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Mike si fermò in mezzo alla stanza. Poi, si voltò per guardarla. Jenny indossava una maglietta verde e un paio di jeans attillati con uno strappo sulle ginocchia. I suoi graziosi, piccoli piedi erano abbelliti da uno smalto rosa chiaro. I capelli erano una massa arruffata di riccioli biondi e i suoi grandi occhi azzurri lo fissavano con diffidenza. Era carina. Troppo carina. Quello era il problema.

Infilando le mani in tasca per non cedere alla tentazione di toccarla, si guardò attorno per distogliere l'attenzione da lei. Nonostante questo, colse ogni suo singolo particolare. Un corpo mozzafiato, occhi stupendi e labbra irresistibili. Concentrati. Era andato da lei per una ragione e non doveva divagare.

Il villino era vecchio ma lei lo aveva arredato con gusto, rendendolo molto accogliente. Le sedie imbottite erano state rivestite con una stoffa a fiori mentre un divanetto si faceva notare per le strisce gialle e blu.

Sparsi qua e là c'erano dei tavolini e diverse lampade a stelo che inondavano di luce dorata il parquet segnato dal tempo e alcuni tappeti colorati. Quadri e fotografie punteggiavano le pareti verde chiaro, eccetto una di esse, interamente occupata da un dipinto.

Si soffermò a osservarlo. Era ovvio che fosse opera di Jenny e lui dovette riconoscere che quella donna aveva un immenso talento. L'affresco rappresentava una scena tratta da una leggenda irlandese. Una foresta alle prime luci dell'alba, con la nebbia che s'insinuava leggera e sottile tra gli alberi. I morbidi raggi del sole filtravano appena per accennare un disegno sul terreno cosparso di foglie. In lontananza, s'intravedeva un prato fiorito e, sugli alti rami, erano posate alcune fate che, con le loro ali delicate, sembravano pronte a spiccare il volo. Per quanto detestasse ammetterlo, Jenny era davvero brava.

«Perché sei qui, Mike?» Il suo tono era dolce ma i suoi occhi esprimevano tutt'altra sensazione.

Ottima domanda. Mike era consapevole che non avrebbe dovuto andare a casa sua. Era dalla lontana notte di Phoenix che non rimanevano da soli, ma non aveva avuto altra scelta. Non poteva spiegare al fratello il motivo per cui lavorare con lei fosse un errore. Jenny, però, sapeva perché la loro collaborazione non avrebbe funzionato. Non gli restava, quindi, che convincerla a parlare con Sean per rifiutare il progetto del nuovo hotel.

Meglio arrivare al punto, senza tentennamenti, e andare via da quella casa troppo piccola, in cui il profumo di Jenny pareva impregnare l'aria con l'unico scopo di tormentarlo.

«Voglio che tu rinunci al lavoro all'albergo.»

Lei non batté ciglio. «E io vorrei essere più alta di dieci centimetri e con un seno più piccolo. A quanto pare, siamo entrambi destinati a rimanere delusi.»

Mike non comprese perché il suo seno generoso non le piacesse, comunque non era quello il punto. «Sappiamo entrambi che lavorare insieme per mesi è una pessima idea.»

«Certo» ammise, incrociando le braccia al petto. «Forse dovresti farti indietro tu e scambiare hotel con tuo fratello. Sean mi piace.»

«Lascia in pace Sean» ruggì lui.

Alzò le braccia al cielo, frustrata. «Per favore. Non crederai che sarò pagata per sedurre tuo fratello?»

«Non ho detto questo.» Ma lo aveva pensato.

«Che cosa vuoi dire esattamente?» Pugni ai fianchi, sporse il seno in avanti, mettendo a dura prova la maglietta, oltre che i suoi nervi.

«Sean deve rimanere fuori da questa storia. Si tratta di te e di me.»

«Bene, allora informalo che preferisci occuparti dell'hotel nel Wyoming.»

«No.» Non era pronto ad ammettere la sconfitta.

Jenny scrollò le spalle e gli passò accanto per raggiungere la sedia accanto alla finestra, lasciando dietro di sé la scia del proprio profumo alla vaniglia che gli fece trattenere il respiro.

Si sedette e bevve un sorso di vino. «Allora, poiché nessuno di noi è disposto ad abbandonare il progetto, immagino che la nostra conversazione finisca qui.»

«Non è affatto terminata» sentenziò lui, gettando lo sguardo nell'oscurità della sera, fuori dalla finestra.

Le notti di gennaio sulla spiaggia erano piuttosto rigide ma, nella villetta di Jenny, Mike percepì il calore che gli trasmetteva la sua vicinanza. I suoi occhi erano luminosi e le sue labbra s'increspavano mentre parlava, come se si stesse divertendo. E, a una parte di lui, quell'atteggiamento piaceva.

Jenny Marshall non era tipo da tirarsi indietro davanti a niente. L'aveva vista scontrarsi con artisti più vecchi ed esperti per difendere i propri disegni e la propria tecnica. Aveva notato il suo comportamento durante le riunioni mentre sosteneva con ardore la propria visione delle cose. Eppure, nonostante ammirasse queste sue caratteristiche, si augurava che non si rivoltassero contro di lui.

«Mike, sebbene non desideriamo lavorare insieme, siamo costretti a farlo.» Allargò le braccia. «Cerchiamo di fare buon viso a cattiva sorte.»

«È inaccettabile.» Scosse la testa e allontanò di nuovo lo sguardo da lei, dalla lucentezza dei suoi capelli. Non avrebbe mai dovuto recarsi lì. Se fosse stato saggio, se ne sarebbe andato seduta stante. Tanto la loro discussione non stava portando a niente.

Si ritrovò a fissare l'affresco. La foresta magica era buia e misteriosa, ma le fate sui rami degli alberi donavano un senso di giocosità all'oscurità e, più lo esaminava con attenzione, più fate trovava. Nascoste tra le rocce, dietro le foglie, nelle acque limpide del ruscello creavano un'atmosfera mistica e ipnotica.

«Gran bel lavoro.»

«Grazie.» Fu sorpresa di quel complimento. «E nel caso te lo stessi domandando, non ho rubato questa scena da nessun gioco della Celtic Knot

Mike la fulminò. «Non ho detto questo.»

«Non ancora» lo corresse prima di prendere un altro sorso di vino. «So bene cosa pensi di me.»

«Mi biasimi per questo?»

Mike si passò una mano fra i capelli e sulla nuca. Ogni volta che si trovava con lei, avvertiva un fastidioso nodo allo stomaco. Pur sapendo che era bugiarda, non riusciva a placare l'attrazione che provava. In ufficio, manteneva le distanze ma, lì a casa sua, avvolti dalla morbida luce delle lampade, sapeva che la situazione era ad alto rischio. Tuttavia, non riusciva ad andarsene. Avanzò di un passo e poi si bloccò poiché il suo profumo gli offuscava la mente.

«Non è una domanda leale. Ti sei intestardito, mettendoti in testa un'idea sbagliata di me senza ascoltare la mia versione dei fatti.»

«Cosa vai farneticando?» scattò, indispettito. «Tuo zio rimane sempre il proprietario della Snyder Arts, o sbaglio?»

Con una smorfia, lei pose il bicchiere sul tavolo con un gesto brusco. «Certo che è così. Ma lui non possiede me.»

«È un membro della tua famiglia.»

«Naturalmente. La sua considerazione nei miei confronti è talmente alta che non ti sei sognato di lasciarmi parlare di ciò di cui m'incolpi.» Prese un lungo respiro. «Sean non ha mai messo in discussione la mia integrità.»

«Mio fratello è più fiducioso di me.»

«Guarda, guarda, non me n'ero accorta» borbottò, sarcastica. «Tu mentiresti e imbroglieresti per la tua famiglia?»

«No.» Era cresciuto conoscendo bene i danni di un tale comportamento. Da bambino, si era ripromesso di evitare le menzogne e gli impostori. Ecco perché non si fidava di Jenny. La prima volta che si erano incontrati, gli aveva mentito. Non avrebbe cambiato opinione.

Gli occhi di lei scintillarono. «Eppure sei convinto che io lo abbia fatto.»

«Mi attengo ai fatti.»

«Dio mio, che razza di testardo sei! Non ti ho usato. Non lo farei mai.»

«Presumo che ogni ladro che si rispetti sostenga la propria innocenza.»

Jenny si alzò bruscamente e gli si parò davanti, sollevando la testa per incrociare il suo sguardo. «Dimmi una sola cosa che abbia rubato. Dammi una sola buona ragione per considerarmi una ladra.»

«D'accordo.» Affondò gli occhi nei suoi e li vide ardere di collera. «Non hai rubato niente. Almeno finora.»

«Allora, perché non mi hai licenziata?»

«Se avessi la prova di un tuo tradimento nei nostri confronti, ti caccerei su due piedi. Il sospetto non attesta nulla.»

Lei rise, scuotendo la testa, e si allontanò di un passo. «Visto che non sono una ladra, apprezzerei se la smettessi di accusarmi a vanvera.»

Accidenti a lei. Le gote arrossate, gli occhi dardeggianti, più si arrabbiava e più diventava sensuale, alimentando il desiderio che lo tormentava. La maggior parte delle donne che incontrava gli sorrideva con timidezza, flirtava facendo il possibile per essere una piacevole compagnia. Jenny se ne infischiava. Aveva un'opinione e non temeva di sostenerla con un cipiglio sexy e irresistibile.

«Sappiamo entrambi come stanno le cose» la rimbeccò Mike. «Tuo zio possiede un'azienda che farebbe carte false per ottenere un contratto con la Celtic Knot. Tu mi hai incontrato per caso, sei venuta a letto con me e cerchi di convincermi di non essere stata in combutta con lui?» Non le concesse il tempo di ribattere. «Poi, dieci mesi più tardi, vieni a lavorare per noi come capo grafico.»

«È stato Sean a venirmi a cercare.»

Mike non aveva raccontato nulla al fratello riguardo la notte con Jenny. Forse, se lo avesse fatto, lui non l'avrebbe assunta. E sarebbe stato un vero peccato, riconobbe, perché era un'artista di grande talento.

«Avresti potuto rifiutare.» Inclinò la testa di lato e la studiò. «Allora, mi domando perché tu abbia accettato. Ti mancavo? O, nel frattempo, sei diventata una spia industriale?»

«Niente meno che una spia adesso. La tua paranoia cresce a vista d'occhio. Sei davvero sorprendente.»

«Così dicono.»

Jenny sollevò le braccia. «Non si può parlare con te. Perciò, pensa quello che ti pare, come hai fatto sin dall'inizio.»

«Esatto. Dalla prima volta che ci siamo incontrati a Phoenix. Che coincidenza che ti trovassi nel mio stesso albergo.»

«Oppure, è accaduto l'esatto contrario, sciocco arrogante. Sei stato tu a venire nel mio hotel.»

Lui fu sul punto di scoppiare a ridere. Tuttavia, non trovava nulla di divertente nell'essere stato ingannato. Gli tornarono alla mente ricordi lontani di sua madre che piangeva e di suo padre imbarazzato. Ma non era quello né il momento, né il luogo per far riaffiorare l'amarezza del passato.

«Sono stato io a venirti a cercare quella sera» replicò, sarcastico.

«Tu mi hai avvicinato al bar» gli rammentò. «Non il contrario.»

«Eri bellissima e sola.» Gli era parsa sperduta, come se fosse abituata a stare in solitudine. Intrigato, l'aveva osservata sorseggiare vino per circa un'ora. Il cameriere flirtava con lei, Jenny però lo ignorava, inconsapevole del proprio fascino.

Mike, al contrario, lo aveva percepito e ne era rimasto stregato. Minuta e fragile nel suo corto abito rosso, induceva un uomo a farsi avanti e difenderla. Il suo sorriso e i suoi occhi intensi erano incantevoli. Il corpo dalle curve morbide e i vertiginosi tacchi a spillo suggerivano notti bollenti e indimenticabili.

Lei arrossì all'inatteso complimento e abbassò lo sguardo per ritrovare il proprio equilibrio. «Il passato è passato» sentenziò infine con voce gelida e distaccata. «Non mi ritirerò dal progetto dell'albergo. È il mio lavoro e sarà divertente.»

«Non dal mio punto di vista.»

«È un tuo problema. Quindi, non ti resta che accettare o farti assegnare l'altro hotel.»

«Come ti permetti di dirmi cosa devo o non devo fare?» sbottò, irritato.

«È stato Sean a mettermi a capo della grafica. Non tu. Se hai dei problemi per questo, parlane con lui.»

«È quello che ho fatto.» Si passò di nuovo una mano tra i capelli e si allontanò dall'alone magico del suo profumo. «Lui non sa ciò che è successo tra noi a Phoenix, perciò non comprende.»

«Allora, raccontagli tutto» gli suggerì. «Se sei così sicuro che io sia una ladra o, comunque, una persona inaffidabile, digli come stanno le cose e fai sì che mi licenzi.»

«Non ammetterò di essermi lasciato usare da una donna che sembra più una fata dei suoi disegni che una spia.»

«Caspita. Ladra e spia. Ho davanti a me una carriera nel crimine.»

«Perché sei venuta a lavorare per la mia compagnia se non per spiare? Dovevi sapere che ci saremmo rincontrati, invece il problema non ti ha neppure sfiorata. L'unica risposta è che stai tentando di nuovo di usarmi. Anzi, di usarci

Non faceva che arrovellarsi dal primo giorno in cui, entrando nel reparto grafico, aveva visto la donna cui non aveva smesso di pensare un solo istante, seduta davanti a un computer.

Maledizione. Lui voleva che Jenny lo convincesse che si stava sbagliando, che i suoi sospetti erano infondati. E desiderava che lei fosse davvero la donna che aveva incontrato in quel bar di Phoenix.

«Senti, tu sei troppo sospettoso. Ho accettato il lavoro nonostante te, non per te. Sean mi ha offerto una grande opportunità e un'ottima posizione per ciò che so fare dannatamente bene. Che cosa avrei dovuto fare? Rifiutare perché ti avrei incontrato?»

«Non la bevo. Credo di essere il motivo della tua presenza qui.» Mike la trafisse con lo sguardo. «Volevi tentare di portarmi a letto di nuovo.»

Jenny gettò la testa indietro come se fosse stata schiaffeggiata e il suo viso divenne paonazzo dalla collera. «Tu pomposo, arrogante... Credimi, il sesso con te non è stato un granché.»

Lui ridacchiò. «Stai mentendo. Il tuo talento naturale è sorprendente.»

«Vattene» sibilò, indicandogli la porta. «Esci da casa mia immediatamente.»

Mike scosse la testa. «Quella notte è stata incredibile. Lo sappiamo entrambi.»

«Ti prego.»

Il corpo teso e la mente in subbuglio, ritornò sui propri passi. L'afferrò e l'attirò a sé. «Visto che me lo chiedi così gentilmente...»

Si avventò sulla sua bocca, assorbendo il suo profumo e il suo sapore. Mai, da quella notte a Phoenix, si era sentito così soddisfatto.

Jenny si contorse per qualche istante nel tentativo di sottrarsi al suo assalto. Poi la sua esitazione svanì e si avvinghiò a lui, le braccia al collo, le gambe strette attorno ai suoi fianchi. Lui la sostenne lasciando scivolare le mani sui suoi glutei, incollandola alla sua pulsante eccitazione.

Nonostante fosse consapevole di ciò che lei gli suscitasse, Mike non aveva considerato cosa sarebbe potuto accadere quando aveva deciso di recarsi a casa sua. Non importava, si disse mentre insinuava la lingua tra le sue labbra dischiuse. Ciò che contava era ciò che stava vivendo in quell'istante, la sensazione meravigliosa di averla tra le braccia.

Nessun'altra donna lo aveva mai scosso nel profondo a quel modo. Era come se il suo corpo e il suo cervello fossero disgiunti. Sapeva che era sbagliato, ma non riusciva e non voleva staccarsi da lei. Un'altra notte insieme. Una soltanto.

Il cuore che gli batteva all'impazzata nel petto, si scostò dalla sua bocca e si chinò per baciarle il collo.

«Mike» sussurrò lei con il poco fiato rimasto, percorsa da un brivido travolgente. «Non dovremmo...»

«Lo so, ma non me ne importa niente.»

«Nemmeno a me.»

«Bene.» Aumentò la stretta sui suoi glutei e la premette contro il bacino. Gli sfuggì un grugnito quando le sue unghie gli si piantarono nella schiena. «Mi stai uccidendo.»

Lei si allontanò appena per lanciargli un'occhiata sensuale. «Non rientra nei miei piani.»

«Hai un piano?»

Gli sorrise e lo baciò. «Oh, sì.»

«Non capisco perché tu mi faccia questo effetto...» domandò prima di spegnere definitivamente il cervello e lasciare che i sensi prendessero il sopravvento.

«Lo stesso vale per me» mormorò, lambendogli e mordicchiandogli il collo.

«Grandioso.» La mantenne stretta a sé. «Dov'è la stanza da letto?»

«Quella porta» gli indicò.

Anche quella camera era piccola, ma riusciva a contenere un comodo letto matrimoniale con una coloratissima coperta. La finestra di fronte a esso dava sul cortile posteriore ora avvolto dall'oscurità.

Tra il letto e il cassettone, c'era una poltroncina mentre, contro l'altra parete, troneggiava un enorme specchio che rifletté la loro immagine intanto che lui l'adagiava sulla coperta.

Mike si distese sopra di lei, le mani ai lati della sua testa, e mentre Jenny gli carezzava le braccia, si chinò per riappropriarsi della sua bocca. Dio, che buon sapore aveva.

La liberò rapidamente della maglietta, gettandola in un angolo della stanza. Con la sola barriera del suo reggiseno di pizzo bianco tra sé e ciò che desiderava, non riuscì più ad aspettare. Lo sganciò e fece scivolare le spalline lungo le braccia. Gli occhi incollati a quel sogno di donna, ruggì e si chinò per assaporare, uno alla volta, le punte turgide del suo seno.

Jenny si aggrappò ai suoi capelli, mantenendogli la testa contro di sé intanto che la sua lingua e i suoi denti le profondevano meravigliose attenzioni. Inarcò la schiena con un gemito roco che riverberò tutto intorno a loro, echeggiando sulle pareti e il soffitto.

Di più, il cervello di Mike gridò.

Con dita esperte, abbassò la cerniera dei jeans e, con l'aiuto del movimento sinuoso dei suoi fianchi, glieli sfilò insieme agli slip di pizzo. Allora, finalmente, lei fu lì, nuda davanti ai suoi occhi, famelica e smaniosa, e Mike non poté attendere un istante di più di farla sua.

«Troppi abiti» mormorò Jenny, scorrendo frenetica le mani sul suo torace, sbottonandogli la camicia. «Detesto i bottoni. Perché ce ne sono così tanti?»

«Calma, calma.»

Mike si scrollò di dosso l'indumento e lo gettò alle proprie spalle.

Jenny gli accarezzò la pelle calda e ogni leggero graffio delle sue unghie gli parve un ardente marchio di fuoco. Trattenne il respiro, richiamando a sé ogni goccia di autocontrollo rimastogli ma sapeva non sarebbe stato sufficiente. Era troppo tempo che sognava di mettere di nuovo le mani su di lei e voleva assaporarne ogni istante.

Le sfiorò il corpo, dalle gambe, al ventre e il seno. Esplorò ogni curva, ogni linea. E le sue carezze erano contraccambiate, una a una, da altrettanti tocchi delle dita di lei sulle spalle e le braccia, nel tentativo di attirarlo più vicino a sé. I fianchi ondeggiarono impazienti quando lui trovò il cuore della sua femminilità.

«Mike!» Gettò la testa indietro e sollevò il bacino. «Se non ti liberi subito dei pantaloni, io...» Le mancò la voce all'assalto delle sue dita nel proprio nucleo bollente. «Ti prego...»

La tormentò, conducendola adagio verso i confini dell'incoscienza, trattenendosi dal darle ciò che lei bramava. Ciò che lui bramava da più di un anno.

Con il pollice, torturò il tenero bocciolo fra le sue cosce con deliberata lentezza. La toccò nel profondo, poi all'esterno, ancora e ancora, assorbendo le sue grida, i fremiti e le suppliche di liberarla da quella meravigliosa agonia. Le pupille dilatate, Jenny si contorceva sempre di più alla ricerca di quell'estasi che lui si rifiutava di concederle.

Poi, Mike non resistette oltre. Senza staccare gli occhi dai suoi, si sollevò per sfilarsi il resto degli abiti. Jenny s'inumidì le labbra e spalancò le braccia in un invito silenzioso.

«Non ancora.»

S'inginocchiò e la trascinò verso di sé. Quindi, affondò la lingua fra le sue gambe per assaporare il suo sesso bollente. L'abisso si spalancò e lei precipitò nel piacere ultimo. Aggrappandosi a lui, lasciò che il proprio corpo fosse sconvolto da impetuose convulsioni. La bocca di Mike non smise di tormentarla e seguì ogni spasmo mentre lei ripeteva il suo nome come un sacro mantra per prolungare per magia quelle sensazioni paradisiache.

Quando Jenny crollò ansimante, lui si distese sul letto e la fece rotolare fra le proprie braccia.

Una gamba avvolta ai suoi fianchi, ondeggiò il bacino per carezzare la sua potente erezione. Poi lo afferrò con la mano e lo torturò proprio come Mike aveva fatto come lei. Lo udì trattenere il respiro tra i denti e lo vide serrare le palpebre.

«Dimmi che hai dei profilattici.»

«Oh, sì. Nel cassetto del comodino.» Oscillò i fianchi con sensualità, incollandosi a lui. «Sbrigati.»

Mike non si arrovellò sul perché avesse dei preservativi, né quanti uomini avesse invitato nel proprio letto. Afferrò una bustina, la strappò e infilò la protezione. Riportò infine l'attenzione alla splendida dea sotto di sé. Una creatura mitologica che pareva uscita da uno dei giochi che creava la Celtic. I ricci biondi arruffati, i languidi occhi azzurri, un corpo disegnato per il peccato che lo attendeva impaziente.

«Ora, Mike. Prendimi ora.»

«Sì, ora...»

Con una sola e prorompente spinta, affondò in lei.

Jenny sobbalzò inarcandosi, le gambe allacciate al suo bacino che lo trascinavano sempre più dentro di sé. Mike fissò per un lungo istante quegli occhi pieni di mistero e si perse. Intensificò il ritmo e la scosse fino ai recessi dell'anima.

Cavalcarono insieme, ancora e ancora, verso i confini dell'estasi, con frenesia e ferocia. Mike la udì respirare affannosamente e avvertì le sue unghie conficcarsi nella schiena. La liberazione, il completamento erano ormai vicini e afferrabili.

«Mike. Oh, Mike.»

Avvinghiandosi alle sue spalle, accolse una a una le onde sconvolgenti dell'ebbrezza finale, fino a che il corpo non fu scosso dal piacere selvaggio. E lui la raggiunse in un'esplosione tempestosa per poi precipitare nell'oscurità, tra le braccia dell'unica donna che non poteva avere.