Alla figura e al nome di Siegfried è legata l’origine dell’intero Anello del Nibelungo: lo schema in prosa di un dramma ispirato alla sua morte era pronto nell’ottobre 1848, ma la necessità di far conoscere antefatti e caratteri, direttamente rappresentati e non semplicemente narrati, come si sa, condusse Wagner a modificare il piano generale: tra maggio e giugno 1851, dopo l’abbozzo in prosa, incomincia la versificazione di una nuova opera, Il giovane Sigfrido, che prende il posto della Morte di Sigfrido, le cui scene iniziali verranno rifuse nel primo atto del Crepuscolo degli dei. Nel 1856 il titolo della nuova opera si assolutizza in Sigfrido; nel settembre incomincia la composizione musicale, portata avanti fino alla conclusione del secondo atto nell’agosto 1857; a questo punto Wagner, che dall’aprile abita nell’«asilo» apprestatogli dai Wesendonck sulla verde collina nei pressi di Zurigo, interrompe il Sigfrido e lo mette da parte per dedicarsi alla composizione di Tristano e Isotta e dei Maestri cantori di Norimberga; dopo quasi dodici anni ritorna al Sigfrido e completa il terzo atto fra il 1869 e il 1871; la prima rappresentazione avviene al Festspielhaus di Bayreuth il 16 agosto 1876, come seconda giornata nel ciclo completo del Ring.
Una interruzione di tale ampiezza, e colmata da fatti creativi così individuali e importanti, è una circostanza del tutto anomala nella genesi delle opere wagneriane; in una lettera a Liszt del 28 giugno 1857 l’autore la racconta nel suo stile apertamente teatrale: «ho accompagnato il mio giovane Sigfrido fin dentro alla bella solitudine della foresta, dove l’ho abbandonato sotto un tiglio e mi sono accomiatato con lacrime accorate» (Dahlhaus 1984, p. 149); ma alla partitura lasciata in sospeso ritorna dopo poco (lettera dell’agosto 1857 a Maria Wittgenstein): mentre ha di fronte un bel foglio bianco per incominciare il Tristano, fu «sopraffatto da tanta afflizione e nostalgia per la sorte di Siegfried che ci rimisi mano e completai almeno il second’atto. Questo, almeno, è fatto: Fafner è morto, Mime è morto, e Siegfried è corso dietro all’Uccello della foresta che se n’è svolazzato via» (ibid.).
Un motivo dell’interruzione e dell’abbandono potrebbe sembrare il senso di isolamento provato da Wagner a metà dell’opera, cioè lo scoramento che gli faceva avvertire come irrealizzabile il suo grande progetto del ciclo nibelungico, spingendolo a derogare verso un’opera di concezione più semplice, più maneggevole, se non proprio popolare; ma d’altra parte la composizione del Tristano e Isotta urgeva imperiosa, non dilazionabile, ed è probabile che i due motivi agissero congiunti, e che il secondo fosse anche più decisivo del primo. Su tutto agiva poi l’effetto provocato nel 1854, a metà della composizione della Walkiria, dall’incontro con la filosofia di Schopenhauer che avrebbe finito col trasformare la conclusione del Crepuscolo degli dei; la composizione del terzo atto del Sigfrido, che nelle ultime parole di Brünnhilde prefigura appunto quella conclusione, non poteva che essere abbandonata e rinviata.
Il problema critico della frattura è quello di una musica del terzo atto che è stata scritta non solo tanti anni dopo quella dei primi due, ma dopo un’esperienza compositiva tanto sconvolgente, Tristano e I maestri, i cui effetti non potevano non farsi sentire sulla ripresa dell’opera interrotta; tuttavia, anche se non è difficile avvertire nella fonicità dei timbri del terzo atto di Sigfrido qualcosa di più massiccio, di più «fine Ottocento» rispetto ai primi due, il sistema compositivo wagneriano, basato sulla variazione e trasformazione di alcuni nuclei tematici ricorrenti, attenua la cicatrice del taglio, sì che l’unitarietà musicale, pur visibile, non ne viene menomata.
Meno riesce la copertura sul piano drammaturgico, dove in via preliminare è da rilevare l’intervento di un elemento esterno alla materia mitica in cui il Ring affonda le sue radici: ed è l’affinità, scoperta da Wagner con lo stupore di una rivelazione (lettera del maggio 1851 a Theodor Uhlig), fra il suo Siegfried e il protagonista della fiaba dei fratelli Grimm, L’uomo che andò in cerca della paura: due concezioni, fiaba e saga, vengono così a interferire; in particolare, come osserva Carl Dahlhaus, l’ultimo atto dell’opera finisce col segnare una transizione dal mondo della fiaba, prevalente nel primo e nel secondo atto, a quello del mito prevalente nel terzo (Dahlhaus 1984, pp. 146-7): transizione che si riflette nell’ambivalenza del protagonista, ora più simile allo sciocco, al «ragazzo che non capisce» della fiaba, ora all’eroe che uccide il drago e attraversa le fiamme del fuoco. Dar vita a un personaggio «ingenuo» non doveva essere naturale per un artista come Wagner che era il contrario dell’ingenuità. Ma in generale occorre notare che questa mancanza di contorni definiti è congenita alla natura dell’opera: il Sigfrido non ha la compattezza e l’unità di tragitto della Walkiria, la sua vicenda narrativa si muove per quadri separati, fiabeschi, mitici, lirici, grotteschi, realistici, in modo da costituire, più di una vicenda unitaria, una sorta di archivio di motivi poetici e musicali fecondati dal romanticismo; l’unità scenico-drammatica è messa in forse proprio dalla peculiare natura dell’opera.
Come nella Walkiria i personaggi sono eroi e dei, ma mentre quella era impostata sulla lotta fra stirpi rivali e sul contrasto fra amore naturale e costumi sociali, nel Sigfrido torna in primo piano, come nell’Oro del Reno, la lotta per la conquista dell’oro, o meglio dell’anello che dà il potere del mondo. Nella distribuzione dei ruoli vocali salta agli occhi la prevalenza delle voci maschili, di cui è percorsa l’intera gamma: basso profondo (Fafner), basso con riflessi baritonali (Wotan, Alberich), tenore eroico (Siegfried), tenore leggero falsettato (Mime), voce di ragazzo (Uccello della foresta); le due donne, Erda, mezzo soprano, e Brünnhilde, soprano, appaiono solo nell’ultimo atto, con una scena ciascuna. Anche nel Sigfrido due brani famosi sono stati estrapolati e inseriti nei programmi dei concerti sinfonici, il «Mormorio della foresta» e il cosiddetto «Idillio di Siegfried»: ma il secondo, rispetto al contesto nell’opera, interamente rielaborato da Wagner in vista di una sorta di poema sinfonico cameristico, come regalo di compleanno alla moglie Cosima il 24 dicembre 1870.