Caro Giacomo,

un giorno assolato, all’ombra di un albero immenso che ci riparava con la sua ombra buona, una studentessa mi chiese per cosa spendo la mia vita. Io le risposi porgendole un fiore di campo, una margherita piccolissima: “Per difendere la bellezza delle cose fragili”.

Viviamo in un’epoca in cui si è titolati a vivere solo se perfetti. Ogni insufficienza, ogni debolezza, ogni fragilità sembra bandita. Dalla terra degli sbagliati scampano temporaneamente quelli che mentono a se stessi costruendo corazze di perfezione, ma c’è un altro modo per mettersi in salvo, ed è costruire, come te, un’altra terra, fecondissima, la terra di coloro che sanno essere fragili. La leggerezza degli uccelli dipende proprio dal peso delle loro ali: è una leggerezza forte, non frutto di superficialità, ma di aspra lotta. Tu hai vissuto in un corpo dalle ali pesantissime, e ti sei librato più leggero di tutti, per tutti farci volare.

Quella ragazza, sotto quell’albero, rimase perplessa. Alla sua tacita domanda “che cosa significa difendere la bellezza delle cose fragili, e perché?”, formulata nell’alfabeto del silenzio con cui si pongono gli interrogativi più difficili, risposi: “Perché ciò che è sacro al principio è sempre fragile, come il seme che nascondeva i rami forti e ampi all’ombra dei quali parliamo”.

La vidi illuminarsi, perché intuì che il suo essere fragile non era una colpa, ma un viaggio in compagnia di tutti gli altri, anche me. Uno dei segreti per riparare e ripararsi, Giacomo, è l’amicizia, e nulla come gli amici tu hai cercato. E nel percorrere il deserto della tua solitudine hai trovato come amici tutti gli uomini, compreso me. Senza amici l’arte di essere fragili è impossibile.

Mesi dopo, quella ragazza mi mostrò la margherita, ormai secca ma intatta, conservata nella teca dei fiori della memoria: le pagine di un libro amato. L’aveva tenuta per ricordarsi della nostra amicizia e del segreto della nostra arte di vivere: difendere le cose fragili.