Una cosa è certa, gli dei non vogliono la pace.
La guerra è utile a chi governa. Peggio, a volte chi governa se ne compiace. Quando le divinità si scontrano fisicamente (come succede ad Atena e ad Ares), Zeus si rallegra:
Rise di gusto il suo cuore.
(Iliade, XXI, 389)
Zeus sfrutta la guerra per distribuire i propri favori di volta in volta all’uno o all’altro dio, usando gli uomini come pedine del suo gioco. Un giorno dice ad Atena, che si adira di fronte ai suoi tentennamenti:
Figlia mia, fatti coraggio; non parlo così
per mio gusto, ma con te voglio essere dolce.
(Iliade, VIII, 39-40)
Il che sottintende: va’ dove ti porta il tuo ardore, riprendi la battaglia.
Questa idea, ovvero che i potenti abbiano interesse a che gli uomini combattano tra loro, è stata teorizzata da numerosi filosofi, uno tra tutti Pierre-Joseph Proudhon.
Oggi, molti secoli dopo i fatti narrati dai poemi omerici, altre oscure divinità tramano ancora per dividere gli uomini. Non si chiamano più Zeus, Apollo, Era o Posidone. I loro nomi sono più profani, non hanno forme e contorni così definiti. Ma i loro obiettivi sono gli stessi.
Il controllo delle risorse, l’accesso all’energia, la potenza astratta della finanza, i movimenti demografici, la diffusione delle religioni rivelate: non sono forse i nuovi dei malevoli di un Olimpo in cui l’uomo è destinato a rimanere in guerra per la gloria delle Erinni, cagne rabbiose?
A volte questi dei «umani», in balia della sorte, si rivelano quasi patetici nelle loro macchinazioni, come avviene nel canto XIV dell’Iliade, quando Era chiede aiuto ad Afrodite per ammaliare Zeus e la dea dell’amore le presta il suo reggiseno ricamato multicolore, nel quale aveva raccolto tutti gli incanti. Sembrano due amiche che si scambiano la biancheria intima per fare colpo su qualcuno.
Come contraccolpo dei disordini e delle debolezze nelle sfere dell’Olimpo, agli uomini non rimane che destreggiarsi a fatica tra il destino, la volontà confusionaria degli dei e le proprie aspirazioni.