47
Martedì 11 luglio 2017
Di ritorno al giornale, Amalia aveva trovato una brutta sorpresa.
Le sue piante con le foglie pendule e gli steli mollicci. La lithops gonfia come un rospo annegato. Tutte stecchite.
Qualcuno, in sua assenza, le aveva innaffiate troppo. I sottovasi erano stracolmi di acqua e, sicuramente, di larve di zanzara tigre. Lei avrebbe creduto a un eccesso di zelo animato da buone intenzioni, senonché quel qualcuno si era preso la briga di abbassare le tapparelle. Ristagno e assenza di luce: un cocktail micidiale di cui chiunque si intendesse di giardinaggio conosceva gli effetti. Amalia in cuor suo non aveva dubbi sull’autore di quel dispetto: l’Unto, il suo nemico, il genio del copia-e-incolla, il fantasista del fancazzismo, nonché l’uomo-più-brutto-del-mondo. Poteva darsi che la sua vacanza senza preavviso non fosse stata digerita da altri colleghi, ma nessuno di loro si sarebbe spinto fino a quegli abissi di meschinità.
In silenzio, aveva fatto piazza pulita delle carcasse vegetali. Non aveva salutato nessuno né rivolto del sarcasmo gratuito a Lele Goggi. Il Capo aveva aspettato di vederla bussare all’Acquario, poi si era rassegnato. Sapeva che era questione di tempo.
In quel momento Amalia era seduta alla scrivania. Aveva finito. Centocinquanta righe a cui, però, mancava il titolo. Le veniva in mente solo robaccia tipo: «La doppia vita di Mister Diamond», oppure: «Diamanti e morte a Palermo», o ancora: «L’ombra dell’Ascia Nera oscura i brillanti». Alzò gli occhi al cielo. Colpa del nuovo corso che li induceva a ibridare la cronaca con il sensazionalismo. Dove buttarsi? Alla fine ci arrivò. Doveva separare gli articoli: l’ossessione di un uomo per il suo passato dal patto di sangue e soldi tra cosche transoceaniche. Con la prima che aveva fatto da detonatore al secondo. E infine, ciò che li teneva insieme: l’imbroglio dei diamanti sintetici creati da un genio disadattato nel polmone verde del Sudamerica. Quello era l’aspetto più clamoroso ma anche più scivoloso: quanto poteva prendere per buona la ricostruzione di Alves? Quanto era in sé, dopo un parricidio? Fatti o farneticazioni? E lei, di conseguenza, fin dove avrebbe potuto spingersi?
Il brasiliano era stato portato via dalla squadra Mobile di Palermo, e per quanto ne sapeva ora poteva trovarsi in un ospedale psichiatrico. Alla fine erano arrivati i nostri: in ritardo come nei film. Daniela Maestri era stata medicata da uno dei dottori della clinica. Una pattuglia era andata in cerca di Paride e della moglie, per interrogarli. Nella confusione, Fabrizio Terranera si era dileguato. E, con sommo sdegno di Amalia, anche Alfredo. Lei si era ritrovata a bordo di un aereo per Fiumicino, dopo una sbrigativa visita medica e con in mano un sacchetto di patatine. Il commiato dei poliziotti al check-in aveva sprizzato calore umano: «Resti a disposizione e non parli.» Il «buon viaggio» era sottinteso.
Amalia aveva obbedito. In compenso, aveva scritto tutto quello che ricordava e dal suo punto di vista. Si riscosse e tornò alla decisione di vivisezionare l’articolo monstre. Sì, serviva una “doppia”.
Ragionò sulle due pagine: suddivisione dei pezzi, cronaca, approfondimenti, fogliettone di colore. Magari qualche intervista? Non aveva ancora avvertito nessuno. Era così sicura di sé da puntare all’effetto sorpresa. Grazie al piano di contenimento dei costi, tutti i redattori avevano seguito un corso istantaneo di grafica. Lei intendeva presentarsi in riunione con la laserina delle pagine già disegnate, e spiegare il tutto solo allora. Un’imboscata bella e buona. Alzò l’indice sul tasto ELIMINA, ma non l’abbassò. Perché buttare centocinquanta righe che si potevano scomporre e riciclare? Degli articoli, come dei maiali, non si butta niente. Si rimise all’opera. Navigava nella calma piatta, quando la testa spruzzata di grigio del Capo occupò il suo campo visivo.
«Visite» disse. La laconicità era contagiosa.
Lei si alzò. Maraschini era svanito nel corridoio che portava alla sala riunioni, lo seguì. Sul tavolo c’erano un bricco di caffè caldo, due bottiglie di minerale liscia e gassata, cornetti farciti. Ospiti di riguardo, fece in tempo a pensare Amalia ruotando la maniglia della porta a vetri. E poi li vide, in piedi, appoggiati al muro nell’angolo cieco tra le due pareti.
Fabrizio Terranera, in jeans antracite e polo verde acqua, sembrava un golfista sbarcato nella capitale per un torneo All-Star. O forse era solo l’immagine restituita dalle lenti della sua immaginazione, dato che non aveva mai conosciuto un agente dell’Fbi prima d’allora. Si chiese dove tenesse il distintivo d’argento con l’aquila reso familiare dalle serie televisive. Il ragazzo appariva perfettamente padrone di sé, solo gli occhi restavano lucidi, come se conservassero ricordi sgradevoli. Accanto a lui, Alfredo Pani faceva molleggiare le gambe magre e guizzare gli occhi sul panorama urbano fuori dalla finestra. Portava una delle sue magliette che aderiva ai pettorali. Era meno muscoloso dell’altro, ma aveva l’energia a riposo di una tigre in gabbia. I due non avrebbero potuto essere di aspetto più diverso, eppure – alla fine Amalia l’aveva capito – avevano molto in comune. Non ebbe tempo per ulteriori introspezioni. Alfredo ordinò: «Fammi leggere.»
Lei non finse di non capire: «Non ho nemmeno cominciato.»
«Meglio, così non sprechiamo tempo. Né tu, né noi.»
E allungò la mano in un’esplicita richiesta. Amalia guardò il Capo in cerca di sostegno. Lui si strinse nelle spalle: «Sono dalla tua parte. Ma non ho la più pallida idea della materia del contendere.»
Un lampo di sorpresa animò gli occhi dell’agente della Dac. «Sei sempre la solita» ridacchiò.
Amalia comprese di aver commesso, prima ancora di un peccato di arroganza, un errore madornale. Avrebbe dovuto condividere tutto con il giornale per coprirsi le spalle. Le venne in mente la scena clou di qualsiasi suspense movie: L’hai detto a qualcuno, bella? No? Allora il tuo segreto muore con te… Tornò in sé. Roma, interno giorno, sala riunioni di un quotidiano al terzo piano di un palazzo del centro. Con tre persone, nessuna delle quali aveva il volto coperto da un passamontagna. Provò una collera improvvisa.
«Gentile da parte tua essere passato a sincerarti delle mie condizioni. Sto bene, grazie, solo un po’ scossa. E adesso ho da fare.»
«Amalia, non scherzo. Dobbiamo parlare.»
«Lo stiamo facendo. Ma non colgo il punto.»
«Il punto te lo dico io» intervenne Terranera. Aveva la voce arrochita dalla stanchezza o dal calo di adrenalina. Una voce che avrebbe potuto contenere molte promesse. Piacevole, ammise Amalia. Il seguito lo fu di meno: «Ci sono delle cose che puoi scrivere, e altre no. Molto semplice, come vedi.»
«E chi lo dice?»
Lui le piantò addosso i suoi calmi occhi scuri. «Noi.»
«Ah ah. Non sei Clarice Starling nel sequel del Silenzio degli innocenti. Non le assomigli nemmeno.»
Silenzio.
Lei insistette: «Siamo in Italia, non a Trumpland. Qui ci si regola sui limiti della libertà di stampa, e io non li ho oltrepassati. Come minimo, è stato commesso un omicidio davanti ai miei occhi. Ai nostri, se vogliamo essere precisi. Negarlo è impossibile. Insabbiarlo, peggio.»
Il capo esibì l’intera chiostra di denti e si alzò in tutta la sua statura da ex giocatore di pallacanestro. Li sovrastava: «Signori, se è così…»
Gli altri due non si mossero. Uno a fianco dell’altro. Un team.
«Nessuno vuole insabbiare» disse pacato Pani.
Amalia alzò un sopracciglio.
«Questa parte della storia» concluse Terranera.
Maraschini capì l’antifona. «Ok. Sediamoci e mettiamoci d’accordo.» E diede l’esempio, riempiendo un bicchiere d’acqua fino all’orlo. Gli altri lo imitarono.
La proposta, in effetti, era semplice: Il Vero Investigatore aveva campo libero sulla vicenda personale di Alves. Vale a dire la ricerca del padre, il fortunoso reperimento del medesimo, fino al barbaro gesto che aveva messo fine a un’oscura saga familiare. Dopo un po’ di tira e molla, si concordò che Amalia potesse menzionare Daniela Maestri come accoltellatrice del povero Borghi: una ragazza dalla psiche fragile plagiata dal maturo tycoon.
Tutto il resto era off limits.
«Non se ne parla» protestò Amalia. «Il reattore al plasma è la parte che trasforma un’interessante notizia in uno scoop mondiale.»
«Di cui non hai la minima prova» obiettò Alfredo.
«Ho una con-fes-sio-ne rilasciata davanti a quattro testimoni.»
«E quali?» domandò innocente Fabrizio.
Lei sbuffò: «Andiamo, ci sono mille riscontri. Alves è vivo, e pazzo com’è parlerà. E la Maestri cercherà di alleggerire la sua posizione per ottenere un patteggiamento. Ci sono le intercettazioni dell’Antimafia. E poi, a me interessa la paternità della storia.» Amalia fece un sorriso tirato: «Di riempire i buchi si occuperanno i colleghi, no? Lanciamo il lead e la stampa americana ci si getterà a pesce. Il Vero Investigatore non ha le risorse per andare a fondo, ma uno dei tanti che ambiscono al prossimo premio Pulitzer non si tirerà indietro.»
Terranera precisò: «Non ci saranno intercettazioni a tua disposizione. Né testimonianze. E a proposito, Alves è già stato trasferito in un carcere federale sul territorio degli Stati Uniti.»
«Ma non si può!» Amalia si alzò così di scatto che rovesciò la sedia. «È stato arrestato per reati commessi qui. Il giudice che dice?»
«Il giudice non lo sa» rispose a bassa voce l’agente federale.
A quel punto anche Maraschini cominciò ad agitarsi. «Una extraordinary rendition? Adesso arriva pure la Cia? Chiamo il nostro avvocato…»
Terranera sospirò. «Non c’è bisogno di scaldarsi. Provo a spiegarlo da un’altra angolazione: il rapporto tra l’Ascia Nera e gli Scicchitano non è concluso. Rischia di estendersi come il contagio di una brutta malattia. Il tentacolo che faceva capo ad Alves è stato tagliato, ma altri restano operativi. Riusciremo a smantellare l’intera struttura. Però ci servono tempo, pazienza e discrezione.» Scoccò ad Amalia uno sguardo ammonitore. «Chiaro?»
Lei guardò Pani. «E voi lo permettete? Cos’è, neocolonialismo?»
L’agente tolse alcune briciole invisibili dal ripiano del tavolo. «Si chiama collaborazione sul campo. Sarà la più grossa vittoria contro la criminalità organizzata degli ultimi anni, grazie a un’operazione transnazionale. E i nostri partner non sono i vigili urbani di Andorra, ma i ragazzi di Edgar J. Hoover. Qual è la parte che non ti suona?»
Amalia ammutolì. Capiva da sola l’impatto mediatico di quello scenario. Per loro, non per lei.
Alfredo si addolcì: «Non puoi stravincere. Lo sai. Non è così che vanno le cose.»
«E la Tornado Vermelho? Che fine farà nel vostro schema?»
Terranera rispose serio. «È gente meno violenta ma non meno pericolosa. Non vi ha insegnato niente Lehman Brothers? Quando il mercato scazza, i primi a finire schiacciati sono i risparmiatori-formichine. Spazzare via gli avvoltoi è un godimento.»
Amalia si morse il labbro.
«Ma prima di affondare il quartier generale» proseguì lui, «ci serve la mappa delle succursali: dai giacimenti agli intermediari, fino a eventuali collusioni tra i gemmologi. Inutile aggiungere che qualsiasi fuga di informazioni pregiudicherebbe il successo dell’operazione. E provocherebbe il panico nelle Borse.»
«Me ne infischio. Noi scriviamo e vediamo come andrà a finire.» Amalia gli rivolse uno sguardo di sfida che virò sull’interrogativo incrociando quello di Maraschini. Rigido sulla sedia, il Capo ricambiò; sotto le sopracciglia sale e pepe, però, c’era un muro inscalfibile, e neppure un guizzo di complicità.
Amalia represse l’impulso di scappare come una bambina, ma alla fine parlò a voce alta, rivolta a se stessa: «Ho perso ancora.»
Alfredo replicò di getto: «Era la Dac a premere per insabbiare. Polimeni stava per mettere i sigilli all’intera storia. C’è stata una trattativa. Uno scambio di opinioni, diciamo. È finita che Alves è tuo. Compreso il Palio di Siena: ha ammesso di aver truccato la corsa. Non per soldi, ma solo per il gusto di farlo. Guarda che è un boccone grosso. Se lo sai raccontare e se vorrai farlo. Se riesci a venire a patti con il genere umano, Amalia.»
Lei lo sentì appena. Ignorò le voci che si accalcavano. Aveva le guance in fiamme, le lacrime che traboccavano dagli occhi, il cuore impazzito. Uscì e sbatté la porta alle sue spalle augurandosi che si spezzasse e che migliaia di schegge di vetro li colpissero.