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Eva si infilò il fagotto sottobraccio. Il vento rischiava di sollevare il vecchio telo di iuta che copriva l'oggetto. Si fermò per sistemare meglio la stoffa intorno alla cornice di gesso scolpita. Quando aveva scelto quel dipinto, non aveva pensato a quanto sarebbe stato difficile nasconderlo e trasportarlo.

Mentre armeggiava con il proprio carico, tenne d'occhio una figura che si muoveva lungo la strada. L'ennesimo forestiero. Da quando la vicina Birmingham aveva cominciato a espandersi e con sempre più gente costretta a spostarsi a causa dei raccolti andati male, era normale incontrare degli sconosciuti che attraversavano la campagna. Tuttavia quell'uomo la insospettì, sebbene non sapesse dire per quale motivo. Forse perché andava troppo lento, come se non avesse una destinazione precisa. In realtà, sembrava quasi che avesse rallentato di proposito per non superare il viale d'accesso della dimora prima che lei raggiungesse la strada.

Non era la prima volta che Eva si trovava a sospettare di uno sconosciuto. La settimana precedente le era successa la stessa cosa, in città, ed era sicura di aver rivisto quell'uomo ore dopo nei pressi di casa propria.

Si rimproverò per quella tendenza a inventare fantasmi. Era solo nervosa per la missione che doveva compiere, tutto lì. Non avrebbe dovuto avere quel dipinto e il senso di colpa la rendeva troppo sospettosa.

Continuò a camminare. Lanciò un'occhiata alla dimora alle sue spalle mentre si avvicinava al punto in cui il vialetto sboccava sulla strada. Probabilmente anni prima, quando gli alberi che fiancheggiavano quel viale erano ancora tutti vivi, da lì si scorgevano solo dei comignoli. Ora, invece, le pessime condizioni in cui versava l'edificio erano visibili a tutti. Si trattava più di una grande tenuta di caccia che di un vero e proprio maniero ed era formata da varie ali di pietra connesse a un rozzo corpo centrale di epoca Tudor. Trent'anni addietro l'avrebbero considerata caotica, ma per i gusti moderni era una struttura interessante.

Ogni volta che Eva vi faceva visita, notava nuovi danni. Quel giorno, una parte del muro che recintava il giardino era scomparsa. Di sicuro le pietre erano state rubate per costruire qualche dépendance in una delle belle tenute di Langdon's End. Prima o poi, svoltando quella curva, si sarebbe trovata di fronte solo un ammasso di pietre.

Imboccò la strada principale, armeggiando con quella fastidiosa cornice e sforzandosi di non voltarsi a guardare l'uomo che ora camminava dietro di lei. All'improvviso sentì un rumore che le paralizzò le dita. Si stava avvicinando un cavallo. A giudicare dal ritmo degli zoccoli, veniva al galoppo dalla direzione opposta. Entro breve sarebbe spuntato dalla curva e l'avrebbe vista.

Eva controllò il dipinto per assicurarsi che fosse ben coperto, poi avanzò a passo deciso, come se fosse presa da occupazioni normali e affatto sconvenienti. Un attimo dopo, comparve un enorme cavallo nero con la testa protesa in avanti e i denti scoperti che le andava incontro come una creatura infernale. Quell'essere demoniaco e scalpitante sbuffava dalle froge e si avvicinava a tutta velocità.

Arrivò al punto in cui il cavaliere avrebbe dovuto rallentare per non travolgerla, ma il cavallo continuò a galoppare. Spaventata, Eva si buttò da una parte, maledicendo quel mascalzone che rischiava di ucciderla per un suo capriccio. Vedendo il movimento, il cavallo si impennò. Le sue zampe si sollevarono in aria e la bestia emise un nitrito selvaggio.

Quando si accorse di avere i piedi freddi e umidi, Eva abbassò lo sguardo: era finita in una pozzanghera. Imprecò di nuovo, temendo di essersi rovinata le scarpe.

«Vi porgo le mie scuse più sentite» disse una voce dall'alto mentre lei sollevava un piede per esaminare il danno. Fradice. Rovinate senza rimedio.

«È un po' tardi per le gentilezze» replicò Eva seccamente. Cercò di appoggiare il piede in modo da uscire dalla pozzanghera senza bagnarsi ancora di più, ma il carico che trasportava rendeva tutto più difficile. Riusciva a malapena a vedere cosa c'era oltre il dipinto. Forse sollevandolo sopra la testa...

«Stavo guardando la tenuta e mi sono distratto. Ciò che ho fatto è imperdonabile, ma sembrava che non ci fosse nessuno in strada.»

«Se aveste guardato, vi sareste accorto che qualcuno c'era.» Eva si guardò alle spalle per indicare l'uomo dietro di sé, ma era scomparso. Forse aveva preso una scorciatoia nel bosco.

La sua gonna era troppo stretta per consentirle di fare un passo lungo, così fu costretta a camminare nella pozzanghera per uscirne.

Di colpo vide una mano tesa che cercava di afferrare il dipinto. «Lasciate che vi aiuti con questo pacco, così non rischierete di farlo cadere.»

Eva scacciò la mano con un colpo e uscì sull'erba asciutta.

Il cavallo ansimava e tremava, indeciso se darle un morso o meno. Eva osservò il fianco maestoso della bestia, poi le lunghe gambe del cavaliere e i begli stivali che calzava. Alzò ancora lo sguardo sull'elegante redingote bordeaux e il fazzoletto da collo morbido. Infine raggiunse il volto dell'uomo che le stava parlando.

Per un attimo tutta la sua collera svanì. Fu solo una tregua di pochi secondi, ma in quel breve interludio non fu soltanto la sua ira a scomparire. Cessarono anche il suo respiro, il fruscio delle foglie... e forse il moto stesso della Terra.

Il cavaliere era incantevole. Nessun'altra parola poteva bastare a descriverlo. Bello era troppo poco. Attraente non si avvicinava nemmeno alla realtà. Capelli neri e folti, occhi scuri e sopracciglia che disegnavano un arco perfetto, in un insieme di lineamenti regolari e armoniosi. L'unico piccolo difetto, la bocca un po' larga, non lo rendeva meno bello, anzi gli dava più espressività e un'innegabile carica sensuale.

Tuttavia, non erano solo le labbra a rivelare quella natura. L'atteggiamento e i modi, addirittura la postura che teneva su quel cavallo, bastavano a far capire che portava solo guai nella vita delle donne. Di certo gran parte delle signore lo trovava irresistibile ed Eva sospettava che lui lo sapesse. Come poteva non saperlo se si ritrovava di fronte delle sciocche che lo fissavano a bocca aperta come lei in quel momento?

Gli occhi scuri dell'uomo la scrutarono con altrettanta intensità, ma con uno sguardo molto più divertito del suo. Probabilmente il cavaliere aveva notato l'intermezzo di tre secondi ed era abituato a quel genere di reazione da parte delle donne.

«Vi ho rovinato le scarpe. Insisto per comprarvene un paio nuovo.»

Era giusto che si offrisse di pagare, ma lei reagì male a quella proposta. Il cavaliere aveva capito che non poteva permettersi un paio di scarpe nuove e la cosa la infastidì. Non voleva che quell'uomo si sentisse in diritto di farle la carità.

«L'unica cosa che vi chiedo è di non andare al galoppo in questa strada mentre ammirate il panorama. Vi lasciate affascinare troppo facilmente dall'architettura, se quella tenuta vi ha distratto tanto.»

Lui si voltò a guardare la magione. «Io la trovo molto bella, invece.»

Eva si sistemò meglio il dipinto fra le braccia. «Dall'esterno forse potrebbe attirare chi predilige il sentimentalismo alla ricercatezza, ma all'interno è in rovina. Dacché la ricordo è sempre stata disabitata e il proprietario non se ne cura. È il paradiso dei vagabondi e dei ladri e la gente del posto sarebbe felice di vederla ridotta in cenere. Forse un giorno accadrà.» Lei, però, sperava di no. Quella casa le era stata molto utile negli ultimi cinque anni.

Sollevò di nuovo il dipinto e riprese a camminare. Sentì il cavallo muoversi con lei e poi avvertì il suo respiro sulla spalla.

Eva si spaventò e fu tentata di gettarsi di nuovo oltre il ciglio della strada.

«Non volete proprio che vi aiuti con quello? O, meglio ancora, che vi dia un passaggio a cavallo? Quel pacco sembra molto pesante e le vostre scarpe saranno poco confortevoli.»

Eva si voltò e guardò quel bellissimo volto, ora illuminato da un sorriso affascinante. No, la sua bocca non aveva difetti. Mascolina e ben delineata, lo rendeva più seducente che mai. Lui la guardò con intensità. Forse anche troppa. Avrebbe dovuto alzare la guardia contro un uomo così, invece venne attraversata da un'ondata di fremiti e faticò moltissimo per non arrossire.

«No, grazie. Ce la faccio.»

«Non abbiate paura, prometto che mi comporterò bene. Sono innocuo.»

La sua espressione, chiaramente divertita, smentì quelle parole. Vieni con me e ti farò conoscere un piacere che nemmeno immagini, dicevano i suoi occhi beffardi.

«Non ho paura di voi, signore, ma del vostro cavallo. Potreste stare un po' più indietro?»

Lui le diede qualche passo di vantaggio, poi ricominciò a seguirla. «Siete diretta in città? Dista almeno un miglio da qui.»

«Non salirei sul vostro cavallo nemmeno se distasse cinque miglia. Vi prego, andate per la vostra strada e io andrò per la mia.»

Lui fece un cenno di assenso, poi girò il cavallo e si allontanò. Imboccato il viale di accesso della tenuta, si fermò e osservò l'edificio diroccato. Aveva desistito con la ragazza solo perché aveva qualcosa di più interessante a cui pensare.

Eva si voltò un'ultima volta prima di superare la curva che lo avrebbe nascosto ai suoi occhi. Era davvero magnifico, con il vento che gli muoveva i capelli e scopriva il suo bel profilo, lo sguardo intento e pensoso. Se fosse stata una vera artista e non una mediocre pittrice copista, lo avrebbe inserito in una grande composizione piena di movimento. Invece, non poté fare altro che imprimersi la sua immagine nella memoria.

Le scarpe rovinate non le diedero alcun fastidio nel mezzo miglio di strada che la separava da casa e non notò nemmeno il peso del dipinto. Percorse quel tratto con il sorriso sulle labbra. Come poteva una povera zitella lamentarsi della sua giornata quando l'uomo più bello del mondo si era appena fermato a parlarle?

Tipico di Percy lasciare che la proprietà andasse in rovina. Percy aveva sempre saputo di non poter vincere in Corte di Cancelleria e così, mentre gli avvocati lasciavano languire il suo caso in tribunale, aveva atteso semplicemente che il tempo togliesse valore all'oggetto del contendere.

Gareth sfogò la rabbia galoppando forte. Quando infine consegnò il cavallo allo stalliere della locanda, si era quasi calmato del tutto.

L'indomani si recò a Coventry molto più sereno. Era avvezzo a mandare giù bocconi amari e aveva capito che permettere a Percy di rovinargli l'umore per giorni e giorni equivaleva a concedergli una vittoria.

Inoltre, Percy era morto e quel pensiero bastava a tirargli su il morale.

Smontò da cavallo di fronte a una dimora elegante e molto grande, che non era affatto in rovina. Del resto Percy non era mai riuscito a mettere le mani sui beni che il loro padre aveva donato a Mrs. Johnson. Gareth sperava che l'ultimo pensiero di Percy fosse stato pieno di rancore per la precisione con cui il genitore aveva predisposto tutto.

La donna lo ricevette nella sua raffinata sala delle visite. Gareth si chinò per darle un bacio e lei lo abbracciò calorosamente.

«Sono felice di vederti, Gareth. Immagino tu abbia saputo.»

Lui si sedette. «Sono tornato appena ho letto la notizia, madre. Terribile. Davvero terribile.»

La madre mantenne un'espressione neutra, ma i suoi occhi scintillarono nel riconoscere l'ironia di quel commento. «Sì, terribile. Era così giovane. Quanti anni aveva? Trentatré? Una morte prematura e inaspettata.»

«Una vera tragedia.»

«Sei già stato a Merrywood?»

«Ho pensato che fosse meglio incontrare prima voi. Ci andrò subito domattina.»

Lei gli diede qualche colpetto affettuoso sul braccio. Non doveva mai spiegare granché a sua madre. Avevano lo stesso modo di ragionare, oltre che lo stesso volto. Gareth aveva gli occhi, il naso e perfino la bocca della madre. Se Allen Hemingford, il terzo Duca di Aylesbury, non si fosse fidato tanto di lei, avrebbe potuto sospettare che Gareth non fosse suo figlio. Invece, aveva sempre creduto alle parole dell'amante e aveva rispettato il loro contratto.

Era grazie a quel contratto, siglato quando lei aveva diciotto anni, se sua madre aveva quella casa, una carrozza, la servitù e un cospicuo vitalizio. Essendo una donna astuta, aveva preteso anche che i figli concepiti con il duca venissero mantenuti e prendessero il cognome Fitzallen, figlio bastardo di Allen, come si usava un tempo. Nemmeno Percy era mai riuscito a intervenire contro la rendita percepita da Gareth. La casa nei pressi di Langdon's End, però, era un'altra cosa. Aylesbury l'aveva lasciata a Gareth in un codicillo aggiunto al testamento, ma Percy aveva contestato quella scrittura non appena il padre era stato sepolto.

Certo, il vitalizio di Gareth non si avvicinava nemmeno a quello di sua madre. Sarebbe bastato ad assicurare un'esistenza dignitosa a un gentiluomo scapolo come lui, ma al momento andava quasi tutto agli avvocati che seguivano la sua causa in Corte di Cancelleria.

Così Gareth aveva trovato il modo di arrotondare le entrate. Per fortuna aveva ereditato anche l'astuzia di sua madre e, dopo aver terminato gli studi previsti dal contratto, non ci aveva messo molto a organizzarsi in tal senso, aiutato anche dal suo buon occhio per l'arte.

Molti gentiluomini lo escludevano dai loro ricevimenti e non gli avrebbero mai presentato le sorelle e le figlie ma, data la sua discendenza aristocratica, non temevano di affidarsi a lui quando volevano trovare un compratore per le loro collezioni. In quel periodo di crisi economica, molte opere d'arte passavano di mano in mano. La sua era un'occupazione che non puzzava di vile commercio, dato che Gareth faceva tutto a titolo di favore verso i soggetti coinvolti.

«Dunque sei appena tornato?» gli chiese Mrs. Johnson, versando il caffè portato da una delle domestiche. Ne aveva quattro alle sue dipendenze. Un tempo c'era stato anche un Mr. Johnson, anche se per un periodo brevissimo. Il matrimonio era durato circa una settimana, poi l'uomo aveva intascato una bella somma di denaro ed era partito per l'America.

Quando il duca aveva conosciuto Amanda Albany, lei era una ragazza nubile. Un'innocente. Il duca, però, voleva da lei qualcosa che non poteva chiedere a una ragazza nubile, così la fece sposare con un capitano dell'esercito di nome Johnson, ma non fu nel letto di quel Johnson che Amanda Albany passò la prima notte di nozze.

«Sono sbarcato qualche giorno fa... Perché? Che importanza ha?»

«Forse molta. Sono in contatto con il vecchio Stuart, te lo ricordi? Il lacchè claudicante. Dopo la morte di Allen, siamo rimasti in buoni rapporti. Mi ha detto che ci sono dei sospetti sulla morte di Percival. Il medico legale ha lasciato il caso in sospeso e il magistrato sta svolgendo delle indagini.»

«Qualcuno ha informazioni che facciano sospettare un evento delittuoso?»

«No, ma sono tutti molto dubbiosi. Un'indigestione improvvisa e dolorosa che lo ha ucciso in pochissimo tempo... be', anch'io mi porrei qualche domanda.»

Ecco perché il giornale di Amsterdam parlava di indagini. «Temete che le accuse ricadano su di me, vero?»

«La vostra inimicizia è nota a tutti e la causa su quell'eredità potrebbe spingerli a sospettare di te.»

«Non preoccupatevi, ero all'estero. Posso dimostrarlo.»

Il volto di sua madre si rasserenò. All'improvviso gli parve più giovane dei suoi quarantotto anni, intelligente e determinata. Sarebbe stata una moglie perfetta per il duca, se non fosse già stato sposato con la madre di Percy e se Amanda Albany non fosse stata la figlia di un maggiordomo.

Quel cambiamento repentino d'umore indicava che la madre aveva davvero temuto che fosse lui il colpevole. Brutta cosa quando tua madre ti ritiene capace di uccidere... A pensarci bene, però, era probabile che in altre circostanze ne sarebbe stata capace anche lei.

«Immagino che troverai Lancelot e Ives a Merrywood» gli disse la madre. «Dovranno occuparsi del passaggio del titolo a Lance e sistemare i conti.»

«Lo spero. Vorrei incontrarli.» Dato che ora Lance era il nuovo duca, probabilmente lo avevano coinvolto nelle indagini. Ives, essendo avvocato, gli avrebbe dato una mano con le questioni legali.

Gareth non aveva mentito, voleva davvero vedere i fratellastri. A differenza di quanto era accaduto con Percy, con loro era sempre stato in buoni rapporti. E poi, naturalmente, ora Lance avrebbe preso una decisione sulla causa in Corte di Cancelleria.

«La prossima settimana gli daranno una seconda sepoltura» lo informò la madre. «Hanno costruito un mausoleo in fretta e furia, seguendo le istruzioni date da Percival in punto di morte. Ora che è terminato, dissotterreranno il corpo per spostarlo lì dentro. Mr. Stuart mi ha detto che l'edificio è un orrore. Mi ha mandato un disegno. Voglio mostrartelo, così sarai preparato. È talmente brutto che mi sono chiesta se Percival non volesse essere ricordato come il duca sepolto nella tomba più spaventosa della storia.»

«Non ha mai avuto gusto. Nostro padre glielo diceva sempre e lui andava su tutte le furie» disse Gareth distrattamente, preso da altri pensieri. Se i magistrati stavano indagando sulla morte di un duca, il suo successore non avrebbe certo perso tempo con questioni minori, come la causa riguardante una piccola proprietà. Dannazione, Percy era una spina nel fianco perfino da morto. «Sono passato a Langdon's End prima di venire qui.»

La madre lo guardò con aria di rimprovero. Gli diceva sempre di lasciar perdere quel posto. In quanto figlia di un maggiordomo e amante di un duca, non aveva alcun senso di proprietà, sebbene godesse dell'usufrutto a vita della casa in cui viveva.

«L'ha lasciata andare in rovina. Non c'è nemmeno un custode e la struttura cade a pezzi. Non credo ci sia più niente di salvabile all'interno. Ho saputo che i ladri l'hanno depredata.»

«Ci sei entrato?»

«Mi è stato proibito, ricordate? Ho fatto il giro dell'edifico dall'esterno e ho guardato dalle finestre. Percy sapeva che contestare il lascito non sarebbe servito a niente, così ha fatto in modo di mandare quel posto in rovina prima che ne prendessi possesso.»

«Forse la sorte è intervenuta prima che questo accadesse. Lance non ha ragione di dare seguito alla contesa.»

«Può darsi.» Gareth si alzò. «Se non vi dispiace, vorrei andare di sopra. Sono in viaggio da diversi giorni.»

Si congedò dalla madre, tuttavia la sua voce lo fermò sulla porta.

«Mi ha scritto Lady Chester. Sua nipote pensa ancora a te e chiede quando tornerai a Londra.»

La nipote di Lady Chester era una donna attraente e infelice, sposata con un visconte noioso. «Quando lo farò, passerò a farle visita, ma se si aspetta qualcosa di più da me resterà molto delusa.»

«Sei troppo rapido nel sedurre e abbandonare le tue conquiste, Gareth. Non mi stupisce che tu non goda di un'ottima reputazione.»

«Sarei rimasto più a lungo nel letto di quella signora se non avesse cercato di comprarmi. Un uomo non si lascia corrompere dalla sua amante se ha un po' di amor proprio. Ho fatto un favore a entrambi chiudendo quella storia.»

«Non ti sei fatto tutti questi problemi con Lady Dalmouth, però.»

«Innanzitutto ero più giovane, e poi Lady Dalmouth ha molto più di qualche sciocco regalo da offrire a un uomo.» In particolare, aveva un'esperienza sessuale che pochi uomini avevano l'onore di conoscere nella loro vita. Voglioso, arrabbiato e pronto a conquistare il mondo, Gareth era l'allievo ideale per lei. Non si era nemmeno accorto di essere diventato la sgualdrina di quella donna finché lei non gli aveva ordinato di cambiarsi il soprabito perché quel giorno non gradiva quel colore.

«Le donne vengono comprate in continuazione, eppure io sono riuscita a mantenere una certa dignità. Non vedo perché per gli uomini dovrebbe essere diverso quando tra due persone c'è un legame affettivo.»

Gareth si rese conto di averla offesa. Non era sua intenzione, ma bastava un'ora con lei e si ritrovava di nuovo quindicenne con una madre che tentava di pianificare il suo futuro.

«Tu non eri solo l'amante del duca. Eri la sua vera moglie, e al diavolo la legge. Scrivi a Lady Chester e dille che ad Amsterdam mi sono invaghito di una vedova, perciò non soddisferò le richieste di sua nipote quando andrò in città.»