L’uomo omerico accetta il proprio destino, anche questa è una sua qualità. Scrive Aristotele, nel trattato Le parti degli animali, che in ogni creatura sulla Terra «v’è qualcosa di naturale e di bello». Allo stesso modo, sul campo di battaglia o nel proprio palazzo, l’uomo è messo al mondo per vivere il suo tempo, in parte rispettando l’ordine delle cose e in parte plasmando da solo la propria esistenza. Cosa abbiamo la possibilità di cambiare?
La bella Nausicaa, forte della saggezza della gioventù, impartirà a Ulisse la seguente lezione:
Straniero, giacché tu non somigli a uomo volgare né sciocco,
Zeus Olimpio, lui stesso, distribuisce felicità agli uomini,
ai buoni e ai cattivi, come lui vuole. E anche a te
diede quanto ti tocca. Bisogna sopportare, comunque.
(Odissea, VI, 187-190)
Ma attenzione: accettare la propria sorte non significa rassegnarsi passivamente ai capricci del fato. L’energia di Ulisse non sarà forse tutta spesa nel cercare di ritrovare il proprio posto nell’ordine sconvolto dalla follia della guerra? Non si lascerà certo vivere trasportato dagli eventi. È, questo, uno dei paradossi del concetto di libertà in Omero: ciascuno può compiere deliberatamente il proprio percorso sotto un cielo in cui tutto è già scritto. Come il salmone che nuota controcorrente, possiamo risalire un fiume del quale non ci è dato in alcun modo di modificare il corso.
Ma penso che nessun uomo sia sfuggito alla sorte,
né un vile né un valoroso, una volta venuto alla luce
(Iliade, VI, 488-489)
dice Ettore ad Andromaca. Non c’è traccia di ribellione in queste parole. L’uomo lotta, si dimena, naviga contro gli elementi, ma non esercita l’attività così cartesiana, così moderna, di recriminare sulla propria sorte, di cercare i colpevoli del proprio fallimento o di scaricare le proprie responsabilità.
Questa capacità di accettare ciò che deve avvenire rende l’uomo greco forte. Forte, perché ben disposto.