«Mi sembrano asciutti» disse Rebecca, sfiorando la superficie del dipinto e guardandosi la punta delle dita per vedere se era sporca di pittura.
«Per quello serve un'altra settimana» mormorò Eva, concentrata sull'opera che aveva portato a casa tre giorni prima, un'impresa che le era costata un paio di scarpe.
«Ma gli altri sono pronti.»
«Non andrò a Birmingham ogni volta che un dipinto è pronto. Non possiamo permettercelo. Aspetterò che si asciughino tutti e poi li trasporterò con un viaggio solo.»
Rebecca fece un sospiro profondo e si buttò sul divano. Eva era dispiaciuta per la sorella. In confronto alla vita eccitante di Birmingham, la loro casa nella periferia di Langdon's End e la cittadina stessa non offrivano stimoli. Il luogo in cui si è nati e cresciuti non è mai il posto ideale per chi ha uno spirito avventuroso. Rebecca desiderava una vita piena di novità, voleva viaggiare e scoprire i mondi che conosceva attraverso la lettura.
Da un anno Rebecca chiedeva di andare a Londra. Eva cercava di accontentarla permettendole di accompagnarla a Birmingham ogni volta che portava i suoi quadri a Mr. Stevenson, un cartolaio che li esponeva nella sua vetrina.
Sua sorella si allungò sul divano, uno dei pochi mobili che non avevano ancora venduto. Fece un broncio grazioso, ma del resto tutte le espressioni di Rebecca erano adorabili. I capelli le ricadevano sulle spalle in una folta cascata di ricci lucenti, talmente belli che nessuno avrebbe notato che indossava un abito rattoppato in più punti.
A volte Eva invidiava la bellezza di Rebecca, anche se non avrebbe dovuto, ma le sembrava ingiusto che a sua sorella fosse toccata in sorte la versione migliore di tutti i tratti che avevano in comune. Gli occhi di Rebecca erano blu come le onde del mare più trasparente del mondo, mentre i suoi potevano definirsi azzurri solo nelle giornate di sole. Si guardò allo specchio e vide che quel giorno le iridi erano di un colore pallido e indefinibile, comunque troppo anonimo per essere notato. I capelli di Rebecca avevano un intenso color mogano mentre i suoi erano dello stesso marrone spento di un tronco qualunque. Come se non bastasse, Rebecca era anche più intelligente di lei. Se non aveva ancora mostrato l'astuzia necessaria a sopravvivere era solo perché lei la proteggeva da tutte quelle esperienze che richiedevano una simile scaltrezza.
Una ragazza straordinaria come Rebecca meritava molto più di ciò che avevano. Per il momento, però, oltre a quelle escursioni di un giorno a Birmingham, non era riuscita a darle opportunità migliori. Per fortuna aveva un piano e il dipinto che stava iniziando ne faceva parte.
Eva tornò a concentrarsi sul lavoro e si chiese se non fosse meglio togliere la pesante cornice di gesso prima di procedere. Certo, rimetterla al suo posto dopo aver terminato sarebbe stato faticoso, ma lasciandola lì rischiava di sporcarla di pittura. Cornici come quella facevano sembrare minuscole le tele che ornavano. Non riusciva a spiegarsi come mai i proprietari delle opere d'arte non si accorgessero di quanto una cornice potesse imbruttire il tesoro che conteneva.
Alla fine decise di lasciare la cornice e sistemò il quadro sul cavalletto. La sua tela era tre pollici più alta dell'opera originale, ma non poteva permettersi di comprarne un'altra. Avrebbe risolto il problema ingrandendo un po' il paesaggio, allungando gli alberi e ampliando il cielo.
«Perché hai scelto quel quadro, stavolta?» le domandò perplessa Rebecca, che si era spostata dietro le sue spalle. «Chi vuoi che compri la tua copia? Il soggetto è davvero un po' misero.»
Il dipinto raffigurava tre bambini con le guance rosse e i loro abiti migliori che giocavano accanto a una fontana. Probabilmente si trattava di un ritratto di gruppo informale, ma forse l'artista li aveva dipinti solo per un suo capriccio.
«È un'opera di Gainsborough, Rebecca, e questo basta a renderla interessante, visto che il suo stile è ancora molto popolare. Inoltre i bambini attireranno l'attenzione di madri e nonne molto più delle divinità greche.»
«Solo se le divinità sono vestite. Dipingile nude e vedrai come le apprezzeranno le madri.»
«Rebecca!»
«Non fingerti sconvolta, per favore. Se le sorelle Neville hanno dei libri sulle incisioni di statue nude nella loro biblioteca, posso affermare con certezza che alle donne non dispiace vedere certe cose.»
Le sorelle Neville erano due zitelle facoltose di Langdon's End. Vedevano in Rebecca le potenzialità per diventare membro del loro circolo culturale e le avevano messo a disposizione la loro biblioteca che, a quanto pareva, comprendeva testi sulle incisioni di statue nude.
«Sono sicura che le sorelle abbiano quel genere di libri solo perché sono molto utili per lo studio dell'antica Grecia.»
«Oh, sì, sono molto istruttivi in effetti» replicò Rebecca con un sorriso malizioso. «Ho imparato molto da quelle pagine. Vieni con me un giorno e ti mostrerò le migliori.»
«Se mai verrò con te, sarà per un motivo migliore di questo.» Eva aprì la scatola della pittura e cominciò a stendere i colori che aveva mischiato il giorno prima sulla tavolozza. «Ora va' via, devo concentrarmi.»
Rebecca mise di nuovo il broncio. «Ma volevo parlarti di una cosa importante! Ho pensato molto alla nostra vita qui e credo che dovremmo cambiare. Ho un piano...»
Eva smise di ascoltarla quasi subito. Le sue parole divennero un sottofondo appena udibile per i suoi sensi, un po' come un ruscello che scorre anche quando nessuno lo sente più.
Quando Rebecca se ne andò, quasi non se ne accorse.
Quattro ore dopo, mentre puliva i pennelli e ammirava i progressi di quel giorno, alcune parole della sorella riaffiorarono nella sua memoria. E continuarono a tormentarla finché non si concentrò abbastanza da ricostruire il senso del discorso.
Allorché infine le parve di aver capito, scoppiò a ridere. Rebecca non poteva aver detto una sciocchezza del genere. Sua sorella non le avrebbe mai proposto seriamente di vendere la casa, prendere il denaro e andare a Londra per diventare cortigiane.
La tenuta di Merrywood, a cinque miglia da Cheltenham sulle colline di Gloucester, non era cambiata affatto negli anni in cui Percival era stato duca. Il fratellastro diceva sempre che preferiva lasciare i lavori di rinnovo della dimora palladiana alla futura duchessa. Gareth era convinto che Percy fosse troppo avaro per decidersi a rinnovare qualcosa o perfino per prendere moglie, anche se prima o poi si sarebbe dovuto sposare, come ogni duca.
Entrando nella proprietà, ebbe la conferma che Percy non aveva speso un centesimo per il mantenimento della tenuta. Il cottage che era andato bruciato cinque anni prima era ancora un ammasso di legno carbonizzato e Merrywood stessa necessitava di molta manutenzione.
Gareth si presentò all'ingresso in veste di visitatore, come sempre. Un figlio bastardo non poteva comportarsi da padrone di casa nella tenuta di famiglia del padre. La prima volta che era stato lì dopo la morte del padre, Percy aveva messo subito in chiaro le regole, rifiutandosi di riceverlo. Suo padre, invece, lo aveva sempre lasciato entrare e lo stesso faceva la servitù, anche quando il duca non era in casa.
Aveva assistito ai funerali del genitore sul proprio cavallo, da una collina prospiciente il cimitero. Mentre gli esponenti più in vista dell'aristocrazia portavano la bara alla tomba, era arrivata una carrozza e ne era scesa sua madre. Camminando a testa alta, con un'espressione che sfidava Percy o chiunque altro a fermarla, Mrs. Johnson aveva superato il gruppo di nobili per assistere alla sepoltura dell'amante. All'epoca la duchessa era morta da più di dodici anni, ma Gareth sospettava che sua madre avrebbe fatto lo stesso anche se lì ci fosse stata la moglie del defunto duca.
Quel giorno sulla porta di Merrywood era appesa un'enorme corona funebre ornata di seta nera. Si chiese se Percy, in punto di morte, avesse ordinato anche quella, oltre al mausoleo.
Attese nell'atrio che il suo biglietto da visita venisse recapitato e accettato, poi seguì il maggiordomo in biblioteca. Lì trovò Ives, il minore dei figli legittimi di suo padre, che aveva trent'anni, due in più di lui. Il suo vero nome era Ywain, ma lui lo detestava e si faceva chiamare Ives. Era molto alto, come tutti i figli del terzo Duca di Aylesbury. Se ne stava in piedi alla finestra e la luce metteva in risalto i suoi lineamenti classici e le sfumature dorate dei capelli castani. Quando sentì la porta aprirsi, si voltò. Portava una fascia nera intorno al braccio in segno di lutto.
Attesero che il maggiordomo se ne andasse. Ives trattenne con fatica il sorriso che minacciava di incurvargli le labbra. I suoi occhi verdi erano accesi di compiacimento, ma lui scacciò quello sguardo, si schiarì la gola e assunse un atteggiamento cupo, più adatto all'occasione. «Gentile da parte tua farci visita, Gareth. Percy lo avrebbe apprezzato.»
Con grande fatica, Gareth mantenne un'aria neutra. «Quando ho letto la notizia mi trovavo ad Amsterdam e il mattino seguente ho preso la prima nave postale per l'Inghilterra. Una tragedia terribile.»
«Sì, è vero. Come potrai immaginare, siamo sconvolti.»
Oh, sì, dovevano essere proprio sconvolti. Quando aveva circa quindici anni, Gareth si era reso conto che Lance e Ives erano suoi alleati nella battaglia contro Percy. Loro sapevano perché Gareth odiasse l'erede del duca, lui, invece, non aveva idea di cosa avesse messo dei fratelli di sangue l'uno contro l'altro.
«E così eri ad Amsterdam?» gli chiese Ives.
«Sì.»
«Mi fa piacere saperlo. Un viaggio piacevole e provvidenziale.»
Dunque anche lui aveva sospettato che Percy fosse morto per mano del fratellastro bastardo. Gareth, però, non poteva certo biasimarlo, dato che aveva minacciato di morte Percy almeno una decina di volte di fronte a testimoni.
«Mi stavo occupando della collezione di un conte francese. Ho trovato un industriale qui che ha denaro a volontà e desidera allestire subito una galleria nella sua nuova dimora. I dipinti dovrebbero arrivare entro un paio di settimane.»
Ives indicò un vassoio con una bottiglia di brandy e inarcò le sopracciglia con aria interrogativa. Gareth annuì e Ives riempì i bicchieri. «Lance ti chiederà di trovare un compratore per alcuni dipinti che abbiamo qui. Quelli che ha acquisito Percy non sono di suo gusto.»
Gareth prese un sorso di brandy. «E chi li troverebbe di suo gusto? Non posso vendere opere che nessuno vuole comprare.»
«Magari puoi trovare un ricco industriale con la vista debole, oppure mentire e descriverli come i dipinti più straordinari degli ultimi vent'anni.»
«Spiccherebbero solo se paragonati alle opere di una suora spagnola. Tutti quei cherubini paffuti e quei santi con gli occhi al cielo e le palme del martirio... Possibile che, in segreto, Percy fosse cattolico?»
«Se fosse stato cattolico avrebbe dovuto rispettare un qualsivoglia principio morale, non credi?»
Gareth rischiò quasi di strozzarsi con il brandy.
«Accidenti» sospirò Ives. «Non va bene parlare male dei defunti. Non ora. Non possiamo rischiare che la servitù ci veda in atteggiamenti poco luttuosi. Se dicessero di aver sentito delle risate, si potrebbero creare equivoci pericolosi. Che Dio mi perdoni, Gareth... Percy era mio fratello, ma quando ho saputo della sua morte, a Londra, mi è presa una gran voglia di aprire la finestra e sparare qualche colpo di pistola per festeggiare.»
«Immagino tu non lo abbia fatto solo per non spaventare la tua amica attrice. Come sta, a proposito?»
«È molto costosa.»
Gareth comprese che quella liaison sarebbe finita presto. «Perché le voci sul nostro umore dovrebbero creare problemi? Tutti sanno che Percy non era molto amato.»
Stavolta Ives si fece davvero scuro in volto. «Potrebbe trattarsi di omicidio, Gareth. Di certo l'hai saputo. Lo hanno insinuato perfino i giornali.»
«Speravi che quel giorno io fossi in Inghilterra in modo che i sospetti ricadessero su di me?»
Ives lo fulminò con lo sguardo. «I sospetti erano già ricaduti su di te. Stanno indagando a Londra per verificare i tuoi spostamenti, perciò è una vera fortuna che fossi all'estero. Sono sollevato di avere un fratello in meno a cui fare da avvocato.»
Rimasero in silenzio per qualche istante, a bere il loro brandy.
«Dov'eri tu quel giorno?», gli chiese Gareth.
«A Londra, di giorno in tribunale e la sera a una cena. Il magistrato non ha più alcun sospetto su di me.»
Presero un altro sorso di brandy.
«E Lance?»
Ives fece un sospiro profondo. «Lui era qui. Era in questa maledetta casa.»
«Ebbene sì, ero qui» annunciò una voce.
Gareth si voltò. Lance era appena entrato in biblioteca, in tutto il suo splendore anticonvenzionale, come sempre: capelli e occhi scuri, vestito più di arroganza e acume che di abiti neri e stivali, illuminato da un sorriso che solo agli stupidi sembrava amichevole. Non si era rasato, quel giorno, e la barba incolta metteva in risalto la lunga cicatrice sulla sua guancia destra.
Si avvicinò a Gareth, gli diede una pacca sulla spalla e si versò del brandy, poi si voltò verso gli altri due con il bicchiere in mano.
«Peccato che non abbia avuto il coraggio di farlo. Credo siamo tutti d'accordo, signori, sul fatto che Percy fosse una persona orribile e che seminava dolore ovunque andasse. Brindiamo a lui e ai tanti anni di sofferenza che non potrà più causare ora che è morto.»
«Devi smetterla di dire cose del genere» lo rimproverò Ives, sbattendo il bicchiere sul tavolo. «Abbi almeno un briciolo di discrezione.»
«Ha paura che mi impicchino» disse Lance a Gareth. Il suo tono esprimeva indifferenza verso i timori di Ives o l'opinione di chiunque altro al mondo.
«Non ho paura che ti impicchino... Dannazione, vuoi che la gente si chieda se sei un assassino per tutta la vita, nel caso non trovino mai il colpevole?»
«Che vuoi che me ne importi? Il Duca di Aylesbury può sopravvivere a qualche ferita.»
«Ascolta, non mi aspetto che tu pianga sulla sua tomba, ma nemmeno che ci balli sopra. Per la miseria, un uomo è morto ed è indispensabile che i suoi parenti stretti mostrino un po' di serietà per non destare sospetti.»
«Ives ha ragione» intervenne Gareth, assumendo un'aria cupa. «Un uomo è morto.»
«Certo che ho ragione» commentò Ives.
Lance abbassò le palpebre e si cancellò il sorriso dalle labbra. Un tratto alla volta, creò una maschera di tristezza sul proprio volto. «Così va meglio?»
«Sì, molto meglio» convenne Ives.
«Oh, ma è troppo scomodo! Farò una gran fatica a mantenere quest'espressione.»
«Devi farlo lo stesso. Pensa che erediterei tutto io se ti impiccassero. Dovrebbe bastare a tenere a bada quel tuo sorrisetto.»
«Non dovrebbero dimostrare che è stato un omicidio prima di accusare qualcuno?» chiese Gareth.
«Quel dannato medico ha scritto che potrebbe essere stato avvelenato» gli spiegò Lance. «Accidenti, ma se l'uomo che ti pagava è morto, non dovresti cercare di ingraziarti quello che prenderà il suo posto, anziché mettere per iscritto che potrebbe trattarsi di omicidio? Quei quattro scarabocchi sono bastati a sollevare un polverone e rafforzeranno l'accusa, se si trovassero altre prove.»
«Cosa che non accadrà» ribatté Ives. «Non ci sono altre prove. Non c'è stato nessun omicidio. Percy ha mangiato un cibo avariato, o forse era malato da tempo e non lo sapeva. Questa è la nostra versione dei fatti, signori. I magistrati stanno solo perdendo tempo e il medico legale ha fatto tanto rumore per nulla.»
Lance, ancora scuro in volto, si lasciò cadere su una poltrona e assunse una posa languida che esprimeva arroganza e noia di vivere. Gareth ebbe l'impressione che fosse più magro del solito e forse un po' emaciato. Non sapeva se le sue condizioni fossero legate agli ultimi avvenimenti o se fossero conseguenza del lungo periodo di eccessi che aveva preceduto la morte del duca. Nessuno dei tre aveva la reputazione di un santo, ma a Lance non importava niente della discrezione o delle convenzioni sociali.
Per qualche minuto Lance parve chiudersi in se stesso, poi tornò a concentrarsi su Gareth. «Forse dovresti fare tu l'elogio funebre, Mordred. Sei stato il primo a capire che razza d'uomo fosse.»
«Non essere perverso» lo rimproverò Ives. «E spero proprio che non comincerai anche tu a usare quel nomignolo per Gareth.»
«Se volete lo farò» accettò Gareth. «Per quanto riguarda il nomignolo, Ives, Lance mi sta solo ricordando quanto potrebbe essere eloquente il mio elogio funebre se avessi carta bianca.»
Mordred era il soprannome con cui Percy lo aveva sempre chiamato. Risentito per il fatto che il padre aveva dato al figlio bastardo il nome di uno dei cavalieri di Re Artù, proprio come ai figli legittimi, Percy aveva deciso di affibbiargliene uno più appropriato e aveva scelto quello del cavaliere traditore. Era stata la duchessa a scegliere i nomi dei cavalieri per i suoi figli e l'estensione di quella tradizione al figlio illegittimo era stata un'offesa che Percy non aveva mai superato.
«Sto scherzando, naturalmente. Se vuoi, puoi portare la bara con noi, ma se preferisci rifiutare ti capisco.»
«Se non vi dispiace, assisterò a questo funerale come ho fatto con quello di mio padre, da lontano.»
Lance vuotò il bicchiere in un sorso. «Diavolo, no che non mi dispiace. Credo che uscirò a cavallo. Aspettare che accada qualcosa senza fare niente mi sta uccidendo. Vi avrei proposto di andare in un bordello, ma il nostro Ives sostiene che dobbiamo fingere di essere troppo addolorati per il piacere fisico.»
Uscì dalla biblioteca a grandi passi. Ives lo guardò allontanarsi, poi si voltò e andò verso la portafinestra che si affacciava sul giardino.
«Vieni con me, Gareth. Devo parlarti di un'altra questione.»
«Lui si fa beffe dei rischi che corre, ma non è sciocco. È improbabile che venga formalmente accusato perché ora è un duca, ma queste ombre potrebbero perseguitarlo a vita» disse Ives, avvolto dal fumo del sigaro. Dato che fumava solo quanto era nervoso, Gareth capì che era preoccupato per l'esito di quella vicenda.
«La sua reputazione non lo aiuta di certo.» Da ragazzo Lance era stato un vero scavezzacollo. Essere il secondo in linea di successione lo aveva reso più rabbioso e sconsiderato di Ives, e perfino di Gareth. In lui viveva un lato oscuro di cui Gareth ignorava l'origine, ma non era un criminale. L'idea che avesse avvelenato qualcuno, tanto più suo fratello, era inconcepibile.
«La cosa peggiore è che ha sedotto la moglie di uno dei magistrati» gli rivelò Ives. «Il marito tradito lo sa e, duca o no, non si lascerà sfuggire quest'occasione per vendicarsi.»
Gareth non poté fare a meno di ridere. «Se dovessi mai essere tentato, ricordami di non sedurre la moglie di un uomo che potrebbe mettermi nei guai con la legge.»
«Tu non mi ascolteresti più di quanto non lo faccia Lance. Devo restare qui per fare l'avvocato di un cliente incorreggibile. Non voglio che peggiori le cose dicendo o facendo qualcosa di sospetto dopo aver alzato il gomito e voglio sapere sempre cosa pensano quelli che cercano di metterlo nei guai.»
«Saggia decisione.»
«Saggia, ma intempestiva. Dovevo andare a nord per certe indagini, tuttavia non posso più partire. Mi chiedevo se tu fossi disposto a sostituirmi.»
Gareth esitò qualche istante. Ives spesso lavorava come procuratore della Corona in casi di reati gravi. Le indagini che doveva svolgere al nord forse lo avrebbero costretto ad affrontare uomini pericolosi. Sebbene Gareth fosse avvezzo a quel genere di situazione, non amava cercare guai, figurarsi poi se era per una terza parte sconosciuta.
E poi aveva anche lui una missione da compiere.
«Vorrei restare qui qualche giorno dopo la seconda sepoltura per parlare con Lance.»
«Vuoi sistemare la questione di quella proprietà, vero? Mi sembra giusto. Se mi fai questo favore, ne parlerò a Lance e lo convincerò ad abbandonare la causa. Ci vorranno pochi minuti, ne sono certo.»
Ives aveva provato a fare lo stesso con Percy, ma senza successo. Gareth lo considerava un ottimo avvocato, ma il senso di possesso riusciva sempre a tirare fuori il peggio dagli uomini.
«Inoltre» continuò Ives, «queste indagini riguardano proprio la zona in cui si trova quella residenza. Convincerò Lance a concederti l'uso della casa mentre sarai là, così potrai cominciare a sistemarla.»
La proposta di Ives cominciò a interessargli. «Di cosa si tratta?»
«Una collezione d'arte scomparsa.»
Ora l'interesse era più vivo che mai. «Chi è il proprietario?»
«Non apparteneva a una sola persona, ma era formata da opere di diversi proprietari.»
«Chi sono questi proprietari?»
«Oh, nessuno di importante, giusto metà della Camera dei Lord.»
«Accadde tutto durante la guerra, intorno al 1800» gli spiegò Ives. Nel frattempo si erano seduti all'ombra di un albero. «Eravamo ragazzini, ma ricorderai anche tu quel periodo. Napoleone aveva già la fama di ladro di cultura. Trafugava le opere d'arte migliori e le mandava in Francia, così molti aristocratici cominciarono a preoccuparsi per le opere conservate nelle loro residenze. Le mogli e le figlie potevano anche subire il peggio, ma che diamine, i loro dipinti non sarebbero finiti in un palazzo francese.»
«Tu ci scherzi su, ma i francesi rubarono molte opere d'arte.»
«Come tutti gli eserciti della storia. Tuttavia, la metodicità dei furti di Napoleone risultava inaccettabile per questi lord. Napoleone portava con sé degli esperti che sapevano bene cosa volevano. Si diffuse la convinzione che Bonaparte conoscesse l'ubicazione delle opere che voleva rubare e si diceva che avesse addirittura stilato un elenco. In pratica, ogni collezione privata fra la costa e Londra era considerata a rischio. Così escogitarono un piano per ostacolarlo.»
«Spostare le opere» suggerì Gareth.
Ives annuì. «Il meglio del meglio venne impacchettato e spedito al nord, nell'Inghilterra centrale, in attesa che la guerra finisse. Solo che, quando questo accadde e arrivò il momento di riportare le opere al loro posto, la collezione era scomparsa.»
«È stata rubata?»
«Ancora nessuno ha parlato di furto.»
«Dov'era nascosta?»
«È qui che le cose si complicano. Il deposito era una proprietà appartenente al Duca di Devonshire.»
«Dire che si complicano è poco. Non mi stupisce che non circolino voci in proposito. Alludere a un furto equivarrebbe a offendere un uomo molto potente.»
«C'è stata solo qualche critica sui suoi sistemi di sorveglianza, ma niente di più. Nessuno ha osato insinuare che lui o l'attuale duca abbiano deviato le opere verso la collezione privata della famiglia.»
«Possiedono una delle collezioni migliori del regno. Non hanno bisogno di quelle degli altri.»
«Eppure quei dipinti sono scomparsi. Il governo ha chiesto ai lord di portare pazienza dato che il Principe Reggente fu uno degli ideatori del piano, ma il malumore sta aumentando. Così mi hanno incaricato di scoprire il possibile su questa vicenda.»
Scoprire il possibile poteva significare qualunque cosa con Ives.
«Hai intenzione di interrogare Devonshire?» gli chiese Gareth.
«Credi forse che sia pazzo? Comunque presenzierà alla sepoltura.»
«Non credevo che Percy fosse in buoni rapporti con Devonshire.»
«Infatti non lo era. L'ultimo duca una volta lo ha definito un infame miserabile. Nella migliore delle ipotesi, è una questione di rango. Quando muore un duca, gli altri duchi vanno al suo funerale. Nella peggiore, l'attuale Duca di Devonshire vuole infilare un paletto nel cuore di Percy.»
«Magari Lance potrebbe sollevare l'argomento al posto tuo. A proposito, Devvie, che fine avranno fatto tutte le opere che tuo padre ha chiuso nella vostra soffitta? Se glielo chiedessi, lo farebbe di sicuro.»
«Il mio timore è che lo faccia anche se non glielo chiedo. Non ricordargli questa faccenda, per favore. Naturalmente lui è al corrente di tutto, come gli altri aristocratici. Chi ha perso delle opere non ne ha certo fatto mistero con gli altri Pari del Regno. Dato che noi non abbiamo subito alcun furto, è improbabile che nostro fratello ci pensi se nessuno glielo ricorda.»
«Cosa dirai a Lance per giustificare la mia partenza?»
«In realtà non pensavo ci fosse bisogno di giustificarla. Nessuno ti ha mai chiesto di rendere conto dei tuoi spostamenti.»
In altre parole, al nuovo Duca di Aylesbury non importava un bel niente di sapere perché Gareth se ne andava.
«Se mi garantisci che Lance mi lascerà utilizzare la dimora, accetto.»
Ives si alzò. «Prometto che risolverò definitivamente la questione della tua eredità quando le indagini saranno concluse. Lance converrà con me che, fino ad allora, è giusto che tu la usi come se fosse già tua.»
Quella rassicurazione era l'unica cosa di cui Gareth aveva bisogno. Lance era testardo, forse perfino capriccioso, ma non ingiusto. Presto lui avrebbe ottenuto la proprietà di quel rudere e avrebbe iniziato a rimetterlo in sesto. Seguì Ives dentro casa, cominciando già a fare progetti.