Mezz’ora più tardi io e Rouletabille eravamo sul binario della stazione d’Orléans, in attesa della partenza del treno che ci avrebbe portati a Epinay-sur-Orge. Vedemmo arrivare la procura di Corbeil, rappresentata dal signor De Marquet e dal suo cancelliere. Il signor De Marquet aveva passato la notte a Parigi – con il suo cancelliere – per assistere, alla Scala, alla prova generale di una rivistucola di cui era l’autore anonimo e che aveva firmato semplicemente: ‘Castigat Ridendo’.
Il signor De Marquet cominciava a essere un nobile vegliardo. Di solito era pieno di gentilezze e di galanterie e in tutta la vita non aveva avuto che una passione: l’arte drammatica. Nella sua carriera di magistrato si era veramente interessato solo ai casi suscettibili di fornirgli perlomeno la materia di un atto. Anche se, con i suoi parenti illustri, avrebbe potuto aspirare alle più alte cariche giudiziarie, in realtà non aveva mai lavorato che per ‘arrivare’ alla romantica Porte-Saint-Martin o al pensoso Odéon. Un simile ideale lo aveva condotto, più tardi, a diventare giudice istruttore a Corbeil e a firmare come ‘Castigat Ridendo’ quella commediola indecente per la Scala.
Il caso della camera gialla, nel suo aspetto inspiegabile, doveva sedurre un animo tanto… letterario. Lo interessò prodigiosamente; e il signor De Marquet vi si gettò non tanto come un magistrato avido di conoscere la verità quanto come un amante degli intrecci drammatici le cui facoltà sono tutte tese verso il mistero dell’intrigo e che non teme nulla quanto arrivare alla fine dell’ultimo atto, dove si chiarisce tutto.
Così, nel momento in cui lo incontrammo, sentii il signor De Marquet che diceva al suo cancelliere con un sospiro: «Purché, mio caro signor Maleine, purché questo imprenditore con la sua piccozza non ci demolisca un mistero tanto affascinante!»
«Non temete» rispose il signor Maleine, «la sua piccozza forse demolirà il padiglione ma lascerà intatto il nostro caso. Ho tastato le pareti e studiato il soffitto e il pavimento, e mi conosco. Non mi sbaglio. Possiamo stare tranquilli. Non scopriremo niente».
Dopo aver rassicurato il suo capo, il signor Maleine ci indicò con un discreto movimento del capo al signor De Marquet. Il viso di quest’ultimo si accigliò e, come vide venire verso di lui Rouletabille che già si stava togliendo il cappello, si precipitò verso uno sportello e saltò sul treno sussurrando al cancelliere: «Soprattutto, niente giornalisti!»
Il signor Maleine replicò: «Capito!» arrestò Rouletabille nella sua corsa ed ebbe la pretesa di impedirgli di salire nello scompartimento del giudice istruttore.
«Scusate, signori! Questo scompartimento è riservato…»
«Sono giornalista, signore, redattore dell’Époque» disse il mio giovane amico con un grande dispendio di salamelecchi, «e dovrei scambiare due parole con il signor De Marquet».
«Il signor De Marquet è molto occupato con la sua inchiesta…»
«Oh, la sua inchiesta mi è assolutamente indifferente, vogliate crederlo… Non sono un redattore di cani investiti» dichiarò il giovane Rouletabille, il cui labbro inferiore esprimeva in quel momento un disprezzo infinito per la letteratura dei ‘fatti di cronaca’, «io sono cronista teatrale… e dal momento che devo fare, stasera, un breve resoconto sulla rivista della Scala…»
«Salite, signore, vi prego…» disse il cancelliere, facendosi da parte.
Rouletabille era già nello scompartimento. Lo seguii. Mi sedetti di fianco a lui; il cancelliere salì e chiuse lo sportello.
Il signor De Marquet osservava il suo cancelliere.
«Oh, signore» esordì Rouletabille, «non ne vogliate a questo brav’uomo se ho forzato l’ordine; non è al signor De Marquet che vorrei avere l’onore di parlare: è al signor Castigat Ridendo… Permettetemi di congratularmi con voi in qualità di cronista teatrale dell’Époque».
E Rouletabille, dopo avermi presentato, si presentò anche lui.
Il signor De Marquet, con un gesto inquieto, si accarezzava la barba a punta. In poche parole, comunicò a Rouletabille che era un autore troppo modesto per desiderare che il velo del suo pseudonimo fosse pubblicamente sollevato e sperava che l’entusiasmo del giornalista per l’opera di drammaturgia non sarebbe arrivato al punto di rivelare al popolo che il signor Castigat Ridendo non era altri che il giudice istruttore di Corbeil.
«L’opera dell’autore di teatro potrebbe nuocere» aggiunse dopo una leggera esitazione, «a quella del magistrato… soprattutto in provincia o dove si è rimasti un po’ conservatori…»
«Oh, contate sulla mia discrezione» esclamò Rouletabille sollevando le mani per chiamare come testimone il Cielo.
Il treno si mosse in quel momento…
«Partiamo!» disse il giudice istruttore, sorpreso di vederci fare il viaggio con lui.
«Sì, signore, la verità si mette in marcia» disse il cronista sorridendo amabilmente, «in marcia verso il castello di Glandier… Bel caso, signor De Marquet, bel caso…»
«Caso oscuro! Incredibile, insondabile, inesplicabile caso… e non temo che una cosa, signor Rouletabille, vale a dire che i giornalisti si immischino per volerlo spiegare».
Il mio amico accusò il colpo.
«Sì» disse semplicemente, «bisogna temerlo… Si immischiano in tutto… Quanto a me, vi parlo solo perché il caso, signor giudice istruttore, il puro caso mi ha messo sul vostro cammino e quasi nel vostro scompartimento».
«Dove state andando?» domandò il signor De Marquet.
«Al castello di Glandier» rispose Rouletabille senza battere ciglio.
Il signor De Marquet sussultò.
«Non ci entrerete, signor Rouletabille».
«Voi vi opporrete?» fece il mio amico, già pronto alla battaglia.
«Non sia mai! Apprezzo troppo la stampa e i giornalisti per essere sgradevole in qualsiasi modo nei loro confronti, ma il signor Stangerson ha vietato a tutti l’accesso alla sua porta. È ben controllata. Nemmeno un giornalista, ieri, è riuscito a oltrepassare il cancello di Glandier».
«Tanto meglio» replicò Rouletabille. «Arrivo al momento giusto».
Il signor De Marquet si morse le labbra e apparve determinato a conservare un ostinato silenzio. Si distese un po’ solo quando Rouletabille gli rivelò finalmente che stavamo andando a Glandier per stringere la mano «a un vecchio e intimo amico» così dichiarò parlando del signor Robert Darzac, che De Marquet forse conosceva.
«Povero Robert» continuò il giovane cronista. «Povero Robert, è capace di morirne… Amava tanto la signorina Stangerson».
«Il dolore del signor Robert Darzac è penoso a vedersi, certo…» si lasciò sfuggire quasi a malincuore il signor De Marquet.
«Ma bisogna sperare che la signorina Stangerson venga salvata».
«Speriamolo… Ieri suo padre mi diceva che, se lei dovesse soccombere, lui non tarderebbe a raggiungerla nella tomba… Che perdita incalcolabile per la scienza!»
«La ferita alla tempia è grave, vero?»
«Ovviamente. Ma è un’incredibile fortuna che non sia stata mortale… Il colpo è stato dato con una tale forza!»
«Dunque, non è stata la rivoltella a ferire la signorina Stangerson» fece Rouletabille gettandomi uno sguardo di trionfo.
Il signor De Marquet parve fortemente imbarazzato. «Non ho detto niente, non voglio dire niente e non dirò niente!» E si girò verso il suo cancelliere come se non ci conoscesse più…
Ma non ci si sbarazzava così di Rouletabille. Quest’ultimo si avvicinò al giudice istruttore, tirò fuori dalla tasca Le Matin e gli disse: «C’è una cosa, signor giudice istruttore, che posso domandarvi senza commettere indiscrezione. Avete letto l’articolo del Matin? È assurdo, non trovate?»
«Niente affatto, signore…»
«Come! La camera gialla non ha che una finestra con le inferriate le cui sbarre non sono state divelte e una porta che è stata sfondata e dentro non c’è l’assassino».
«È così, signore. È così che si pone la questione».
Rouletabille non disse più niente e si immerse in ignoti pensieri. In questo modo passò un quarto d’ora.
Quando ritornò a noi, disse rivolgendosi ancora al giudice istruttore: «Quella sera com’era la pettinatura della signorina Stangerson?»
«Non capisco» fece il signor De Marquet.
«Questo è della massima importanza» replicò Rouletabille. «I capelli a bandeau, non è vero? Sono sicuro che quella sera, la sera del dramma, lei portava i capelli a bandeau».
«Ebbene, signor Rouletabille, siete in errore» rispose il giudice istruttore. «La signorina Stangerson, quella sera, era pettinata con i capelli tutti tirati a tortiglione sul capo… Doveva essere la sua acconciatura abituale… La fronte completamente scoperta… Posso assicurarvelo perché abbiamo esaminato a lungo la ferita. Non c’era sangue sui capelli… e la pettinatura non era stata toccata dopo l’attentato».
«Siete sicuro? Siete sicuro che la signorina Stangerson, la notte dell’attentato, non aveva i bandeau?»
«Sicurissimo» continuò il giudice sorridendo, «perché per l’appunto sento ancora il dottore che mi dice, mentre esamina la ferita: ‘È un gran peccato che la signorina Stangerson abbia l’abitudine di portare i capelli con la fronte scoperta. Se avesse portato i bandeau il colpo che ha ricevuto sulla tempia sarebbe stato attutito’. Ora vi dirò che è strano che voi diate importanza…»
«Oh, se non aveva i bandeau!» gemette Rouletabille. «Dove stiamo andando? Dove stiamo andando? Bisogna che mi rassegni». E fece un gesto desolato.
«E la ferita alla tempia è tremenda?» domandò ancora.
«Tremenda».
«Alla fine, da quale arma è stata provocata?»
«Questo, signore, è un segreto istruttorio».
«Avete ritrovato l’arma?»
Il giudice istruttore non rispose.
«E la ferita alla gola?»
A questo punto, il giudice istruttore volle confidarci che la ferita alla gola era tale da poter affermare, secondo la stessa opinione dei medici, che «se l’assassino avesse stretto la gola per qualche secondo di più, la signorina Stangerson sarebbe morta strangolata».
«Il caso, come lo riporta Le Matin» riprese Rouletabille con accanimento, «mi sembra sempre più inspiegabile. Potete dirmi, signor giudice, quali sono le aperture del padiglione, porte e finestre?»
«Ce ne sono cinque» rispose il signor De Marquet dopo aver tossito due o tre volte, ma non resistendo più al desiderio che aveva di mettere in mostra tutto l’incredibile mistero del caso che stava istruendo. «Ce ne sono cinque, tra cui la porta dell’atrio, che è l’unica entrata del padiglione, porta sempre chiusa automaticamente e impossibile d’aprire, sia dall’interno sia dall’esterno, se non con due chiavi speciali che compare Jacques e il signor Stangerson non abbandonano mai. La signorina Stangerson non ne ha bisogno perché compare Jacques è in pianta stabile nel padiglione e lei, di giorno, è sempre insieme a suo padre. Quando si sono precipitati tutti e quattro nella camera gialla di cui avevano alla fine sfondato la porta, la porta d’ingresso dell’atrio, proprio quella, era rimasta chiusa come sempre e le due chiavi di questa porta erano l’una nella tasca del signor Stangerson, l’altra in quella di compare Jacques. Quanto alle finestre del padiglione, sono quattro: l’unica finestra della camera gialla, le due finestre del laboratorio e la finestra dell’atrio. La finestra della camera gialla e quelle del laboratorio danno sulla campagna; solo la finestra dell’atrio si affaccia sul parco».
«È da questa finestra che è fuggito dal padiglione» esclamò Rouletabille.
«Come fate a saperlo?» domandò il signor De Marquet fissando sul mio amico uno sguardo strano.
«Vedremo poi come l’assassino sia fuggito dalla camera gialla» replicò Rouletabille, «ma ha dovuto lasciare il padiglione attraverso la finestra dell’atrio…»
«Ripeto, come fate a saperlo?»
«Eh, mio Dio, è molto semplice. Dal momento che non è potuto fuggire dalla porta del padiglione, bisogna pure che sia passato da una finestra, e bisogna che abbia avuto, perlomeno, per poter passare, una finestra senza inferriate. La finestra della camera gialla ha le inferriate perché dà sulla campagna. Le due finestre del laboratorio dovevano averle certamente per la stessa ragione. Dal momento che l’assassino è fuggito, immagino che abbia trovato una finestra senza inferriate e questa sarà quella dell’atrio che si affaccia sul parco, vale a dire all’interno della proprietà. Non è poi così difficile!»
«Sì» disse il signor De Marquet, «ma quello che voi non potete intuire è che questa finestra dell’atrio, che è la sola, in effetti, a non avere le inferriate, possiede delle robuste imposte di ferro. Ora, queste imposte di ferro sono rimaste chiuse dall’interno con il lucchetto di ferro, eppure noi abbiamo la prova che l’assassino, in effetti, è fuggito da questa stessa finestra! Tracce di sangue sulla parete all’interno e sulle imposte, e passi sul terreno, passi del tutto simili a quelli che ho misurato nella camera gialla, dimostrano che l’assassino è fuggito da lì. Ma allora! Come ha fatto dal momento che le imposte sono rimaste chiuse dall’interno? È passato come un’ombra attraverso le imposte. Infine, cosa più sconvolgente di tutte, come spiegare le tracce dell’assassino che sta scappando dal padiglione, quando è impossibile farsi la minima idea del modo in cui l’assassino è uscito dalla camera gialla né di come ha attraversato necessariamente il laboratorio per arrivare nell’atrio? Ah, sì, signor Rouletabille, questo caso è allucinante. È un bel caso, suvvia… E non se ne troverà la chiave per molto tempo, davvero lo spero…»
«Cosa sperate, signor giudice istruttore?»
Il signor De Marquet rettificò: «Non lo spero… Lo credo…»
«Dunque la finestra è stata richiusa dall’interno dopo la fuga dell’assassino?» domandò Rouletabille.
«È evidente, ecco ciò che mi sembra, per il momento, naturale anche se inspiegabile… perché ci vorrebbe un complice o dei complici… e non li vedo…» Dopo una pausa aggiunse: «Ah, se la signorina Stangerson potesse stare meglio in modo da essere interrogata…»
Rouletabille, seguendo i suoi pensieri, domandò: «E la soffitta? Deve esserci un’apertura nella soffitta».
«Sì, in effetti non l’avevo contata; con questa fanno sei aperture; là sopra c’è una finestrella, o meglio, un lucernario e, dato che dà sull’esterno della proprietà, la signorina Stangerson l’ha fatta ugualmente munire di inferriate. In questo lucernario, come nelle finestre del pianterreno, le inferriate sono rimaste intatte e le imposte, che si aprono naturalmente dall’interno, sono rimaste chiuse dall’interno. Del resto, non abbiamo scoperto niente che possa farci supporre il passaggio dell’assassino nella soffitta».
«Dunque, per voi non c’è alcun dubbio, signor giudice istruttore, che l’assassino sia fuggito – senza che si sappia come – dalla finestra dell’atrio!»
«Tutto lo prova…»
«Lo credo anch’io» annuì gravemente Rouletabille. Dopo una pausa, riprese: «Se voi non avete trovato alcuna traccia dell’assassino nella soffitta, come per esempio quei passi nerastri che sono stati rilevati sul pavimento della camera gialla, dovete essere portato a credere che non sia lui chi ha rubato la rivoltella di compare Jacques…»
«Le uniche tracce in soffitta sono quelle di compare Jacques» fece il giudice con un’alzata significativa del capo. Poi si decise a completare il suo pensiero: «Compare Jacques era con il signor Stangerson… È una fortuna per lui…»
«Allora, che ruolo ha la rivoltella di compare Jacques nel dramma? Sembra dimostrato che quell’arma abbia ferito non tanto la signorina Stangerson quanto l’assassino…»
Senza rispondere a questa domanda, che probabilmente lo metteva in imbarazzo, il signor De Marquet ci rivelò che le due pallottole erano state ritrovate nella camera gialla, l’una nella parete, quella dove si estendeva la mano rossa – una mano rossa maschile – l’altra sul soffitto.
«Oh, oh, sul soffitto!» ripeté a mezza voce Rouletabille. «Davvero… sul soffitto! Che cosa strana… sul soffitto!»
Si mise a fumare in silenzio circondandosi di una nuvola di fumo. Quando arrivammo a Epinay-sur-Orge dovetti dargli un colpetto sulle spalle per farlo scendere dai suoi sogni, sul binario.
Lì il magistrato e il cancelliere ci salutarono, facendoci capire che ci avevano intrattenuti abbastanza a lungo; poi salirono rapidamente su un calesse che li attendeva.
«Quanto tempo ci vuole per andare a piedi da qui al castello di Glandier?» domandò Rouletabille a un impiegato della ferrovia.
«Un’ora e mezzo, un’ora e tre quarti senza affrettarsi» rispose l’uomo.
Rouletabille guardò il cielo, lo trovò adatto alle proprie esigenze e, probabilmente, anche alle mie perché mi prese sotto braccio e mi disse: «Andiamo! Ho bisogno di camminare».
«Ebbene» gli domandai, «il caso comincia a sbrogliarsi?»
«Oh» disse, «tutt’altro. È ancora più ingarbugliato di prima! Ma è vero che ho un’idea».
«Ditela».
«Oh, non posso dire niente, per il momento… La mia idea è una questione di vita o di morte per almeno due persone».
«Credete che ci siano dei complici?»
«Non credo proprio…»
Restammo per un momento in silenzio, poi lui riprese: «È stata una fortuna aver incontrato quel giudice istruttore e il suo cancelliere. Eh! Cosa vi avevo già detto sulla rivoltella?» Aveva la fronte piegata verso la strada, le mani in tasca e fischiettava. Nel giro di un istante lo sentii mormorare: «Povera donna!»
«È la signorina Stangerson che compiangete?»
«Sì, è una donna nobilissima e degna della massima pietà. Ha un carattere fortissimo… immagino… immagino…»
«Dunque conoscete la signorina Stangerson?»
«Niente affatto… L’ho vista una sola volta».
«Allora perché dite: ‘Ha un carattere fortissimo’?»
«Perché ha saputo tener testa all’assassino, perché si è difesa con coraggio e soprattutto, soprattutto, a causa della pallottola sul soffitto».
Osservai Rouletabille chiedendomi in petto5 se non si stesse prendendo gioco di me o se non fosse diventato improvvisamente pazzo. Ma mi accorsi che il giovanotto non era mai stato così serio e lo sfavillio intelligente dei suoi occhietti rotondi mi rassicurò sullo stato della sua mente. E poi mi ero un po’ abituato ai suoi discorsi frammentari… frammentari per me, che ci trovavo solo incoerenza e mistero fino a che, con qualche frase rapida e chiara, mi liberava il filo dei suoi pensieri. Allora all’improvviso tutto si chiariva: le parole che aveva detto e che mi erano sembrate prive di senso si concatenavano con una tale logica e facilità che non riuscivo a capire come mai non avessi capito prima.