La speranza della pace

Forse sbagliamo a credere che Ulisse abbia ritrovato la quiete? Jankélévitch affermava il contrario. Secondo il filosofo, Ulisse non era soddisfatto del suo ritorno e le nuove avventure preannunciate dall’indovino Tiresia testimoniavano l’irrequietezza che non fa assopire mai, nel viaggiatore maledetto, il fascino della partenza.

Lo studioso si chiede cosa porti Ulisse ad allontanarsi di nuovo dalla propria isola e dalla felicità borghese. Erano forse il tormento di Jankélévitch, i suoi dissidi e il suo dolore a impedirgli di immaginare Ulisse nel compimento del ritorno?

Il poema termina.

I Proci finiscono negli Inferi. Atena, su consiglio di Zeus, soffoca una rivolta delle genti di Itaca. La guerra era sul punto di ricominciare, ma la dea porta la pace. Gli dei non hanno altra aspirazione che il ripristino dell’ordine e il poema si conclude celebrando la concordia e la restaurazione dei tempi antichi, come prima.

È questo il trionfo di Ulisse: ristabilire la situazione preesistente prima di gioire per quel che verrà. L’Odissea si chiude su un patto giurato per il futuro. Poco prima Zeus ha sussurrato all’orecchio di Atena questa tattica per spegnere le discordie tra gli uomini:

Creiamo dimenticanza della strage dei figli

e dei fratelli. Ed essi si vogliano bene gli uni con gli altri,

come prima, e ricchezza e pace vi sia in abbondanza.

(Odissea, XXIV, 484-486)

Zeus invoca la restaurazione dell’ordine antico e Omero pone l’accento su una virtù utile tanto ai singoli individui quanto alla collettività: la capacità di dimenticare.

Se un uomo si macera in sentimenti negativi, finirà per intossicarsi con la sua malinconia. Lo stesso vale per le comunità: se si intestardiscono a non seppellire le loro controversie ed esigono continui pentimenti altrui, non potrà esserci armonia tra gli uomini.

Ormai Ulisse, compiuto un ultimo sacrificio a Posidone, può finalmente godere della pace ritrovata.

Ricorda a Penelope le parole di Tiresia:

E a me, la morte dal mare

verrà, assai dolce, che mi toglierà la vita,

vinto da splendida vecchiaia; e le genti intorno avranno

prosperità. Questo diceva che si sarebbe tutto compiuto.

(Odissea, XXIII, 281-284)

Noi non vedremo questo Ulisse.

Siamo dunque tornati sulle sponde di Itaca e abbiamo assistito alla più bella riparazione possibile: un uomo si è ripreso quella parte di vita che gli era stata strappata. L’ordine antico, rotto dall’arroganza degli uomini, è stato ripristinato da un eroe. L’affronto all’armonia del mondo è stato riscattato.

Grazie a Ulisse, gli eccessi dell’Iliade – la guerra in cui gli uomini hanno trascinato gli dei e il cosmo intero – cadranno infine nel dimenticatoio.

Dovremmo, richiudendo l’Iliade e l’Odissea, ricordarci che la furia della guerra non si è mai davvero sopita. Cova sotto la cenere, sempre pronta a riavvampare. Non è ragionevole addormentarsi sugli allori della pace.

Come spiegare che questo poema vecchio di oltre due millenni sembri essere stato scritto ieri? Agli inizi del Novecento, nel suo Cartesio e Bergson, lo scrittore francese Charles Péguy esprimeva così questo miracolo: «Omero è nuovo stamattina, e niente è forse tanto vecchio quanto il giornale di oggi».

Leggeremo Omero tra mille anni. E oggi troviamo nei suoi poemi le chiavi di lettura per comprendere le vicende che lacerano il nostro mondo. Le parole di Achille, Ettore e Ulisse ci illuminano più delle analisi degli esperti nostri contemporanei, tecnici dell’incomprensibile che dissimulano la loro ignoranza dietro la nebbia della complessità.

Omero, dal canto suo, si accontenta di portare alla luce le «costanti» dell’animo umano.

Cambiate gli elmi e le tuniche, mettete i carri armati al posto dei cavalli e i sottomarini al posto delle navi, sostituite le mura della città con grattacieli di vetro: il resto non è poi molto diverso. L’amore e l’odio, il potere e la sottomissione, la voglia di tornare a casa, la gloria e l’oblio, la tentazione e la perseveranza, la curiosità e il coraggio: nulla è cambiato sulla nostra Terra.

Gli dei hanno assunto altri volti, i popoli sono meglio armati, gli uomini si sono moltiplicati, la Terra si è ristretta, ma portiamo sempre nei nostri cuori una Itaca che sogniamo, di volta in volta, di riconquistare, ritrovare, preservare.

E tutti siamo minacciati da nuovi attacchi. Troia può essere ogni luogo, e gli dei sono sempre in agguato, pronti a sferrare nuovi assalti. Questo non significa che gli uomini siano maledetti e destinati a combattere. Significa che la storia non è finita.

La lettura di Omero dovrebbe incitarci a mantenere a tutti i costi il patto giurato che chiude l’Odissea, in modo che la collera di Achille non si risvegli.

Spero che la dea dagli occhi di civetta, le muse e gli dei sapranno consigliarvi e ispirarvi scelte giuste. È tempo di riprendere il mare, fare rotta altrove o tornare a casa, girando alla larga dalle insidie.