutti. Non se ne parlava proprio. Si allungò e mise la scatoletta aperta a terra, poi indietreggiò di qualche passo. Dopo un minuto o due, la signora Pushkins fece capolino da dietro i bidoni e tutti trattennero il respiro.

«Non avere paura, piccola amica, non ti farò del male» le disse Aisling.

La gatta esitò, poi avanzò ancora di un paio di passi, superando la scatoletta finché non fu proprio di fronte alla ragazzina. Strofinò la testa contro i suoi jeans e le permise di farsi toccare e persino prendere in braccio, facendo le fusa e posando il muso contro il collo di Aisling.

Il signor Grindle allungò le braccia oltre le sbarre del cancello, ansioso di riabbracciare la sua amata.

«Non dargliela» esclamò Joe. «Se il signor Grindle la riavrà ora, non ci dirà dov’è l’armadietto e noi non riusciremo mai a trovarlo in tempo.» Aisling guardò l’uomo. Era così meschino che in effetti avrebbe potuto prendere la gatta senza dire loro dove fosse l’armadietto, ma lei vide la gioia nei suoi occhi all’idea di riabbracciare la signora Pushkins. Non poteva tenerla in ostaggio. Sapeva di essere molte cose, ma di sicuro non una rapitrice di gatti.

«Probabilmente hai ragione, Joe, ma non posso. Ecco, signor Grindle» disse, passandogli delicatamente la micia attraverso le sbarre del cancello.

Lui la infilò con cura nel suo cappotto. Non disse niente di scortese o canzonatorio. Invece, disse qualcosa che Aisling non si sarebbe mai aspettato.

«La lista di Babbo Natale è nell’armadietto numero 227 alla stazione.» Victor sollevò una mano per dare un cinque alto alla signora Grough, ma, vedendo la sua aria di disapprovazione, si bloccò a mezz’aria.

«Lei non vuole un cinque, eh?» borbottò. Al che si voltò verso Joe. «Tua sorella l’ha fatto!»

«Fatto cosa?!»