La maledizione della hybris

Arriva il culmine della sventura achea. Il muro sta per cedere. Nell’Iliade il muro è simbolo di protezione e sovranità, e al tempo stesso il limite oltre il quale non spingersi. Un muro, come una frontiera, è un tesoro prezioso e, quando vi si apre una breccia, la sciagura è inevitabile. Quanti, al giorno d’oggi, agognano un pianeta senza nazioni o frontiere dovrebbero sedersi alla placida ombra di un bastione e meditare sui versi dell’Iliade.

Dilagavano quindi a falange, prima di tutti Apollo

armato dell’egida gloriosa; e abbatteva il muro degli Achei

senza alcuna fatica, come al mare spiana la sabbia

un bambino, che dopo aver fatto un muretto per gioco,

lo butta giù di nuovo, per divertirsi, con le mani e coi piedi.

(Iliade, XV, 360-364)

La difesa è violata. Ettore ordina l’assalto alle navi, i troiani obbediscono.

Ci sono voluti quindici canti per arrivare a questo.

Ettore dunque, afferrata la poppa, non la mollava,

tenendo stretto l’aplustre nella sua mano, ed incitava i Troiani:

«Portate il fuoco e tutti insieme levate il grido di guerra!».

(Iliade, XV, 716-718)

Achille aveva promesso di intervenire quando i Troiani fossero arrivati alle navi. È giunto quindi il momento di agire. Achille, tuttavia, ancora non interviene. Si limita ad ascoltare le suppliche di Patroclo, permettendogli di andare in battaglia con indosso le sue armi. Un po’ come mandare in guerra il suo ologramma.

Avevo pur detto

che avrei smesso dall’ira, non prima, ma quando

il grido di guerra fosse giunto alle mie navi.

Poni pure sulle tue spalle le mie splendide armi.

(Iliade, XVI, 61-64)

È una beffa di Omero? O il pretesto, per lui, per ricordarci che alla hybris non si sfugge?

Achille, che a breve si trasformerà in una belva inferocita, dà al suo amico consigli di temperanza.

Non accada che tu, ebbro di guerra e battaglia,

scannando Troiani, conduca l’esercito ad Ilio,

che non venga in campo contro di te dall’Olimpo

qualcuno degli dei sempiterni.

(Iliade, XVI, 91-94)

Colui che diventerà il peggiore dei mostri invita il suo amico a trattenersi.

Dovremo ricordarci di questi versi quando assisteremo ai massacri compiuti da Achille. Patroclo non lo ascolta e fa scempio tra i ranghi troiani. Folle, fu accecato davvero sono le parole che usa Omero per descriverne il furore. Uccide Piraicme, Areilico, Pronoo, Testore, Erilao, Erimante, Epalte, Anfotero...

Oltrepassa i limiti, macchiandosi della colpa suprema. Come in tutte le storie omeriche, l’eroe si rende causa del suo male. Ogni violenza contiene in sé la propria condanna, la tracotanza esige un’immediata punizione. È un destino dal quale non c’è scampo.

Patroclo viene colpito da Apollo e ucciso da Ettore con un colpo di lancia al ventre. Il valoroso troiano emetterà la sua sentenza su Patroclo prima ancora che questo esali l’ultimo respiro:

Misero, non t’è stato d’aiuto Achille, per quanto valente,

lui che, restando inattivo, dava ordini a te che partivi.

(Iliade, XVI, 837-838)

Ma la hybris non ha finito di fare danni. La forza cieca si scatena sulla Terra. Gli uomini passano, le truppe si scontrano, gli eroi muoiono, la tracotanza, alla stregua di un virus, si trasmette dall’uno all’altro. Subito è Ettore a essere contagiato dal morbo dell’eccesso. Dopo aver spogliato Patroclo dell’armatura di Achille, la indossa senza alcun rispetto per il cadavere. E Zeus non esita ad ammonirlo:

Te sventurato, non pensi affatto alla morte

che invece t’è addosso; tu vesti le armi immortali

di un uomo valente, che pure gli altri paventano;

hai ucciso il suo compagno, mite e forte,

gli hai tolto le armi dalla testa e dalle spalle

senza riguardo.

(Iliade, XVII, 201-206)

L’uomo ravvisa la tracotanza nei suoi simili e la condanna, salvo poi macchiarsene a sua volta. È un essere pateticamente commovente: nei confronti degli altri è capace di una lucidità che non riesce ad avere nei confronti di se stesso.