Accontentarsi del mondo

L’uomo greco si accontenta della realtà. Omero sviluppa questo assioma, che sarà alla base della filosofia greca. È un pensiero forte e semplice: la vita è breve, nella luce del sole ci vengono offerte delle cose, dobbiamo assaggiarle, goderne e venerarle senza aspettarci nulla dal domani, che è soltanto un’ingannevole illusione.

Questo imperativo è stato espresso in maniera sublime da Camus, in Nozze. Sul suolo algerino, sotto un «cielo misto di lacrime e di sole», lo scrittore impara a «dir di sì alla terra». Ebbene, per il greco antico la vita è un contratto di matrimonio con il mondo. Appena nati, pronunciamo il nostro giuramento, nella buona e nella cattiva sorte.

E se fosse il baluginio del mare nostrum – che risplenda sulla Algeri di Camus o sulle sponde di Itaca – a darci la forza di accogliere la realtà che ci circonda? Celebrare la luce che inonda le isole greche può sembrare un luogo comune, visto che il turismo locale ha forse abusato delle immagini del sole riflesso sul marmo di un bianco abbacinante. Eppure è stata la luce a spingere gli antichi ad accettare il loro destino. La luce è rivelatrice, dà forma e sostanza agli oggetti. Tutte le cose si mostrano nel bagliore di Helios, tangibili, presenti, inconfutabili. Una casa, un asfodelo, una barca: se li vediamo non li possiamo negare. Tutto è bello, quanto si vede, dice anche Priamo. Bisogna dunque accontentarsi con gioia.

Per i Greci la luce è un luogo, e noi lo abitiamo. Siamo in piedi nella sua verità, senza ambire alle brumose chimere di un aldilà... Possiamo amare ciò che la luce ci offre, godere della nostra parte di vita, lottare per la nostra causa e aspettare la notte senza temerla, poiché sappiamo che essa segue irrimediabilmente a ogni crepuscolo. Al cospetto del sole, persino l’idea di una vita eterna sembra impallidire.