Los Angeles, California
Alle cinque in punto, Caitlyn si svegliò in automatico, come faceva ogni mattina. I bambini, per fortuna, avevano cominciato a dormire tutta la notte; nonostante ciò, il suo corpo si era come impostato all'ora dell'allattamento, in una sorta di sveglia mamma!.
Questo non glielo avevano detto. Così come non era stata mai messa in guardia sul fatto che tre gemelli l'avrebbero impegnata il triplo rispetto a chi deve badare a un solo bambino, anzi un milione di volte di più.
Tuttavia, avrebbero ricambiato i suoi sforzi regalandole attimi di meraviglia.
Caitlyn prese il baby monitor dal comodino e rimase a guardare i suoi tesori dormire nelle rispettive culle. Antonio Junior sospirava agitando la manina avanti e indietro come se sapesse che la mamma lo stava guardando. Al contrario, Leon e Annabelle dormivano come sassi. Era un tratto genetico che avevano ereditato da Vanessa, la loro madre biologica, insieme ai suoi capelli rossi. I capelli del piccolo Antonio, invece, erano scuri come un cielo senza stelle, esattamente come quelli del padre.
E se crescendo fosse diventato affascinante anche solo la metà del padre, avrebbe sicuramente fatto strage di donne.
Nonostante gli sforzi, Caitlyn non riuscì a riaddormentarsi. L'essere esausta era diventata una condizione con cui aveva imparato a convivere, però non aveva a che fare con il sonno. Tre gemelli di otto mesi senza padre minavano la sua sanità mentale, e nelle ore che precedevano l'alba, una miriade di domande, dubbi e paure le affollavano la mente.
Cosa avrebbe dovuto fare per incontrare l'uomo giusto? Uscire indossando una maglietta macchiata di rigurgiti con la quale abbordare potenziali vittime? Ehi tu, hai mai avuto fantasie sull'andare in giro tutta la notte con tre gemelli? Perché ho giusto una proposta da farti!
No, gli uomini di Los Angeles non avevano nulla da temere da Caitlyn Hopewell, questo era poco ma sicuro. E anche senza il pacchetto famiglia, le sue regole in fatto di relazioni facevano allontanare la maggior parte degli uomini: non andare a letto con qualcuno a meno che tu non ne sia innamorata e non abbia un anello al dito. Fine del discorso. Quella era stata la regola di vita che l'aveva accompagnata negli anni dell'università e anche da adulta, specialmente dopo aver saputo secondo quali criteri sua sorella Vanessa decideva se andare o meno a letto con un uomo. Il tipo in questione avrebbe dovuto, come minimo, regalarle un gioiello o farle avere un avanzamento di carriera.
Caitlyn non la pensava così, il che praticamente stava a significare che sarebbe rimasta single.
Sarebbe tuttavia bastata a tre bambini, anche se li amava moltissimo, non essendo la loro mamma?
Quando aveva accettato di fare da madre surrogata a Vanessa, pensava a un impegno di nove mesi, non che durasse per tutta la vita. Il destino, però, aveva avuto ben altri programmi.
Era ora di iniziare la giornata. Strizzò gli occhi guardando lo schermo del telefono: le sei. Cercando di sistemare gli scuri ricci ribelli in una coda, s'infilò dei pantaloni e un top, determinata a concedersi almeno venti minuti di pilates prima che Leon si svegliasse.
Srotolò il tappetino sul pavimento in legno vicino alla vetrata che dava sulla spiaggia di Malibu, il suo posto preferito per stare un po' tranquilla. C'era un'intera palestra al primo piano della villa di Antonio e Vanessa, ma non osava usarla. Non ancora. Lì c'erano ricordi di Antonio dovunque, dai trofei appesi al muro, al ring al centro del locale.
Erano passati pochi minuti quando Caitlyn sentì il primo dei tre gemelli piangere e si precipitò nella loro stanza attraversando il corridoio prima che il piccolo svegliasse i fratelli.
«Eccomi qui, tesoro» canticchiò prendendo quel bel fagottino dalla culla.
Come un meccanismo a orologeria, era sempre il primo dei tre a voler mangiare. Caitlyn cercava di trascorrere del tempo da sola con ciascuno di loro mentre dava la pappa.
La mattina passò rapidamente tra pianti e bagnetti, quando all'improvviso qualcuno bussò con insistenza alla porta.
Il ragazzo delle consegne, sperò. Aveva ordinato un nuovo seggiolino per auto, tuttavia non poteva essere già arrivato.
«Brigitte? Vai tu?» chiamò Caitlyn. La babysitter non rispose. Probabilmente era alle prese con i gemelli.
Con una scrollata di spalle, Caitlyn si mise il telefono in tasca e raggiunse la porta aspettandosi un uomo in divisa marrone.
Non era il corriere. L'uomo sulla soglia, con una barba incolta e di una mole che la sovrastava, aveva uno sguardo incuriosito e familiare. C'era qualcosa nel modo in cui inclinava la testa...
«Antonio!»
Quel nome le rimase strozzato in gola.
No! Non poteva essere lui. Antonio era morto nello stesso incidente aereo di Vanessa, oltre un anno prima. Rimase delusa, anche se il suo cuore si aggrappava disperatamente all'idea che il padre dei bambini si trovasse proprio lì davanti a lei in carne e ossa.
«Antonio» ripeté l'uomo e i suoi occhi si spalancarono. «Ci conosciamo?»
La sua voce roca la travolse, sconvolgendola, e le lacrime le velarono gli occhi. Aveva persino lo stesso tono di voce di Antonio. Le era sempre piaciuta quella voce.
«No, non credo proprio. Per un attimo, ho pensato che lei fosse...»
Un fantasma.
Ricacciò indietro quel pensiero.
Il suo sguardo vacuo non avrebbe dovuto ingannarla, eppure, anche con la barba lunga e dieci chili in meno, somigliava così tanto ad Antonio che non poteva smettere di pensare a lui.
«Questa è casa mia, allora» insistette convinto con una punta di meraviglia mentre il suo sguardo vagava per il salone oltre la porta aperta. «La riconosco. Ma l'albero di Natale è nel posto sbagliato.»
In automatico, Caitlyn diede un'occhiata dietro di sé nel punto dove aveva faticosamente posizionato l'abete di oltre tre metri, e cioè nel salone accanto alla vetrata che si affacciava sull'oceano.
«No che non lo è» replicò.
«Non mi ricordo di lei.» Raddrizzò la testa come sorpreso. «Le ho venduto la casa?»
Caitlyn scosse la testa. «Io... ecco, vivo qui con i proprietari.»
La villa di Malibu in realtà era parte delle proprietà immobiliari che spettavano ai gemelli. Non aveva voluto spostarli dalla casa dei genitori e, stando alle volontà di Vanessa e Antonio, era Caitlyn a dover prendere le decisioni che riguardavano i bambini.
«Mi ricordo una donna dai capelli rossi. Bellissima.» La sua espressione si fece seria... disperata. «Lei chi è?»
«Vanessa» rispose Caitlyn senza riflettere. Non avrebbe dovuto aprirsi così tanto. «Chi è lei, piuttosto?» domandò.
«Non lo so» ammise l'uomo a denti stretti. «Ho come dei flash di memoria, immagini frammentate, e nessuna di queste ha senso. Mi dica lei chi sono io.»
«Non sa chi è?» Si portò una mano alla bocca, esaminando quell'uomo sporco, trasandato, che indossava dei semplici pantaloni di cotone arrotolati alle caviglie e una camicia strappata. Non poteva essere vero. Antonio era morto.
E se così non fosse stato, che ne era stato di lui dopo l'incidente aereo? Se aveva davvero perso la memoria, questo spiegava perché fosse mancato da casa tutto quel tempo.
Non spiegava, però, il motivo per cui si trovasse lì un anno dopo. Forse era una di quelle persone che approfittano del dolore delle famiglie che hanno perso un loro caro, e la perdita della memoria era una scusa per evitare domande che avrebbero provato la sua vera identità. Comunque, al momento non era in grado di chiarire questi dubbi.
Tuttavia conosceva la posizione abituale dell'albero di Natale. E se stava dicendo la verità?
Il suo cuore si aggrappava a quell'idea.
Perché... in realtà era sempre stata un po' innamorata del marito della sorella e ora tutto stava tornando a galla. Il senso di colpa. L'essere stata scartata a favore dell'esuberante sorella, la Hopewell sopra le righe, che otteneva sempre quello che voleva. Le occhiate furtive lanciate ad Antonio alle cene di famiglia. Le sue fantasie su come sarebbe stato se lui avesse sposato lei invece di Vanessa. L'eccitazione segreta di portare dentro di sé il bambino di Antonio perché la sorella non poteva avere figli, custodire il sogno di vedere Antonio ai suoi piedi, supplicandola di essere lei la madre dei suoi bambini.
E sì... aveva anche fatto qualche fantasia... bollente. Sentire Antonio su di lei. Baciarlo. E amarlo, in tutti i modi possibili.
Negli ultimi sei anni, Caitlyn aveva vissuto con un biblico senso di colpa, una sorta di non devi desiderare il marito di tua sorella. Tuttavia non poteva farci nulla... Antonio aveva un corpo da guerriero e uno sguardo enigmatico che la metteva in subbuglio.
Ecco il senso di colpa, di nuovo.
Scosse per un attimo la testa e fu allora che notò la cicatrice sulla tempia che arrivava fino ai capelli neri e arruffati. A pensarci bene, quell'uomo non sembrava affatto Antonio.
La bocca era severa, i lineamenti marcati e aveva come un'ombra negli occhi.
«Mi ha chiamato... Antonio.» Fece una smorfia. «Antonio Cavallari. È questo il mio nome?»
Caitlyn non aveva mai pronunciato il suo cognome.
Anche se... avrebbe potuto leggerlo dovunque, in effetti. Internet era piena di notizie sulla morte dell'ex campione di arti marziali miste e fondatore della società milionaria Falco Fight Club, creata dopo essersi ritirato dai combattimenti. Anche Vanessa aveva la sua parte di popolarità. Era stata attrice in un famoso programma dove interpretava un'adorabile rovinafamiglie. I capelli rossi erano il suo marchio di fabbrica e, dopo l'annuncio della morte, la rete era stata invasa da sue foto, perciò il fatto che lui conoscesse quel particolare non costituiva una prova decisiva.
Per nessuna ragione al mondo Caitlyn avrebbe messo in pericolo i bambini.
Lo scrutò da capo a piedi. Non sembrava, però, esserci alcuna traccia di calcolo o astuzia in lui. Solo tanta confusione e qualcosa che le ricordava l'uomo che la sorella aveva sposato sei anni prima.
«Sì. Antonio Cavallari.»
E se si sbagliava? Se voleva che lui fosse proprio Antonio per un'infinità di motivi sbagliati, diventando la complice di un imbroglio ben architettato?
All'improvviso, lui si accasciò contro lo stipite, farfugliando qualcosa in una lingua straniera. Caitlyn lo fissò, colpita. Non aveva mai sentito Antonio parlare una lingua che non fosse l'inglese.
Le si chiuse lo stomaco. C'erano moltissimi modi per risalire all'identità di una persona. Cosa avrebbe dovuto fare? Chiedergli di tornare con una prova?
Lui impallidì e, indicando le ginocchia, finì imprecando sullo zerbino.
La gola serrata per la preoccupazione, Caitlyn farfugliò: «Si sente bene?».
«Sono stanco. E affamato» ammise semplicemente, gli occhi chiusi e la testa che gli ciondolava da un lato. «Sono venuto a piedi dal molo.»
«Dal molo?» ripeté spalancando gli occhi. «Quello vicino a Long Beach? Saranno cinquanta miglia da qui!»
«Niente identità... niente soldi» disse con voce roca.
Quell'uomo non si reggeva in piedi e Caitlyn aveva passato abbastanza tempo con degli attori per riconoscerne uno. La sua debolezza non era una finzione.
«Entri, la prego» lo invitò senza riflettere. «Si riposi. Beva un po' d'acqua. Sistemeremo le cose più tardi.»
Intanto si domandava se fosse il caso di aiutarlo a sollevarsi, ma il pensiero di toccarlo la mandava in crisi. Il calore le infiammò il viso mentre il suo pudore si scontrava con gli aspetti pratici dell'aiutare un bisognoso.
Lui barcollò e quasi cadde, costringendola quindi a inginocchiarsi e ad afferrargli il braccio, passandoselo poi intorno al collo. Il tocco di un uomo era qualcosa a cui ormai non era più abituata... Non aveva un appuntamento da oltre due anni.
Singolare. Puzzava come pesce vecchio di tre giorni.
Zoppicò trascinandosi e, arrivato al divano del salotto, si fece cadere sui cuscini senza neanche pensarci. Lamentandosi, si coprì gli occhi con il braccio.
«Acqua» mormorò, rimanendo disteso.
Caitlyn si domandò se fosse opportuno lasciarlo da solo mentre lei andava a prendere un bicchiere d'acqua ma... in fondo un uomo in quelle condizioni non poteva certo rappresentare una minaccia.
«Ecco» disse a voce alta, per avvisarlo che era tornata.
Alzò il braccio che aveva appoggiato sugli occhi poco prima, spostando così il lungo ciuffo arruffato di capelli dalla fronte. Le rivolse uno sguardo confuso. Senza quei capelli sul viso, sembrava diverso. Simile ad Antonio, l'uomo che aveva segretamente osservato, desiderato e su cui aveva fantasticato per anni.
Sospirò.
«Non voglio farti del male» mormorò lui mettendosi a sedere, il dolore gli si leggeva in volto. «Voglio solo dell'acqua.»
Gliela porse, incapace di distogliere lo sguardo dal suo viso, nonostante ciocche di capelli continuassero a cadergli sulla fronte. Non poteva continuare a tormentarsi così. Doveva risolvere il dilemma.
«Credi di essere Antonio?»
«Io...» Sollevò lo sguardo verso di lei, quegli occhi scuri e misteriosi la tenevano prigioniera. «Non ricordo. È per questo che sono qui. Voglio sapere.»
«Un modo c'è.» Indicò il torace al di sopra del cuore. «Antonio ha un tatuaggio particolare. Proprio qui.»
Anche quello non sarebbe stato impossibile da replicare. Difficile, però, poiché l'autore del tatuaggio era un famoso artista che aveva uno stile unico nel suo genere.
Continuando a guardarla negli occhi, posò il bicchiere d'acqua sul tavolino e iniziò a sbottonarsi la camicia fino a metà torace.
Compì quel gesto come se fossero intimi e lei avesse tutto il diritto di vederlo svestito.
«Falco. Cosa significa?» le chiese.
La verità le fu chiara anche prima che lui aprisse la camicia rivelando il falco rosso e nero sul petto. La vista di quel corpo atletico, scurito dal sole e più allettante di quanto si fosse mai aspettata, non sarebbe scomparsa facilmente dalla sua testa.
Quel tatuaggio era sempre stato un elemento elettrizzante, parte del suo fascino pericoloso. E... lo era ancora.
«Questo mi basta per sapere che sei Antonio.» Chiuse gli occhi. Il bellissimo e proibito Antonio Cavallari era vivo. «Certamente, però, abbiamo molte difficoltà da affrontare.»
Tutto il suo mondo era appena stato sconvolto.
La battaglia intrapresa per far valere i suoi diritti sui bambini era stata vana. Quasi due anni prima, aveva firmato un accordo per fare da madre surrogata, poi l'aereo di Vanessa e Antonio si era schiantato nel Mar Cinese Meridionale. Dopo mesi di udienze in tribunale, alla fine il giudice le aveva ridato i diritti a cui lei aveva rinunciato attribuendole l'affidamento esclusivo dei bambini.
Quella era la casa di Antonio. Era proprietà sua. I bambini erano i suoi. E lui aveva tutto il diritto di portarglieli via.