Epilogo
Le conseguenze

Abbiamo visto che per più di trecento anni, dal regno di Hatshepsut verso il 1500 a.C. fino a quando tutto crollò dopo il 1200 a.C., la regione intorno al bacino del Mediterraneo è stata la patria di un universo internazionale assai complesso, in cui Minoici, Micenei, Ittiti, Assiri, Babilonesi, Mitanni, Cananei, Ciprioti ed Egizi interagivano tra loro, creando un sistema cosmopolita e globalizzato che raramente si è visto prima della nostra epoca. Può essere stato questo vero e proprio internazionalismo a contribuire al disastro apocalittico che mise fine all’Età del Bronzo. Le civiltà del Medio Oriente, dell’Egitto e della Grecia, nel 1177 a.C. erano così interconnesse le une con le altre che la caduta dell’una alla fine portò alla rovina di tutte le altre, a causa delle azioni dell’uomo o della natura, oppure di una micidiale combinazione dei due fattori.

Tuttavia, anche dopo tutto ciò che è stato detto, dobbiamo riconoscere che non siamo in grado di stabilire con certezza la causa precisa (o la molteplicità di cause) del collasso di queste civiltà e della successiva transizione dalla tarda Età del Bronzo all’Età del Ferro. Non siamo neppure in grado di identificare l’origine e le motivazioni dei Popoli del Mare. Ciononostante, se ricostruiamo tutti gli indizi che sono apparsi durante la discussione, ci sono alcuni elementi che possiamo affermare con una certa sicurezza su questo periodo di passaggio della storia dell’umanità.

Per esempio ci sono prove sufficienti per affermare che i contatti internazionali, e forse il commercio, siano continuati fino alla fine repentina dell’epoca, e forse addirittura dopo (se gli studi recenti lo confermeranno).1 Sembra chiaro dalle ultime lettere negli archivi di Ugarit che documentano i contatti con Cipro, l’Egitto, gli Ittiti e l’Egeo, e anche dai doni inviati dal faraone egizio Merenptah al re di Ugarit solo pochi anni prima della distruzione della città. Non ci sono prove di una diminuzione sostanziale dei contatti e del commercio nel momento in cui cominciarono i problemi, tranne per alcune sporadiche fluttuazioni di intensità.

Eppure, a questo punto, il mondo come era stato conosciuto per più di tre secoli crollò e scomparve. Come abbiamo visto, la fine della tarda Età del Bronzo, in una porzione di terra che va dall’Italia e la Grecia all’Egitto e alla Mesopotamia, fu un evento fluido, che avvenne nel corso di parecchi decenni e forse perfino nell’arco di un secolo, non un singolo avvenimento che si può ascrivere a un anno particolare. Risalta specialmente, ed è rappresentativo del crollo, l’ottavo anno del regno del faraone egizio Ramses III, cioè il 1177 a.C. per essere precisi, secondo l’usuale cronologia adottata dagli egittologi moderni. Infatti fu proprio in quell’anno, secondo le cronache egizie, che i Popoli del Mare infuriarono nella regione, portando il caos per la seconda volta. Fu l’anno in cui vennero combattute battaglie per terra e per mare nel delta del Nilo, l’anno in cui l’Egitto combattè per la sua sopravvivenza, l’anno in cui le più fiorenti civiltà dell’Età del Bronzo stavano già subendo un rallentamento.

In realtà, si potrebbe dire che il 1177 a.C. sia la fine della tarda Età del Bronzo come il 476 d.C. fu la fine di Roma e dell’Impero Romano d’Occidente. Si tratta cioè di date con cui gli studiosi moderni segnano opportunamente la fine di una grande civiltà. L’Italia fu invasa e Roma fu saccheggiata parecchie volte nel V secolo d.C., ad esempio nel 410 da Alarico e dai Visigoti e nel 455 da Genserico e dai Vandali. Ci sono molte altre ragioni per spiegare la caduta di Roma oltre a queste invasioni, e la storia è molto più complessa, come qualsiasi storico della romanità sarebbe in grado di spiegare. Collegare l’invasione di Odoacre e degli Ostrogoti nel 476 alla fine dei giorni gloriosi di Roma è una convenzione, una scorciatoia considerata accettabile nel mondo accademico.

La fine della tarda Età del Bronzo e la transizione all’Età del Ferro è un caso analogo, nella misura in cui il crollo e il passaggio furono avvenimenti fluidi, che si svolsero tra il 1225 e il 1175 a.C. e in alcuni luoghi fino al 1130 a.C. Tuttavia, la seconda invasione dei Popoli del Mare, che conclusero la loro lotta forsennata contro gli Egizi sotto Ramses III nell’ottavo anno della sua dinastia, è un parametro di riferimento ragionevole e ci permette di dare una data concreta alla fine di un’epoca e a un momento chiave che altrimenti rimarrebbe piuttosto evanescente. Possiamo dire con certezza che le straordinarie civiltà che, nel 1225 a.C., ancora prosperavano nell’Egeo e nel Medio Oriente avevano già cominciato a declinare nel 1177 a.C. e che nel 1130 erano praticamente tutte scomparse. Nella successiva Età del Ferro, i potenti imperi e i solidi regni dell’Età del Bronzo furono gradualmente sostituiti da città-stato di dimensioni inferiori. Di conseguenza, il nostro quadro del mondo del Mediterraneo e del Medio Oriente del 1200 a.C. è piuttosto diverso da quello del 1100 a.C. e totalmente diverso da quello del 1000 a.C.

Abbiamo le prove inequivocabili che ci vollero decenni, se non addirittura secoli in certe regioni, prima che la popolazione potesse ricostruire e restaurare una società e crearsi nuove vite, e dunque risollevarsi dall’oscurità in cui il mondo era precipitato. Jack Davis, dell’Università di Cincinnati, ha sottolineato che «la distruzione del palazzo di Nestore nel 1180 a.C. fu così devastante che né il palazzo né la comunità del luogo riuscirono mai a risollevarsi … La zona del regno di Micene a Pilo rimase incontestabilmente gravemente spopolata per più di un millennio».2 Joseph Maran, dell’Università di Heidelberg, ha osservato che, anche se non sappiamo il livello di contemporaneità delle distruzioni che avvennero in Grecia, è chiaro che, dopo che venne consumata la catastrofe, «sparirono i palazzi, divenne obsoleto l’uso della scrittura, delle strutture amministrative e della ricca gamma di istituzioni politiche dell’antica Grecia; scomparve il concetto di sovrano supremo, il wanax».3 Per quanto riguarda la cultura e la scrittura, lo stesso vale per Ugarit e per le altre comunità che erano fiorite nel Mediterraneo orientale durante la tarda Età del Bronzo, visto che con il loro declino scomparve anche la scrittura cuneiforme nel Levante, sostituita da altri sistemi di scrittura, forse più utili e più convenienti.4

Oltre ai manufatti, è con la scrittura che abbiamo prove tangibili delle interconnessioni e della globalizzazione di queste regioni in quegli anni, in particolare in termini di relazioni tra i singoli individui citati nelle lettere. Sono particolarmente importanti gli archivi delle lettere di Amarna in Egitto, dell’epoca dei faraoni Amenofi III e Akhenaton, della seconda metà del XIV secolo, gli archivi di Ugarit nel nord della Siria nel XIII secolo e all’inizio del XII, e quelli di Hattuša in Anatolia tra il XIV e il XII secolo. Le lettere in questi archivi documentano il fatto che esistevano simultaneamente diversi tipi di reti nell’Egeo e nel Mediterraneo orientale durante la tarda Età del Bronzo, tra le quali vi erano reti diplomatiche, commerciali, di trasporto e di comunicazione, necessarie per far funzionare e prosperare l’economia globalizzata dell’epoca. L’interruzione e lo smantellamento parziale di queste fitte reti avrebbe avuto un effetto disastroso, proprio come avverrebbe nel nostro mondo, oggi.

Tuttavia, come con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, la fine degli imperi dell’Età del Bronzo nel Mediterraneo orientale non fu il risultato di un’unica invasione o di una singola causa, ma si verificò in seguito a numerose invasioni e per una grande quantità di motivi diversi. Molti degli invasori responsabili della distruzione del 1177 a.C. erano stati attivi durante il regno del faraone Merenptah nel 1207 a.C., trent’anni prima. Terremoti, carestie e altri disastri naturali per decenni avevano sconvolto l’Egeo e il Mediterraneo orientale. Ma non si può immaginare un unico episodio che portò al declino dell’Età del Bronzo: la fine avvenne piuttosto come conseguenza di una serie complessa di eventi, che si ripercosse nei diversi regni e negli imperi e alla fine portò al collasso dell’intero sistema, come abbiamo visto.

Oltre alla diminuzione della popolazione e al crollo di edifici e palazzi, sembra probabile un crollo, o perlomeno un declino significativo, dei rapporti tra le varie realtà politiche della regione. Anche se non tutte le potenze si affievolirono e crollarono nello stesso momento, verso la metà del XII secolo avevano tutte perduto i loro collegamenti e non vi era più traccia della globalizzazione che era esistita un tempo, soprattutto durante il XIV e il XIII secolo. Come afferma Marc Van De Mieroop, della Columbia University, le élite persero la loro struttura internazionale e i contatti diplomatici che le avevano sostenute, proprio nel momento in cui venivano a mancare le materie prime e le idee che provenivano dall’estero.5 Bisognava cominciare da capo.

Quando il mondo riuscì a riemergere dal collasso dell’Età del Bronzo, ci siamo trovati in un’epoca nuova, con nuove opportunità di crescita, in particolare con la caduta degli Ittiti e il declino degli Egizi che, oltre a governare sulle loro terre, avevano controllato gran parte della Siria e della terra di Canaan per un lungo periodo.6 Anche se in molte regioni ci fu una certa continuità, in particolare nella Mesopotamia dei Neo-Ittiti, ovunque si assistette a un riassetto e a una riorganizzazione dei poteri e a un nuovo inizio di civiltà: Neo-Ittiti nell’Anatolia sud-orientale, nel nord della Siria e a Oriente; Fenici, Filistei ed Ebrei in quella che un tempo era stata la terra di Canaan; e i Greci nella Grecia arcaica e poi classica. Dalle ceneri del mondo antico nacquero l’alfabeto e altre invenzioni, per non dire dell’aumento sensazionale dell’uso del ferro, che diede il suo nome alla nuova epoca. È un ciclo a cui il mondo ha assistito più e più volte, e che molti pensano come un processo inesorabile: l’ascesa e la caduta degli imperi, seguita dalla nascita di nuovi imperi, che alla fine crollano anch’essi, in una continua serie di nascita, crescita ed evoluzione, decadenza e distruzione, e quindi di rinnovamento in una forma nuova.

Uno dei campi più interessanti e più fertili della nuova ricerca sul mondo antico si basa sulle considerazioni di quanto succede dopo il crollo di una civiltà, «al di là del collasso», ma questo è semmai tema per un nuovo libro.7 Un esempio di questa ricerca è l’opera di William Dever, professore emerito all’Università dell’Arizona e al dipartimento di Archeologia mediorientale al Lycoming College, il quale ha scritto, parlando del periodo successivo nella regione di Canaan: «Forse la conclusione più importante da trarre sui “secoli bui” ... è che non accadde nulla di tutto ciò. Illuminato progressivamente dalle ricerche e dalle scoperte archeologiche, [questo periodo] emerge piuttosto come il catalizzatore di un’epoca nuova, che si costruì sulle rovine della civiltà cananea e, soprattutto grazie ai Fenici e agli Ebrei, lasciò al mondo occidentale un’eredità culturale di cui beneficiamo ancora oggi».8

Christopher Monroe ha detto che «tutte le civiltà alla fine vivono una trasformazione violenta delle realtà ideologiche e concrete, in un ciclo di distruzione e di ricreazione».9 Assistiamo attraverso i tempi a una continua caduta e ascesa degli imperi, come gli Accadi, gli Assiri, i Babilonesi, gli Ittiti, i Neo-Assiri, i Neo-Babilonesi, i Persiani, i Macedoni, i Romani, i Mongoli, gli Ottomani ecc. Né pensiamo che il nostro mondo sia invulnerabile, perché di fatto siamo più esposti alla distruzione di quanto ci piacerebbe credere. Anche se il crollo di Wall Street del 2008 negli Stati Uniti impallidisce a confronto con il collasso dell’intero mondo mediterraneo della tarda Età del Bronzo, ci sono quanti ci mettono in guardia sul fatto che qualcosa di simile potrebbe succedere, se non viene fatta immediatamente un’opera di salvataggio delle banche. Il «Washington Post» citando Robert B. Zoellick, allora presidente della Banca Mondiale, scrive che «il sistema finanziario globale potrebbe aver raggiunto un punto di non ritorno», che definisce come «il momento in cui la crisi giunge a un punto morto e per i governi diventa particolarmente difficile contenerla».10 In un mondo complesso come il nostro, potrebbe succedere che il sistema globale venga destabilizzato, provocando un crollo.

Cosa succederebbe se…?

Il periodo della tarda Età del Bronzo è stato giustamente considerato come una delle età dell’oro della storia del mondo, nella quale fiorì la prima economia globale. Ci potremmo chiedere se la storia del mondo avrebbe preso una piega diversa, o avrebbe seguito un’altra strada se queste civiltà non fossero crollate. Cosa sarebbe successo se non si fossero verificati i terremoti seriali in Grecia e nel Mediterraneo orientale? E se non ci fossero state carestie e povertà, migrazioni e invasioni? La tarda Età del Bronzo sarebbe comunque finita, visto che tutte le civiltà sono destinate a un’ascesa e a un declino? Gli sviluppi che sono seguiti si sarebbero comunque verificati? Il progresso sarebbe continuato? I passi avanti nella tecnologia, nella letteratura e nella politica sarebbero accaduti prima di quanto è avvenuto in realtà?

Si tratta naturalmente di domande retoriche, alle quali non si può rispondere, perché le civiltà dell’Età del Bronzo in realtà sono cadute e il mondo è rinato in una forma completamente nuova nelle regioni che vanno dal Levante alla Grecia. Si sono stanziati nuovi popoli e nuove città-stato (Ebrei, Aramei e Fenici nel Mediterraneo orientale, e più tardi Ateniesi e Spartani in Grecia). Da essi sono nate innovazioni e idee rivoluzionarie, come l’alfabeto, la religione monoteistica e alla fine la democrazia. A volte è necessario un incendio generalizzato affinché l’ecosistema di una foresta secolare si rinnovi e riparta da capo verso una nuova vita.