Mi sono immerso nell’Iliade e nell’Odissea come nelle acque impetuose di una cascata. Ho respirato per mesi al ritmo dei versi omerici, nelle mie orecchie ne risuonava la musica, battaglie e navi in procinto di levare le ancore affollavano i miei sogni. L’Iliade e l’Odissea mi hanno impartito una grande lezione di vita, e ho scoperto che commentano la nostra attualità. È il miracolo del mondo antico: quasi tremila anni fa, dalle coste dell’Egeo, un poeta, qualche pensatore e un pugno di filosofi hanno regalato al mondo insegnamenti il cui valore non è stato minimamente scalfito dal passare dei secoli.
Gli antichi Greci hanno saputo spiegarci ciò che ancora non siamo diventati.
Il Medio Oriente è dilaniato dai conflitti, Omero rappresenta la ferocia degli scontri. I governi saltano, Omero descrive la bramosia degli uomini. I curdi si battono con eroismo per i loro territori, Omero racconta la lotta di Ulisse per riprendersi il potere di cui è stato usurpato. Le catastrofi naturali ci atterriscono, Omero narra la furia della natura di fronte alla follia umana. Ogni evento contemporaneo trova eco nei suoi versi o, per meglio dire, ogni sussulto della Storia è il riflesso di una sua premonizione.
L’Iliade e l’Odissea sono un «diario del mondo» e ci rivelano che, in fondo, nulla cambia sotto il sole di Zeus: l’uomo, animale grandioso e miserabile, illuminato e mediocre, resta fedele a se stesso.
Prendiamo Ulisse. Chi è quest’uomo dei paradossi? Ama l’avventura, ma desidera tornare a casa. È curioso di conoscere il mondo, ma ha nostalgia di Itaca. Non disdegna le ninfe, ma piange l’assenza di Penelope. Si lancia in peripezie di ogni sorta, ma vagheggia il focolare domestico. Questo campione di forza e astuzia, «pseudo-viaggiatore», «avventuriero per forza e casalingo per vocazione» – come lo definiva ironicamente il filosofo francese Vladimir Jankélévitch in L’avventura, la noia, la serietà – si mostra inafferrabile, combattuto tra opposte tensioni.
Ulisse sei tu, lettore. Sono io, siamo noi. Ulisse è nostro fratello. Leggendo l’Odissea ci troviamo come davanti allo specchio della nostra anima. In questo risiede il genio di Omero: nell’aver tracciato, nei suoi canti, i contorni dell’uomo. Nulla è mutato da allora.
Dai suoi versi riverberano la luce, l’amor di patria, l’amore per gli animali e la natura: insomma, la dolcezza della vita. Non sentite, leggendoli, il fruscio della risacca? Certo, a volte è coperto dal fragore delle armi, ma in sottofondo vibra sempre l’inno dedicato alla vita, l’intervallo di tempo che a ciascuno è concesso sulla Terra. Omero ne è il cantore e noi viviamo nell’eco della sua sinfonia.
I poemi omerici mi hanno fatto scorrere nelle vene una vitalità che credevo perduta. Leggere Omero rinfranca l’anima. È questo l’effetto che fanno su di noi le opere eterne. «Di tempo in tempo i Greci davano, per così dire, delle feste a tutte le loro passioni e cattive inclinazioni [...]: è questo ciò che è propriamente pagano nel loro mondo» afferma Nietzsche in Umano, troppo umano. Ebbene, unitevi alla festa!
Le citazioni dei due poemi sono tratte dalle traduzioni di Giovanni Cerri per l’Iliade (Bur, 2006) e Vincenzo Di Benedetto e Pierangelo Fabrini per l’Odissea (Bur, 2010). Sono stampate in corsivo, per suggerire il moto delle onde del mare, l’affastellarsi delle nuvole in cielo e il fluire dei giorni dell’uomo.