Prefazione

L’economia della Grecia è piombata nel caos. Rivolte intestine stravolgono il volto di Libia, Siria ed Egitto e a fomentare la rivolta ci sono mercenari e truppe straniere. Come Israele, anche la Turchia teme di venire coinvolta. I rifugiati si accalcano nella terra di Giordania. L’Iran è minaccioso e sempre più agguerrito e l’Iraq si trova in uno stato di conflitto permanente. È il 2013 d.C.? Certo! Eppure la situazione era identica nel 1177 a.C., più di tremila anni fa, quando una dopo l’altra sono crollate le civiltà mediterranee dell’Età del Bronzo, cambiando per sempre il corso della storia e il futuro dell’Occidente. Si è trattato di un momento fondamentale, di una vera e propria svolta nel mondo antico.

L’Età del Bronzo nell’Egeo, in Egitto e nel Medio Oriente è durata quasi duemila anni, dal 3000 a.C. circa al 1200 a.C., o poco dopo. Quando giunse alla fine, come puntualmente avvenne dopo secoli di evoluzione culturale e tecnologica, si verificò una fase di drammatico stallo per gran parte del mondo civilizzato del bacino del Mediterraneo, in un’area molto ampia, che comprende a ovest la Grecia e l’Italia e a est giunge sino all’Egitto, alla terra di Canaan (o Cananea) e alla Mesopotamia. Grandi imperi e piccoli regni, che avevano impiegato secoli a raggiungere il loro pieno sviluppo, si disgregarono rapidamente. Con il loro declino si giunse a un periodo di transizione, che per gli studiosi di un tempo coincise con i primi secoli bui della storia. Soltanto dopo centinaia di anni, in Grecia e nelle altre regioni interessate, emerse un nuovo rinascimento culturale, che costituì la base per l’evoluzione della società occidentale come la conosciamo oggi.

Anche se questo libro intende occuparsi del crollo delle civiltà dell’Età del Bronzo e dei fattori che lo hanno determinato più di tremila anni fa, può impartire insegnamenti preziosi alle società di oggi, globalizzate e transnazionali. Per molti è semplicemente assurdo tracciare un paragone valido tra il mondo della tarda Età del Bronzo e la nostra cultura, condizionata dalla tecnologia. Ma ci sono sufficienti tratti comuni tra le due civiltà (per esempio gli embargo commerciali e le missioni diplomatiche, i rapimenti e i riscatti, gli omicidi e i crimini di corte, i matrimoni sfarzosi e gli incresciosi divorzi, gli intrighi internazionali e la deliberata disinformazione in campo militare, il mutamento climatico, la siccità e la carestia, e perfino uno o due naufragi spettacolari) per pensare che uno sguardo più attento a eventi, popoli e luoghi di un’epoca che fiorì più di tre millenni orsono non è un semplice esercizio accademico di studio della storia antica.1 Nell’economia globale di oggi e in un mondo recentemente sconvolto da terremoti e tsunami in Giappone e dalle rivoluzioni democratiche della primavera araba in Egitto, Tunisia, Libia, Siria e Yemen, i capitali e gli investimenti degli Stati Uniti e dell’Europa sono inestricabilmente collegati a un sistema internazionale che coinvolge l’Oriente asiatico e i paesi produttori di petrolio del Medio Oriente. Quindi potrebbe essere potenzialmente istruttivo uno studio attento delle vestigia di queste civiltà annientate più di tremila anni fa, ma che furono anch’esse interdipendenti e collegate l’una all’altra.

Analizzare il «crollo» di una civiltà e stabilire confronti sull’ascesa e la caduta dei diversi imperi non è una pratica nuova; gli studiosi la applicano almeno dal XVIII secolo, quando Edward Gibbon scrisse la sua opera sulla caduta dell’Impero Romano. Un esempio più recente è il libro di Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di vivere e di morire.2 Questi autori, tuttavia, hanno esaminato le modalità del declino di un singolo impero o di una singola civiltà: i Romani, i Maya, i Mongoli... Qui invece prendiamo in considerazione un sistema mondiale globalizzato, in cui civiltà diverse interagiscono e, almeno in parte, dipendono le une dalle altre. Sistemi globali di questo tipo hanno solo pochi esempi nella storia: in particolare risaltano quello della tarda Età del Bronzo e quello odierno, e sono appassionanti i paralleli che si possono stabilire tra i due (sarebbe più appropriato utilizzare la parola «paragoni»).

Per fare solo un esempio, Carol Bell, una studiosa inglese, ha recentemente osservato che «l’importanza strategica dello stagno nella tarda Età del Bronzo ... non era probabilmente molto diversa da quella del greggio oggi».3 A quell’epoca lo stagno abbondava solo nelle miniere della regione del Badakhshan, in Afghanistan, e doveva essere trasportato via terra nei vari luoghi della Mesopotamia (odierno Iraq) e nel nord della Siria, da dove veniva poi distribuito nelle località più a nord, a sud o a ovest, comprese diverse destinazioni nel Mar Egeo. Bell continua: «La disponibilità di una quantità sufficiente di stagno per produrre ... armi di bronzo deve aver eccitato le menti del grande re a Hattuša e del faraone di Tebe, proprio come il rifornimento di gasolio erogato ai conduttori di SUV americani a costi ragionevoli preoccupa oggi il presidente degli Stati Uniti!»4

Susan Sherratt, un’archeologa dell’Ashmolean Museum di Oxford, ora all’università di Sheffield, ha iniziato a ragionare su un parallelismo simile una decina d’anni fa. Secondo la studiosa, ci sono «autentiche preziose analogie» tra il mondo del 1200 a.C. e quello di oggi, tra cui una sempre maggiore frammentazione politica, sociale ed economica e un sistema di scambi diretti compiuto a «un livello sociale senza precedenti e su distanze senza precedenti». In particolare, la situazione alla fine della tarda Età del Bronzo presenta analogie con la nostra «economia e la nostra cultura globali e sempre più omogenee, ma incontrollabili, in cui ... le instabilità politiche in una parte del mondo possono influire in modo drammatico sulle economie di regioni che si trovano a migliaia di chilometri di distanza».5

Lo storico Fernand Braudel scrisse una volta: «La storia dell’Età del Bronzo avrebbe potuto facilmente essere scritta sotto forma di dramma: è gremita di invasioni, guerre, saccheggi, disastri politici e durevoli tracolli finanziari, oltre ai primi “scontri tra civiltà”». Ha anche suggerito che la storia dell’Età del Bronzo potrebbe essere scritta «non solo come una saga di tragedie e violenze, ma anche come la storia di rapporti positivi e favorevoli: commerciali, diplomatici (anche allora) e soprattutto culturali».6 Ho fatto tesoro dei suggerimenti di Braudel e quindi intendo presentare la storia (o piuttosto le storie) della tarda Età del Bronzo come se si trattasse di una commedia in quattro atti: c’è una trama e ci sono i flash-back necessari a far rivivere i contesti che introducono i protagonisti principali, da quando sono apparsi sulla scena del mondo a quando si sono congedati; dal re Tudhaliya degli Ittiti e Tushratta, sovrano del regno dei Mitanni, sino a Amenofi III di Egitto e Asser-uballit dell’Assiria (un glossario, con l’elenco dei personaggi del dramma, è riportato a fine volume, per coloro che desiderano tenere a mente i nomi e le date).

La nostra storia sarà come una sorta di romanzo giallo, con svolte e colpi di scena, falsi indizi e piste concrete. Per citare Hercule Poirot, il leggendario detective belga creato da Agatha Christie – che era tra l’altro sposata con un archeologo7 – dobbiamo usare le nostre «piccole cellule grigie» per intrecciare in un unico ordito le diverse prove alla base della nostra cronaca, tentando di capire perché un sistema internazionale stabile sia crollato di colpo, dopo aver prosperato per secoli.

Però, per comprendere davvero che cosa si sia spezzato nel 1177 a.C. e perché si è trattato di un momento decisivo della storia antica, dobbiamo risalire a un’età precedente, proprio come, per capire le origini dell’attuale mondo globalizzato bisognerebbe risalire al XVIII secolo d.C. e partire dall’Illuminismo, dalla Rivoluzione industriale e dalla nascita degli Stati Uniti d’America. Anche se mi interessa soprattutto esaminare le possibili cause del crollo della civiltà del bronzo nel bacino del Mediterraneo, vorrei sollevare la questione su ciò che il mondo effettivamente perse in quel momento cruciale, quando andarono in frantumi gli imperi e i regni del secondo millennio a.C., e in che misura la civiltà in questa porzione del pianeta è stata bloccata per secoli e si è irrimediabilmente alterata. L’ampiezza della catastrofe fu enorme; si trattò di una perdita che il mondo non aveva mai vissuto, finché non crollò l’Impero Romano, più di millecinquecento anni dopo.