20

Al lavoro, James mi tratta con estrema gentilezza. Intuisce che sono combattuta tra sentimenti contrastanti, che sto elaborando qualcosa d’importante. Ormai dev’essersi pentito di avermi assunto, non gli ho creato altro che problemi fin dal primo giorno.

Non so come, riesco finalmente a concentrarmi sul lavoro; anzi dedicarmi all’organizzazione della mostra è un conforto, perché mi costringe a mettere da parte il ricordo spaventoso di ieri sera. Quando ci ripenso, provo un orrore sordo. Mi sento prigioniera di un incubo in cui amore e dolore sono strettamente, inestricabilmente annodati e, per la prima volta, temo che il loro intreccio sia superiore alle mie forze.

Ripenso a Adam – placido, prevedibile – che aspetta il mio ritorno a casa. Magari è quella la soluzione giusta. Forse il mondo delle passioni travolgenti e delle sensazioni estreme non fa per me.

Comunque vada, l’esito è uno solo: che continui o che smetta, mi si spezzerà il cuore.




Nel pomeriggio, James mi porta una tazza di tè. «Ho avuto notizie di Salim.»

Si riferisce al suo assistente, un collaboratore straordinariamente organizzato ed efficiente, a giudicare dall’archivio.

«Lo dimettono la settimana prossima», prosegue, avvilito. «Dopodiché riprenderà a lavorare qui.»

«Me l’avevi detto. Non mi hai mai illuso che le cose sarebbero andate diversamente.»

Lui sospira, e si sfila gli occhiali. «Lo so. Ma è stato così bello averti qui, Beth. Per cominciare, hai dato una scrollata alla mia routine. Vorrei tanto che esistesse un modo di tenerti.»

«Non preoccuparti», dico, con un sorriso. «La settimana prossima devo lasciare l’appartamento di Celia. Ho sempre saputo che questa vita era una parentesi temporanea.»

«Oh, Beth.» Mi appoggia la mano su un braccio. «Mi mancherai. Spero che continueremo a essere amici.»

«Ma certo. Non ti libererai di me tanto facilmente!» Mi sforzo di assumere un tono leggero, ma in realtà l’annuncio mi ha gettato nell’incertezza. Cosa farò, adesso? Anche ammesso che Laura sia disposta a condividere un appartamento, non sarà prima dell’autunno. Fino ad allora, sarò costretta a tornare dai miei. Senza un lavoro né un posto dove stare, cosa mi trattiene qui?

Dominic?

Scaccio il pensiero dalla mente. Soffro troppo a pensarci. Entrambe le alternative – con lui o senza di lui – sono altrettanto dolorose.

«Se dovesse saltar fuori un’opportunità, te lo farò sapere», dice James.

«Grazie. Te ne sarei davvero grata.»

«Come vanno le cose con Dominic?» domanda, un po’ timido. «Nessuno sviluppo?»

Resto zitta per un momento, incerta su quanto confidargli. Infine rispondo: «Non credo che possa funzionare. Siamo troppo diversi».

«Ah.» Sembra sapere di cosa parlo. «Temo sia un po’ come quando una donna s’innamora di un gay. S’illude di poterlo cambiare, ma è impossibile.» Mi accarezza di nuovo il braccio, confortante. «Mi dispiace, tesoro. Vedrai, incontrerai qualcun altro.»

Se apro bocca ho paura di scoppiare a piangere, così mi limito ad annuire. Poi abbasso lo sguardo sul database dei clienti, per non fargli vedere che ho gli occhi pieni di lacrime.




Venerdì sera, mentre rientro a casa, le strade londinesi sono piene di vita, sebbene il sole sia definitivamente sparito dietro un fitto strato di nubi. Fa ancora caldo, e l’aria è umida, ma meno del solito.

Non appena salgo in ascensore, ho il presentimento che qualcosa sia cambiato e, quando apro la porta dell’appartamento, sento che l’atmosfera è diversa. Per la prima volta, De Havilland non corre ad accogliermi, a coda dritta. Poi vedo due grosse valigie in anticamera.

«Iu-uh», cantilena una voce, e un attimo dopo una signora anziana ed elegante compare sulla porta del salotto. È alta e indossa un raffinato abito di seta blu, a portafoglio; il viso è segnato dalle rughe, ma la pelle sembra soffice come quella di un neonato, e i capelli d’argento sono acconciati in un taglio cortissimo e chic.

Celia.

Resto a guardarla a bocca aperta.

«Lo so, lo so», si affretta ad aggiungere lei, avvicinandosi e tendendomi le mani. «Avrei dovuto telefonare. E volevo farlo ma, quando ne ho avuto il tempo, il mio cellulare non funzionava e, non appena si è ripreso, ero troppo indaffarata tra passaporto, check-in e tutto il resto.»

Sono ancora frastornata mentre mi afferra le mani e mi bacia sulle guance. «Avevo capito male?» domando. «Credevo tornassi la settimana prossima.»

«No, infatti, il programma era quello, ma non potevo restare un solo minuto di più in quell’orrendo ritiro. Una noia mortale. Stento a credere di avere resistito tanto. Per non parlare della cucina!» Alza gli occhi al cielo. «Sarò anche viziata, mia cara, ma dove sta scritto che mangiare male sia un imperativo morale? Al contrario, io riesco a comportarmi molto meglio se posso godere di tre deliziosi pasti al giorno. Spero tanto di non averti deluso tornando in anticipo.»

«Certo che no», ribatto. Ma sono delusa eccome. Terribilmente.

«Con questo, non voglio mandarti via. Trattieniti pure sino alla fine della vacanza, anche se temo che dovrò riprendere possesso del mio letto. Noi fragili vecchiette non possiamo fare a meno del nostro materasso di lusso e dei cuscini di sostegno, purtroppo. Ma, a quanto dicono i miei ospiti, il divano in salotto è più confortevole di molti letti d’albergo. Quindi siamo a posto.» Mi sorride. Ha davvero una carnagione straordinaria, morbida come la seta.

«Se non sono d’impiccio...» azzardo, dubbiosa. Dopotutto, non ho un altro posto dove stare e manca ancora una settimana alla scadenza del contratto con James. Forse dopo il weekend riuscirò a trovare un’altra sistemazione, anche se non riesco nemmeno a immaginare dove.

«Al contrario, mia cara. L’appartamento è in condizioni perfette e De Havilland in forma smagliante. È evidente che ti sei presa ottima cura del mio piccolo angelo. Dimmi, hai già impegni per questa sera, o mi permetti d’invitarti a cena?»

Non ho programmi, salvo spiare dalla finestra del salotto nella speranza di vedere Dominic. Evidentemente il piano dovrà aspettare. «Accetto volentieri, Celia, grazie», rispondo, spremendomi un po’ di entusiasmo.

«Ottimo. Ti porto al Monty’s Bar. La cucina è paradisiaca, e francamente me lo merito, dopo tanti stenti.»




Il Monty’s Bar e la cena offerta da Celia sono magnifici, eppure continuo a rimpiangere di non trovarmi da sola nell’appartamento silenzioso, con la possibilità di scoprire se Dominic è uscito oppure no. Celia m’intrattiene con una conversazione brillante e vivace, e si dimostra sinceramente interessata al racconto del mio soggiorno londinese e del lavoro alla galleria, ma io sento che il mio posto è altrove. Rincasiamo tardi e, quando finalmente ho la possibilità di sbirciare dalla finestra del salotto, l’appartamento di fronte è al buio.

Celia mi ha preparato il divano con tanto di trapunta e guanciale, e io mi rannicchio tra le lenzuola, ma resto insonne a lungo. Riesco solo a fissare le finestre scure di fronte, e a domandarmi dove sia lui, e cosa stia facendo.




Sabato mi rendo conto che Celia ha bisogno del suo spazio, per disfare i bagagli e riprendere possesso della casa, così esco presto e faccio una lunga passeggiata solitaria. Mi sembra di rivivere i miei primi giorni in città, quando mi aggiravo per Londra in mezzo agli altri turisti, o mi mettevo in coda davanti al British Museum o al Victoria & Albert. Ogni mezz’ora controllo il cellulare, sperando invano che Dominic si faccia vivo, per quanto mi sembri improbabile. Ho chiuso il nostro ultimo incontro urlando che volevo farla finita. A questo punto mi avrà già liquidato come una causa persa e, avendo già ottenuto la strana espiazione di cui aveva bisogno, io non gli servo più.

Eppure non riesco a rassegnarmi all’idea che possa rinunciare a me senza alzare un dito, che non sia disposto a cambiare almeno un po’, per riavermi. Ma le ore passano, e il cellulare tace.




Rincaso accaldata e stanca nel tardo pomeriggio, e trovo Celia ad aspettarmi, più calma e rilassata ora che ha sistemato il bagaglio. «Direi che ti serve un tè», dichiara, e prepara una teiera di Earl Grey, accompagnata da deliziosi, minuscoli biscotti all’albicocca.

Mentre sorseggiamo il tè, lei chiacchiera del più e del meno, e poi dice: «Oh, sì... ora che ci penso... Entrando in casa, ieri, ho trovato una lettera per te sullo zerbino. L’avevo lasciata sul tavolo, con l’intenzione di avvertirti, ma poi mi è sfuggito di mente. L’ho rivista stamattina, dopo che eri uscita».

Appoggio la tazza in fretta e furia e mi precipito in anticamera. La busta di carta spessa, color crema, che ormai conosco tanto bene è là, intestata a mio nome nella calligrafia di Dominic. Mi tremano le mani. La strappo e trovo un cartoncino scritto a mano.



Cara Beth,

non smetterò mai di rispettare il tuo coraggio e il tuo valore. Ciò che ti ho chiesto di fare ieri sera richiedeva un’enorme forza di carattere. So di averti spinto al limite, e capisco perfettamente che tu non voglia andare oltre. Semmai sono io a dover accettare un compromesso in merito alle mie esigenze, Beth, non tu. Sono stato egoista, ma ho imparato che, in questo modo, non riuscirò a ottenere ciò di cui ho davvero bisogno: tu, Beth.

Ho avuto la mia occasione, me ne rendo conto. Hai creduto in me molto più a lungo di quanto qualsiasi altra donna sarebbe riuscita a fare. E ciononostante sono riuscito a rovinare tutto. Dopo quanto è accaduto, non oso nemmeno sperarlo ma, se vuoi parlare, stasera sarò nel mio appartamento.

Se non dovessi sentirti, capirò che non vuoi più saperne di me, e rispetterò la tua decisione.

Ti auguro di essere molto felice con Adam.

Con tutto il mio amore,

X D.

P.S. Il boudoir è a tua disposizione. Usalo per tutto il tempo che vuoi.



Resto senza fiato dall’orrore. Lui mi aspettava ieri sera. Mentre ero fuori a cena con Celia, Dominic era a casa, a domandarsi se sarei arrivata.

E il biglietto lascia intendere che è disposto a cambiare, a tentare un altro modo di stare insieme.

Oh, mio Dio. È troppo tardi?

Corro in salotto e guardo la finestra di fronte. La tenda è tirata, ma dietro il leggero tessuto di garza intravedo una sagoma che si muove.

È in casa. Sono ancora in tempo.

Mi rivolgo a Celia, che mi guarda vagamente perplessa dal divano. «Devo uscire. Non so a che ora torno.»

«Come desideri, mia cara», risponde lei, accarezzando De Havilland, raggomitolato sulle sue ginocchia. «A più tardi.»

Corro fuori, senza nemmeno un saluto.