Achille apprende la notizia della morte di Patroclo, il suo amico, il suo doppio. Sconvolto dal dolore, prende una decisione e si riconcilia con Agamennone. Tornerà a combattere. Ma non ha più armi, perché Ettore le ha sottratte a Patroclo. È l’occasione, per Omero, di comporre il superbo interludio della visita di Teti a Efesto per chiedergli di forgiargli delle armi. Crudele ironia della sorte che sia la sua stessa madre a spianare ad Achille la strada verso il proprio destino, ovvero la morte.
Afflitto dalla perdita dell’amico e con una nuova, scintillante armatura, l’eroe è pronto alla battaglia. La sua furia può scatenarsi.
Achille balzò sui Troiani, armato in cuore di ardire,
lanciando un urlo terribile, e per primo ammazzò Ifitione.
(Iliade, XX, 381-382)
Conosciamo il meccanismo della hybris. Nulla potrà più fermare il veloce Pelide: nessuna compassione, nessuna distinzione. Senza paura e senza pietà, colpisce, uccide, massacra. Omero dedica centinaia di versi a questa galleria degli orrori, suscitando sgomento e disgusto nel lettore.
Anche gli elementi si ribellano alla tracotanza: la guerra diventa cosmica. Gli uomini, gli animali, gli dei, l’acqua, il fuoco: nulla è risparmiato dalla lotta. Gli uomini sono riusciti a manomettere la macchina universale. Scatta la mobilitazione totale.
Il fiume Scamandro tenta di arrestare la furia cieca dell’eroe, esonda dal suo letto, vuole trascinare via Achille.
Senza posa così l’onda del fiume era addosso ad Achille,
per quanto veloce; ma gli dei son più forti degli uomini.
(Iliade, XX, 263-264)
Achille lotta per non annegare.
Anche in questo antagonismo tra uomo e natura è possibile ritrovare un’analogia con i tempi moderni: noi umani ci siamo comportati, verso l’ambiente che ci circonda, come Achille verso gli dei. Gli abbiamo mancato di rispetto e ne abbiamo manomesso l’equilibrio. Abbiamo oltrepassato i limiti: abbiamo sprecato le risorse, fatto estinguere animali, sciogliere ghiacciai e inaridire terreni. Oggi il nostro fiume Scamandro, la natura in tutte le sue manifestazioni, rompe gli argini e ci segnala i nostri eccessi.
Proprio come Achille, anche noi siamo perseguitati dalle acque, disgustate dal nostro agire. L’allarme ha ormai raggiunto la soglia più alta. Eppure ci ostiniamo a ignorare la necessità di rallentare la corsa verso quell’abisso che continuiamo, stoltamente, a chiamare progresso.