Gli dei e gli uomini

Dalle pagine di Omero non emerge solo il ritratto dei guerrieri sulla piana di Troia. I suoi versi ricostruiscono anche la figura dell’«uomo» greco, che malgrado i secoli trascorsi rimane per noi un modello di virtù. Tremila anni fa, sulle sponde del Mar Egeo, quel popolo di marinai e di contadini che, accecati dal sole e tormentati dalle tempeste, hanno portato la civiltà su quelle isole brulle e rocciose ha regalato all’umanità uno stile di vita, una visione del mondo e un atteggiamento interiore insuperabili.

Due imperativi morali governano l’esistenza greca: l’ospitalità e la pietà. Entrambi i poemi sono disseminati di sacrifici agli dei e di scene di banchetti in cui il visitatore – Ulisse che sbarca presso i Feaci o il re Priamo che si presenta al cospetto del suo nemico mortale – viene ricevuto con tutti gli onori.

In un mondo reale che fa da specchio al cosmo, l’accoglienza è una forma di rispetto verso gli dei. In altri termini, il banchetto è il riflesso profano del sacrificio. Non rendere omaggio agli dei prima di prendere una decisione varrebbe a contravvenire all’ordine cosmico, e allo stesso modo sarebbe un oltraggio non far entrare il vagabondo che bussa alla porta del palazzo.

In Omero, tuttavia, regna la misura: per accogliere degnamente un ospite è necessario disporre dei mezzi per farlo. Non bisogna mai interpretare le virtù greche come intenzioni astratte. Non si tratta di parole: quando si riceve qualcuno, che sia un reduce in fuga dalla battaglia o il naufrago di una tempesta, è perché si ha qualcosa da offrirgli. In Omero la generosità non si riduce a mera facciata: se qualcuno la promette, deve essere nelle condizioni di metterla in pratica.