Col presente volumetto (tale in rapporto alla vastità della materia) ho voluto presentare al lettore italiano il «racconto musicale» dell’Anello del Nibelungo di Richard Wagner, fornendogli una guida per seguire i casi delle quattro opere che lo compongono, L’oro del Reno, La Walkiria, Sigfrido, Il crepuscolo degli dei; sopra tutto, ho cercato di attirare la sua attenzione su quell’aspetto del genio wagneriano che oggi è forse l’unico a sopravvivere intatto al mutare dei tempi e delle mode: cioè la sua infallibilità di musicista teatrale, la miracolosa capacità di suscitare immagini di natura e spaccati dell’animo umano con la forza della sua invenzione musicale.
Oggi, sempre di più, il pubblico ascolta la musica di quelle opere come «colonne sonore» di una vicenda conosciuta per sommi capi, sorvolando su dialoghi o riflessioni solitarie in attesa di quei pezzi d’antologia, «Cavalcata delle walkirie», «Mormorio della foresta», «Marcia funebre di Siegfried», che sono divenuti tanto famosi da vivere per conto loro, come rami separati dal tronco. Nell’Anello del Nibelungo c’è molta più azione narrata che agita, sicché, per non esserne respinti o irritati (cosa si dicono, di cosa parlano, quei tali sul palcoscenico?), è necessario conoscere passo passo come fatti, detti, passioni e sentimenti nascano e si sviluppino in simbiosi con la musica; con il risultato sorprendente che la proverbiale lunghezza delle opere wagneriane, e quegli stessi temutissimi dialoghi privi di azione apparente, finiscono col diventare parte di una drammaturgia logicamente serrata, a tratti addirittura concisa; premeva sopra tutto allontanare il vecchio cliché di un Wagner musicista dell’ipnosi cui abbandonarsi senza condizioni; laddove Wagner era ossessionato dall’idea di farsi capire, anche a prezzo di forzature e debolezze.
Preso dal compito di «mettere in scena» per il mio lettore L’anello come opera compiuta, quale ci appare oggi, ho evitato di dilungarmi sulle sue radici mitologiche e sui suoi innumerevoli riflessi culturali, letterari e biografici: oggetto, del resto, di una saggistica sconfinata, oggi ben rappresentata anche da noi dopo gli studi, a tacer d’altri, di Quirino Principe, Maurizio Giani, Mario Bortolotto, e le eccellenti traduzioni italiane dei saggi capitali di Carl Dahlhaus.
Inoltre, mi sono riferito solo in modo saltuario, non sistematico, alla normativa dei «temi conduttori», divenuta di moda subito dopo la morte di Wagner in ambienti vicini al compositore (i famosi Leitmotive: tema dell’anello, tema dell’elmo magico, della maledizione d’amore, della fratellanza di sangue, del Walhalla, della spada, della lancia e così via per centinaia di titoli); qui, fin dove possibile, questa pratica è evitata, nella convinzione che il puntuale riferirsi a singoli temi, spesso di significati sovrapponibili e comunque poco agevoli da riscontrare, interrompa troppo la lettura, facendo perdere di vista la percezione di uno dei tratti più tipici del linguaggio wagneriano, e cioè il fluire spontaneo del suo tempo continuo.
Torino, settembre 2018 |
G. P. |
I riferimenti alla partitura rimandano alla prima edizione del Ring des Nibelungen pubblicata da Schott, Mainz 1873-76, edizione continuamente ristampata (anche sotto l’etichetta Dover Publications Inc., New York) e la più facile da reperire sia nelle biblioteche sia su supporti informatici. L’edizione critica della tetralogia, sempre per i tipi di Schott, è uscita negli anni 1980-2014 nell’ambito della nuova edizione degli Opera omnia.
Per il testo poetico, salvo alcuni ritocchi dovuti a ragioni di contesto, mi sono basato sulla traduzione italiana di Franco Serpa (commissionata dal Teatro alla Scala in occasione dell’esecuzione completa del Ring nelle stagioni 2010-2013); fra le altre traduzioni, le più reperibili sono quella «storica» di Guido Manacorda (la cui prima edizione degli anni venti fu ripubblicata da Sansoni nel 1974 e poi ancora nel 1983) e quella di Olimpio Cescatti per Garzanti (Milano 1992).
A commento dei punti salienti della vicenda è stata inserita una serie di illustrazioni tratte da pitture e incisioni degli anni vicini alle prime rappresentazioni dell’Anello del Nibelungo.