L’eroe di Omero si caratterizza per la forza. Il vigore è il suo vanto: gli permette di agire e di raggiungere i propri obiettivi. Avanza come una belva, fatto per la guerra e per l’azione.
Ma la forza fisica, conquistata o ereditata da nobili natali, è troppo preziosa perché ci si possa permettere di sprecarla. All’inizio dell’Iliade la rabbia muta di Achille lo espone quasi al ridicolo. Dall’offeso silenzio passerà poi alla furia, ma non per questo potrà ambire al pantheon dei veri eroi: malgrado sia un semidio, la sua tracotanza e le sue esitazioni lo privano di qualsivoglia esemplarità.
Non è raro sentire l’eroe celebrare la propria brutalità, per poi magari crollare al suolo un attimo dopo, trafitto da una lancia. Nel mondo antico la forza cieca non è una tara. Oggi ci fa orrore, la morale la biasima, la cultura la disprezza, il diritto la condanna.
Su, Troiani animosi, abili a spronare cavalli,
è rimasto colpito il più forte degli Achei, e non penso che lui
possa reggere a lungo la mia freccia pesante, se davvero mi spinse
il signore figlio di Zeus, quando partii dalla Licia!
(Iliade, V, 102-105)
urla il figlio di Licaone dopo aver colpito Diomede con una freccia.
Ettore, dal canto suo, si pavoneggia così con Achille:
Io invece bene conosco battaglie e massacri:
so volteggiare a destra e a sinistra la pelle essiccata
di bue, il che mi consente combattere armato di scudo;
so balzare in mezzo alla furia dei cavalli veloci;
so, combattendo a piè fermo, danzare per Ares crudele.
(Iliade, VII, 237-241)
Oltre alla forza, l’eroe omerico possiede la bellezza. La sua audacia è proporzionale alla sua avvenenza. Per i Greci prestanza fisica, valore morale e perfezione dei lineamenti erano strettamente collegati. L’espressione kalòs kagathòs (letteralmente «bello e buono») testimonia come il vigore e la bellezza fossero un tutt’uno. Il volto di un uomo era il riflesso della sua armonia interiore. Essere belli voleva dire essere valorosi, per una logica conseguenza.
Ettore rimprovera a Paride la sua esitazione nell’affrontare Menelao in duello. La sua bellezza efebica non riesce a mascherare la sua debolezza.
Paride maledetto, per bellezza il più valoroso [...].
Sono certo in giubilo gli Achei dalle chiome fluenti,
a pensare che il nostro campione primeggia, perché ha bello
l’aspetto, ma non ha forza nel cuore né un po’ di coraggio.
[...]
Non ti sarebbe d’aiuto la cetra né quanto ti ha dato Afrodite,
la bellezza e la chioma, quando fossi lì nella polvere a batterti.
(Iliade, III, 39-55)