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Un fiore rosso sbocciò sulla spalla di Daniela.

La sua espressione passò dalla determinazione alla sorpresa mentre la calibro 22 piombava a terra.

Dalla voce di Fabrizio Terranera ogni morbidezza era scomparsa: «Fbi, vi dichiaro in arresto.»

Impugnava con entrambe le mani una Glock semiautomatica. L’odore di cordite riempiva l’aria. Alves lo fissava come se avesse di fronte una blatta. Lasciò che la sua complice gli scivolasse accanto in ginocchio, le mani premute sulla ferita. Pani e Terranera comunicarono con lo sguardo. All’improvviso erano due professionisti che giocavano nella stessa squadra, decisi ad approfittare del vantaggio che la partita aveva loro consegnato.

Il poliziotto tese le mani legate verso Alves: «Il coltello.»

L’uomo parve risvegliarsi da un brutto sogno. Eseguì l’ordine, e Alfredo recise rapidamente i legacci, prima i suoi e poi quelli di Amalia.

«Ho investito su di te e mi hai tradito» disse il brasiliano a bassa voce, guardando Terranera.

Ad Amalia non sfuggì la scelta lessicale: un investimento umano. Peccato si fosse rivelato a rendimento nullo, anzi in perdita, come il peggior titolo-spazzatura. Per Alves era una scoperta difficile da digerire: «Hai fatto il doppio gioco fin dall’inizio. Sei venuto da me. Sei stato tu a propormi di cercare mio padre. Mi hai fregato.»

Terranera sembrava a disagio. «Non è andata proprio così.»

«Non sei una spia dei federali? L’hai appena ammesso.»

«Il Bureau le stava già addosso, l’idea del tocco magico era suggestiva ma troppe cose non tornavano. Solo che al di là dei sospetti non eravamo riusciti a provare nulla: non un testimone, non un indizio, non un insight sui giacimenti. In più, gli Stati Uniti non possono fare indagini autonome sul territorio di altri paesi. Così l’incarico è passato a me.»

«Giuda fetente.» Alves sputò a terra.

«Se vuole raccontarsela così, va bene. Ma non è la storia vera. Quando beve, lei perde l’autocontrollo: il nome di suo padre le era già sfuggito e l’informazione era arrivata al Bureau. Parlo di serate in circoli privati dove ai dadi passavano di mano belle cifre. Non se lo ricorda?»

Alves si passò sulla fronte il dorso della mano, su cui spiccavano vene bluastre. «No… Ora che me lo dici, però, non mi sorprende. Salvo è un veleno che ha circolato troppo a lungo nel mio sangue. Era inevitabile che prima o poi si manifestasse all’esterno. Continua, è destino che i nodi della mia vita si sciolgano qui e ora.»

«Come desidera, Dom. È a quel punto che l’Fbi ha puntato su di me. Un siciliano con lo storytelling perfetto: famiglia, blasone, avidità.»

Amalia non riuscì a trattenersi: «Quindi la storia della pecora nera è una bufala totale. Una fake news, direste al Bureau.»

Fabrizio esibì uno dei suoi sorrisi accalappiafemmine. «Una copertura. Funziona bene, no? Mia madre è morta prima di saperlo e i miei parenti adorano avere un capro espiatorio per la loro inettitudine. In quella veste sono rientrato a Palermo dopo aver contattato la Direzione antimafia per poter lavorare in santa pace.»

Alfredo roteò gli occhi: «La Dia sapeva di questa operazione?»

Terranera parve a sua volta sorpreso: «Ma certo. Anche la procura nazionale antimafia. Tutti sapevano. Non sarebbe stato possibile muoversi a questo livello senza avere il placet italiano. Il minimo contrattempo – un fuori programma, un’intercettazione nelle mani sbagliate – avrebbe mandato in fumo il lavoro di mesi.»

Pani era bianco come un cencio. Amalia aveva capito: se la Dia era coinvolta, allora significava che pure la Dac lo era. Polimeni c’era dentro da subito, e aveva tenuto il poliziotto all’oscuro. L’aveva usato proprio come aveva usato Amalia. Senza cortesie né trattamenti preferenziali: contava vincere, e le pedine ruotavano a seconda della moneta di scambio. In quel momento, ne era certa, il giovane agente stava meditando sul crollo del pilastro che aveva retto lo spicchio più brillante della sua carriera e, forse, il suo intero mondo. Quanto poco sapeva di Alfredo, si sorprese Amalia.

Terranera fraintese quel disagio e si scusò con Pani: «Mi dispiace di non essere intervenuto prima, collega, ma un arresto senza confessione non mi sarebbe servito. Il piano era sin dall’inizio quello di ingraziarmi Alves in cerca del marcio sotto il packaging luccicante. Essere un diamante sintetico per abbagliare i cercatori di roba forte.»

«Dieci e lode. Complimenti» applaudì sarcastico il brasiliano. Daniela gli si era avvicinata strisciando a terra. Tentò di afferrargli un lembo dei pantaloni, ma l’uomo si scostò. La spalla della donna buttava sangue e Amalia ebbe l’impulso di soccorrerla. Fu Alfredo a bloccarla con lo sguardo: prima la ricostruzione dei fatti, poi il senso di umanità.

Fabrizio si rivolse ancora ad Alves. «La verità è che non pensavo di ritrovare suo padre. Con rispetto parlando, la consideravo una sua fantasia. È vero che l’insuccesso iniziale nasce dal mancato impegno dei picciotti. Ma l’ordine non veniva dagli Scicchitano, bensì da me. Mentre garantivo per lei con la mafia sapevo che non c’era terreno per sorreggere un impianto accusatorio. Aspettavo. Perdevo tempo. Tenevo a bada i miei superiori. Solo quando lei mi ha raccontato del suo vecchio amico a Benin City, ho suggerito di coinvolgere l’Ascia Nera nel contrabbando per avere finalmente le prove di un crimine. Ho organizzato questa triangolazione per incastrarla. Sul resto, mi creda, non avrei scommesso.»

«E invece è spuntato Salvo» disse Amalia.

Fabrizio scrollò le spalle. «I nìvuri ce l’hanno fatta. Su una cosa Dom Ezequiel ha ragione: l’invisibilità è una forza poderosa a cui i muri non resistono. Anziché abbatterli, li corrode fino a polverizzarli. Uno dei nigeriani ha parlato con un garzone del racket delle braccia…»

«Sarebbe?» chiese Amalia.

«La cosca che manda i ragazzi a portare gratis la spesa a casa dei clienti. Mica penserà che fiocchino sinceri volontari, spero. Dicevo, il nìvuro una domenica a messa ha parlato con questo garzone che porta le buste a casa di una signora la cui badante bielorussa è amica di una connazionale che lavora come bidella nell’asilo in cui vanno i figli di un’infermiera che ha studiato insieme a una collega che adesso lavora nella clinica sulle Madonie…»

«Mi sono persa» confessò Amalia.

«L’importante è che non si sia perso il nìvuro» tagliò corto Terranera. «L’infermiera le aveva raccontato di un paziente molto anziano, gradevole quanto un cespuglio di ortiche per dire la verità, affetto da demenza senile, che parlava di diamanti, di quanto avrebbe potuto essere ricco, delle occasioni sfumate, dei torti subiti. E allora io ho chiesto al nìvuro come si chiamasse questo tizio. E lui l’ha domandato al garzone che l’ha domandato alla badante…»

«Sì, sì, abbiamo capito. E quindi?»

«Quindi zac, il cerchio si è chiuso.» Terranera allargò le braccia guardando Alves con rimprovero. «Credevo che sarebbe stato felice di ritrovare suo padre.»

L’uomo si era chinato per allacciarsi una scarpa. Proruppe in uno sghignazzo che si mutò in un colpo di tosse. Poi si lanciò in avanti brandendo un grosso sasso. La sua figura color panna attraversò la radura facendo frusciare la giacca. Sarebbe stato ridicolo senza quegli occhi spenti e privi di riflessi, che emanavano fredda crudeltà. Il suo abisso lo aveva risucchiato.

Terranera lo vide arrivare ma i piedi rimasero inchiodati al terreno. Dondolò come un pendolo umano senza staccare dal fianco il braccio con la Glock. L’avversario gli fu addosso, la pietra all’altezza della fronte. Il siciliano si preparò all’impatto, ma l’altro sparì di colpo dal suo campo visivo.

Terranera guardò in basso. Alves, a terra, gli dava la schiena mentre il sangue sgorgava dal naso rotto. Pani gli aveva fatto lo sgambetto e lui, sull’onda dello slancio, si era schiantato. Trascorsero lunghi istanti prima che la scena tornasse in movimento. Il siciliano ansimava, poi alzò l’arma e Amalia non gli lesse in faccia alcun dubbio: era come se una mano di gesso li avesse cancellati. La ragazza si chiese se i riflessi di Fabrizio non fossero stati abbastanza pronti o se si fosse rifiutato di difendersi, e si sorprese del proprio interesse per quel dettaglio. Percependo l’attenzione di Alfredo su di lei, rigirò Alves in modo che potesse respirare.

Qualcosa si mosse. Daniela si accasciò sopra il corpo del brasiliano. I loro abiti avevano perso il nitore originario e i due sembravano un ammasso di biancheria sporca. In quel momento, Amalia colse un particolare. Il petto della donna, torto in un’angolatura innaturale, scopriva il pendente che portava al collo sotto l’uniforme. Ebbe un flashback: lo aveva intravisto dondolare nell’immagine del furgone catturata dalla telecamera. Una bambolina di corda ricoperta di perline colorate impastate con la cera. Due croci al posto degli occhi, una mezzaluna nera per bocca.

L’infermiera prese in mano la bambolina. «È tutta colpa vostra» sibilò. «Adesso One-Eye si troverà un’altra. Lui è così, non può stare senza. Neanche questo sortilegio d’amore funzionerà, se io sono lontana. Posso avvertirlo almeno? Lo chiamo ogni giorno, in modo che non si dimentichi. Vorrei dirgli che mi mancherà. Quanto ci vorrà prima che esca di prigione? One-Eye non aspetta, ma torna sempre. Per gli affari, gli affari sono importanti. Andrò a cercarlo e l’altra, qualunque altra, in un modo o nell’altro, sparirà.»

Gli occhi obliqui scivolarono sul tronco di una delle querce circostanti.

A mezz’altezza stava una piccola sagoma dal pelo rosso.

Uno scoiattolo finiva in pace la sua merenda.