La punizione estrema

Nove giorni dopo la morte di Ettore, Achille continua a profanare il corpo della sua vittima. Zeus convoca Teti sull’Olimpo e le ordina:

Corri subito al campo e da’ istruzioni a tuo figlio:

digli che con lui sono adirati gli dei, ed io più di tutti

gl’immortali sono sdegnato, perché con animo folle

si tiene Ettore presso le navi ricurve, non l’ha rilasciato,

se mai avesse timore di me e restituisse Ettore.

(Iliade, XXIV, 112-116)

L’uomo può dunque arrivare persino a sfidare gli dei con la sua ripugnanza.

È il paradosso della hybris: deprecata dalle divinità, è da esse stesse tuttavia alimentata. Un uomo tenta di sfuggirle, e loro lo ricacciano nelle sue spire. Le divinità non sono certo buone con noi. Anzi, al contrario, ci disprezzano. Apollo, parlando con Posidone, descrive gli uomini con queste parole:

Miserabili, che simili a foglie una volta si mostrano

pieni di forza, quando mangiano il frutto dei campi,

altra volta cadono privi di vita.

(Iliade, XXI, 464-466)

Bisognerà attendere il cristianesimo perché si diffonda l’idea di un creatore benevolo verso le sue creature. Per ora gli dei spingono gli uomini alla guerra, questa «subordinazione dell’anima umana alla forza», secondo Simone Weil.

Ulisse stesso, per aver rivelato il proprio nome al Ciclope in una forma di hybris dettata dall’orgoglio, si attirerà contro la collera di Posidone. Che ci si lasci accecare dalla rabbia o che si millanti, il problema è sempre lo stesso: è stata infranta la regola della moderazione.

In seguito i cristiani inventeranno la nozione di peccato, veniale o originale. Ma il principio è simile: le colpe vanno espiate. L’assenza di teoria morale impediva tuttavia ai Greci di soppesare le azioni sulla bilancia del bene e del male; preferivano distinguere ciò che si confaceva all’ordine naturale e ciò che vi contravveniva.

L’Iliade mette in scena una perenne oscillazione di forze. La sventura si distribuisce sempre equamente: il debole è stato forte, il forte prima o poi sarà debole. Achille, diventato il più potente dei guerrieri, sarà poi inseguito dall’onda dello Scamandro.

In Omero la forza non è mai un dato eterno, ma si rovescia sempre, e l’eroe trionfante sarà un giorno bandito negli Inferi.

Così funziona il destino, come il pendolo di un orologio. La ruota gira, lascia intendere Omero mentre descrive il prevalere di un esercito sull’altro. A breve, infatti, l’esercito vittorioso sbanda davanti al contrattacco del nemico.

Il pessimismo omerico si esprime in questo: «I vincitori e i vinti si ritrovano fratelli nella stessa miseria» come teorizza Simone Weil.

Questi rovesci della fortuna stordiscono il lettore. Alla fine solo gli dei, i burattinai della nostra povera «commedia dell’arte», ci si raccapezzano.