I primi canti dell’Iliade sono destinati all’«esposizione del tema», come avviene in una sonata.
Le nubi si addensano sulle pianure degli uomini. Gli Achei (come Omero chiama i Greci) sono giunti alle rive troiane, di fronte alla città del re Priamo, nove anni prima. I soldati sono sfiniti. La loro coesione, rinsaldata dall’autorità di Agamennone, si sfalda, perché il desiderio di porre fine al conflitto prevale sull’ardore. Il tempo ha affievolito il loro slancio.
Agamennone commette un errore: rapisce la schiava e amante di Achille, Briseide, una giovane che aveva preso con sé come parte del bottino di guerra. Mai mossa fu più malaccorta! Il biondo e avvenente eroe, Achille dal piede veloce, capo dei Mirmidoni e caro a Zeus, è il più valoroso dei guerrieri. Umiliato, si rifugia nella propria tenda per ruminare la rabbia e non prende parte all’assalto dei suoi compagni.
Questo sarà il primo volto della collera di Achille: ferito nell’onore, si rinchiude in un ostinato silenzio. In seguito, riprenderà le armi per vendicare Patroclo, l’amico ucciso in battaglia. La sua rabbia diventerà allora una furia titanica, inestinguibile. Ma procediamo con calma...
Omero descrive le forze coinvolte nella guerra: è la lunga litania dei popoli armati che formano la coalizione achea. Scopriamo un’insospettata geografia di isole e mari lontani in cui regnano principi sconosciuti e signori dimenticati. Chi si ricorda degli uomini comuni? Sono poi davvero esistiti? Omero snocciola un singolare elenco.
Dei Beoti erano a capo Peneleo e Leito
e Arcesilao e Protoenore e Clonio,
dei Beoti che abitavano Iria ed Aulide rocciosa
e Scheno e Scolo ed Eteono ricca di colli,
Tespia e Graia e Micalesso spaziosa,
e di quanti abitavano intorno ad Arma ed Ilesio ed Eritre,
e di quanti occupavano Eleone ed Ile e Peteone,
Ocalea e Medeone, città ben costruita,
e Cope ed Eutresi e Tisbe piena di colombe,
e di quanti abitavano a Coronea e ad Aliarto erbosa,
ed a Platea ed a Glisante
e ad Ipotebe, città ben costruita,
e nella sacra Onchesto, santuario splendido di Posidone,
e, ancora, ad Arne ricca di uva, ed a Midea
e a Nisa divina e, sul confine, ad Antedone.
(Iliade, II, 494-508)
La lista potrebbe continuare. Perché il cantore si diletta in questo esercizio? Per la gloria di un universo che si compone come un mosaico. La Grecia antica non si cura dell’universalità o dell’unità del mondo. Nulla di ciò che è greco si riconosce come globale. Gli uomini e i luoghi sfavillano nella loro diversità, cangianti e composti di parti distinte le une dalle altre e in reciproco contrasto poiché, come sosteneva l’antropologo francese Lévi-Strauss, è bene salvaguardarsi da qualunque omologazione.
L’«uomo», così come è stato forgiato dall’Illuminismo, non esiste tra i Greci di Omero. Qui ciascuno ha un volto, un’armatura, una stirpe e un re. Il Catalogo delle navi delinea una realtà selvaggia, splendida, inafferrabile, che solo la descrizione, mai l’analisi, può cogliere. Questo mosaico non ha un significato da scandagliare: ci basti dunque individuarne le tessere.