6

«Vedo che hai ricevuto la mia lettera» disse Ives mentre Gareth entrava nella biblioteca di Langley House, a Londra.

«Il valletto che ho assunto ad Albany Lodge ha avuto l'accortezza di recapitarmela subito. Che cosa ci fai qui?» La lettera era arrivata quella mattina, proprio quando Gareth stava per lasciare la città. I dipinti del conte erano giunti a destinazione e la vendita era stata completata. Il pagamento per Hendrika era già in viaggio verso Amsterdam e Gareth aveva riscosso la sua commissione.

L'unico motivo per cui il ritorno a Langdon's End non lo entusiasmava era Eva Russell. La loro piacevole amicizia si era complicata in un attimo durante la visita che le aveva fatto.

L'aveva quasi baciata. Non poteva negarlo, per quanto gli sembrasse assurdo. Eva Russell non era il suo tipo di donna. Nubile, giovane, figlia di un aristocratico di campagna... l'opposto delle signore che frequentava di solito. Inoltre, lui non si comportava mai in maniera istintiva con le donne. Eppure, in quel giardino, la situazione gli era sfuggita di mano e l'eccitazione aveva quasi avuto la meglio sul buonsenso.

Aveva cercato di metterla in guardia mentre dentro di lui impazzava una battaglia fra istinto e ragione, tuttavia non era servito a niente. Ancora non si spiegava come avesse fatto ad andarsene di fronte al volto trepidante della bella Eva. Probabilmente lo aveva salvato solo l'incredulità per gli impulsi insoliti che si agitavano in lui.

Ives appoggiò il libro che stava leggendo. «Lance è voluto venire qui a tutti i costi. Stava impazzendo. Ho dovuto accompagnarlo per tenerlo d'occhio.»

«Qualche novità sulle indagini?»

Ives scosse la testa. «Nessuna, ma non hanno intenzione di arrendersi. I magistrati sono venuti a parlare con Lance. Non hanno osato accusarlo, ma gli hanno rivolto delle domande molto precise.»

«E lui cosa ha risposto?»

«Ha illustrato un'infinità di metodi migliori del veleno per uccidere un uomo. Alcuni erano piuttosto creativi.»

Gareth scoppiò a ridere.

Ives no. Lanciò un'occhiata incuriosita al fratello e gli chiese: «E così... Albany Lodge, eh?».

«Dovevo pur chiamarla in qualche modo.»

«Vorrei che Percy fosse vivo solo per vedere la sua faccia nel sentire questo nome.»

«Quando la proprietà passerà definitivamente nelle mie mani, andrò sulla sua tomba e gli racconterò tutto.»

«Questo gli impedirà di riposare in pace per un bel pezzo.»

Gareth fece il giro della biblioteca. «Sono anni che non entro in questa casa. Non è cambiata molto, per fortuna.»

«Spero che i tuoi ricordi legati a questo posto siano belli» commentò Ives.

«Migliori di quelli legati ad Albany Lodge. Percy li ha rovinati tutti di proposito, mentre il tempo che ho passato in questa stanza con il duca non aveva niente a che fare con Percy né con nessun altro.»

Continuò a spostarsi per la stanza, colpito dalla sensazione di familiarità che provava. Un duca, per natura e per dovere, non è incline a manifestare i propri sentimenti, ma c'erano stati dei momenti in cui si era sentito un figlio in quella stanza.

Leggi per me, voglio sentirti per assicurarmi che a scuola non ti trascurino. Un gentiluomo si riconosce dall'intelletto e dall'istruzione, Gareth, non solo dal sangue. I tuoi compagni di scuola ti trattano male perché sei un figlio illegittimo, ma ricordati perché ti trovi lì e chi è tuo padre.

«Puoi stare qui quando vieni in città» gli disse Ives. «Me l'ha detto Lance. E lo stesso vale per Merrywood, quando ti trovi da quelle parti. Lance ha ordinato alla servitù di darti libero accesso alle nostre proprietà, in quanto figlio del duca.»

Gareth continuò a camminare e a osservare i dettagli, più che altro per nascondere la reazione alla sorprendente offerta dei fratelli. Con quel piccolo gesto di generosità, Lance aveva cancellato una vita di rifiuti che lo avevano fatto sentire un estraneo in ogni luogo. Gareth lo trovò commovente, tanto che dovette prendersi qualche istante prima di parlare.

«Hai fatto qualche progresso nelle indagini?» gli chiese Ives.

«Sì, probabilmente ho individuato il percorso che hanno seguito le carrozze con i dipinti. Ho battuto proprio quella strada per venire in città e ho preso nota delle proprietà incontrate lungo il tragitto.»

«Già che ero qui, ho colto l'occasione per raccogliere qualche informazione utile, come i nomi dei domestici e dei vetturini coinvolti. Ho anche qualche lettera di presentazione per le famiglie che vivono nei pressi del deposito dei dipinti. Sono sicuro che troverai una buona scusa per far visita a quelle persone.»

«Le lettere mi saranno utili.» Proprio non sapeva con che scusa far visita a quella gente. Ives a volte dimenticava che, a differenza di lui e Lance, non poteva presentarsi alla porta di qualunque aristocratico e aspettarsi di essere ricevuto senza problemi. «Hai un elenco dei dipinti scomparsi? È fondamentale per riconoscere le opere, nel caso trovassi qualcosa.»

«Lo avrò tra una settimana al massimo. Dove te lo spedisco? Qui... o ad Albany Lodge?»

«Dovrei essere ad Albany Lodge per allora. In realtà, ho intenzione di partire proprio domani mattina, quindi ora devo salutarti.»

«Preferirei che non andassi» obiettò Ives timidamente. «Nostro fratello vuole uscire stasera e io non posso impedirglielo, ma mi piacerebbe avere qualcuno che mi aiuti a sorvegliarlo, se non ti dispiace.»

In quel momento Gareth si sarebbe preso anche una pallottola al posto di Lance, se glielo avessero chiesto. Modificò subito i propri programmi per restare una notte in più. «Non c'è problema, le serate in città con Lance non sono mai noiose.»

«Be', mi spiace deluderti, ma il nostro compito è proprio rendere la serata il più noiosa possibile.»

Una serata noiosa per Lance era giocare d'azzardo nelle bische frequentate dai gentiluomini, anziché nelle sale da gioco dei democratici che solitamente prediligeva. Quando arrivò il momento di decidere dove andare, Ives fu irremovibile perché nei posti preferiti di Lance si verificavano sempre almeno un paio di scazzottate fra i presenti e il fratello non resisteva alla tentazione di unirsi alla zuffa.

A mezzanotte, Ives e Gareth si ritrovarono a osservare il nuovo duca che puntava cifre sempre più alte al gioco del Faraone. Anche i clienti che avevano già perso troppo se ne stavano a guardare. Intorno al tavolo si era raccolta una folla numerosa.

«Si sta comportando da incosciente» bofonchiò Ives.

«Se lo può permettere adesso.»

«Nessuno se lo può permettere, a meno che non vinca quasi sempre» borbottò Ives.

A quel giro, Lance vinse davvero. Non pareva notare il brusio che si era creato intorno. Gareth, invece, sentì chiaramente un commento alle sue spalle: «Sembra molto tranquillo per essere uno che ha appena ucciso un uomo. Proprio come i nobili francesi quando andavano alla ghigliottina. La classe non è acqua, eh?».

Quella battuta provocò qualche risata intorno.

Gareth lanciò un'occhiata a Ives e capì che aveva sentito anche lui perché il suo volto si era scurito. Abbassò lo sguardo e notò che il fratello aveva stretto i pugni.

Era quello il problema con Ives. Parlava e pensava da avvocato e sembrava sempre attento ed equilibrato, ma quando si arrabbiava era il primo ad alzare le mani.

«Hanno bevuto troppo, ignorali» gli disse Gareth.

«Non posso permettere che circolino certe voci. Ancora una parola e...»

«Veleno, dicono» ricominciò la stessa voce alle loro spalle. «L'arma delle donne. Ho sempre detto che quell'uomo è tutto fumo e niente arrosto.»

Ives si girò immediatamente e si fece strada verso quella voce.

Gareth lo seguì e si ritrovò faccia a faccia con Lord Kniveton. Conosceva bene il visconte, anche se non glielo avevano mai presentato ufficialmente.

«Ancora una parola su mio fratello e dovrete risponderne a me» annunciò Ives.

Kniveton trovò la cosa molto divertente. «E che farete? Mi schiaffeggerete con un fascicolo di documenti legali?»

«Sono più interessato a sfidarvi nel campo dell'onore che in quello della legge.»

Kniveton esitò qualche istante, segno che cominciava a temere di aver imboccato una strada pericolosa, poi sogghignò. «Sarebbe un peccato uccidere voi quando è vostro fratello che vorrei morto.»

Ives si mosse così in fretta che Gareth rischiò di non riuscire a fermarlo. Afferrò il braccio del fratello con forza per impedirgli di mollare un pugno all'altro. «Non raccogliere le sue provocazioni, Ives. Kniveton è arrabbiato perché pensa che Lance sia andato a letto con sua moglie. È solo un codardo che cerca vendetta, tutto qui.»

«E voi chi diavolo siete?» gridò Kniveton.

«Sono il figlio bastardo.»

«Ah, sì, ho sentito parlare di voi. Be', bastardo, io non penso che sia andato a letto con mia moglie, lo so per certo e sarò il primo a votare la sua condanna quando verrà giudicato dai lord.»

«Il vostro desiderio di macchiare il suo nome e fargli del male è sbagliato. Mio fratello non ha sedotto vostra moglie.»

«Invece sì.»

«Vi sbagliate.»

«No che non mi sbaglio, per la miseria. Ho trovato una lettera di mia moglie per lui. Lo chiamava Hemingford.»

«Non è lui» intervenne Ives, che nel frattempo si era ricomposto e aveva ricominciato a esaminare i fatti con la logica dell'avvocato. Gareth lo preferiva quando era arrabbiato, ma non parlava. «Le sue amanti non lo chiamano mai Hemingford.»

«Se non lui, chi allora? Non può essere Percival» rispose Kniveton.

«Percy era troppo avaro per lasciarsi coinvolgere da una donna con la reputazione di vostra moglie. Tutti sanno che esige regali costosi.»

«Reputazione... Ma che...? Allora può essere solo...» Lanciò un'occhiata torva a Ives.

«Mi spiace, ma non sono io. Voglio che le mie amanti mi chiamino in un altro modo. Hemingford è troppo impersonale.»

Gareth lo guardò con aria perplessa. «Non ti facevo il tipo da vezzeggiativi e nomignoli.»

«Infatti non li sopporto. Preferisco che le donne mi chiamino mio signore o padrone

«E se non era uno di loro due, chi diavolo era? Non ci sono altri Hemingford, perciò uno di voi ha mentito.»

Tra di loro calò il silenzio e Gareth provò ad apparire dubbioso come gli altri.

Ives gli lanciò una lunga occhiata inquisitoria.

Kniveton osservò attentamente Lance, che stava vincendo di nuovo, poi Ives. Infine il suo sguardo si spostò su Gareth e gli ingranaggi del suo cervello confuso cominciarono a girare.

«Voi.»

«Non posso permettere che insultiate i miei fratelli a tal punto da arrivare a un duello, perciò sì, lo ammetto. Quella lettera era per me. Sono io l'uomo con cui fa ancora delle cose oscene nei suoi sogni.»

«Sciocchezze! Voi non siete un Hemingford.»

«Non ufficialmente, ma a lei piaceva chiamarmi così. Forse trovava più eccitante immaginare che stesse prendendo in bocca il figlio legittimo di un duca.»

Kniveton rimase immobile per tre secondi netti, come se non potesse credere a ciò che aveva appena sentito. I suoi due amici trattennero a stento un sorriso.

«Come osate? Lei non farebbe mai... Dovrei sfidarvi a duello!»

«Se lo ritenete necessario, fatelo pure, ma mi sembra sciocco uccidervi per un'avventura di così tanto tempo fa, per quanto il ricordo sia piacevole.»

Kniveton si scagliò contro di lui, ma Gareth si scostò e l'altro colpì in faccia un uomo che stava osservando la scena.

Ives afferrò Kniveton, lo trattenne e chiamò i suoi amici con un cenno. «Non è in sé e domani vi sarà grato per averlo portato via. È meglio per lui se evita questo duello. Sarà anche un figlio bastardo, ma Gareth saprebbe staccare un bottone con un colpo di pistola senza danneggiare la stoffa su cui era cucito.»

I due uomini bloccarono Kniveton e lo trascinarono via.

Ives si fece scuro in volto, ma nei suoi occhi c'era una luce divertita. «Dovevi proprio descrivere il talento migliore della signora?»

«Se fosse mia moglie, io vorrei saperlo per prendermi la mia parte.»

La folla si disperse e Lance li raggiunse. «Cosa voleva Kniveton?»

«Voleva farti impiccare» rispose Ives.

«Non posso biasimarlo. Sono stato con sua moglie. Alla signora piace su...»

«Sì, lo sappiamo già» lo interruppe Ives.

Lance tornò al tavolo da gioco.

Ives guardò Gareth. «Accidenti, tutti questi discorsi sulle inclinazioni della signora mi hanno eccitato da morire. Hai mentito per prenderti le colpe di Lance o io sono davvero l'unico fratello che non si è preso la sua parte, per dirla con parole tue?»

Gareth scrollò le spalle e raggiunse Lance.

Eva diede il cesto con i suoi acquisti al lacchè, che lo mise da parte, poi seguì l'uomo in una bella sala, arredata con due stili completamente diversi, come le due donne che vivevano in quell'elegante dimora. Le tonalità accese si alternavano ai colori pastello e stoffe con il disegno cachemire erano accostate a tessuti floreali. Alle pareti erano appesi dei bei paesaggi e delle bizzarre immagini che ricordavano le illustrazioni di William Blake.

Le sorelle Neville la attendevano nelle loro rispettive postazioni. Ophelia era seduta su una poltrona rosa antico, vicino alla finestra. La luce rendeva i suoi capelli biondi una sorta di alone etereo e la faceva assomigliare a un soffione in attesa di essere disperso da una folata di vento. Jasmine era seduta sul divano e i suoi lunghi ricci seguivano le curve del corpo, coperto da una veste di seta morbida.

Il giorno prima le avevano mandato una lettera in cui le chiedevano di passare a trovarle. Non era mai successo prima. Eva era certa che volessero parlare di ciò che era accaduto fuori dal negozio di Mr. Duran, ma stavolta in privato.

La cameriera servì il tè. Eva lo sorseggiò lentamente, godendosi quel lusso raro. Non beveva mai il tè. Quello buono era troppo costoso e quello economico era terribile.

«Siamo così felici che siate venuta» esordì Ophelia. «Volevamo passare noi a farvi visita, ma vostra sorella ci ha detto che preferite non ricevere ospiti.»

«Come se ci importasse qualcosa di quante sedie avete» intervenne Jasmine. «Così è la vita. Non c'è niente di cui vergognarsi nell'essere poveri, specie nel vostro caso, dato che la colpa di certe difficoltà non è quasi mai delle donne.»

«Siete molto comprensive» mormorò Eva. «Tuttavia, Rebecca trova imbarazzante costringere gli ospiti a stare in piedi per tutto il tempo.»

«Questo è vero, Jasmine, devi ammetterlo.»

L'altra annuì con riluttanza.

«Il motivo per cui volevamo farvi visita è che desideriamo conoscervi meglio» continuò Ophelia. «Spesso diciamo a Rebecca che ci piacerebbe ricevere anche voi. Naturalmente non potevate farci visita durante la malattia di vostro fratello, ma dopo la sua morte...»

«Dovreste uscire di più, e non soltanto per fare compere» intervenne Jasmine. «Non frequentate i salotti, non passeggiate mai intorno al lago... Mentre assistevate vostro fratello, avete preso delle abitudini che ora dovreste abbandonare, cara, dato che l'anno di lutto è terminato.»

«Non credo che Miss Russell abbia bisogno dei tuoi consigli, sorella mia» obiettò Ophelia, alzando gli occhi al cielo in modo che solo Eva potesse vederla. «Anche se di certo capirà che le tue intenzioni sono buone.»

Eva si limitò a sorridere.

«Volevamo parlarvi anche di un'altra faccenda» disse Ophelia.

«Dato che siete stata tanto schietta l'altro giorno, per strada, non ve ne avrete a male se faremo altrettanto» precisò Jasmine.

«Non posso certo offendermi, come avete appena osservato. Vi prego, dite pure.»

«Spero vi rendiate conto che parliamo e agiamo da amiche» aggiunse Ophelia.

«Ma certo, so che avete le migliori intenzioni, come avete detto prima.»

Jasmine raddrizzò la schiena. La veste esotica la faceva assomigliare a un oracolo. «Abbiamo degli amici a Londra. Amici di vecchia data e molto fidati. Li abbiamo contattati per scoprire il possibile su di lui.»

«Lui chi?»

«Mr. Fitzallen. Gareth Fitzallen» le spiegò Ophelia. «Sapevate che è il figlio illegittimo del Duca di Aylesbury? Il terzo duca, naturalmente.»

«Sua madre era la figlia del maggiordomo ed è stata l'amante del duca per anni, anzi, per decenni, fino all'ultimo giorno di Lord Aylesbury» disse Jasmine.

«Accordi simili non sono inusuali negli ambienti aristocratici» commentò Eva, per far capire loro che non era tanto provinciale da restare sconvolta di fronte a una notizia simile. «Converrete con me che nessuno è responsabile di come viene al mondo.»

Jasmine lanciò un'occhiata eloquente a Ophelia, che aveva un'aria mortificata.

«Te l'ho detto, mia cara. Guarda come lo difende!» esclamò Jasmine.

«Solo perché faccio del mio meglio per essere una persona di buon cuore» replicò Eva.

Jasmine le rivolse uno sguardo scettico. «Vostra sorella ci ha detto che è venuto a farvi visita e vi ha portato un regalo. Erasmus dice che ha fatto domande sulla malattia di vostro fratello e su altre questioni riguardanti la vostra famiglia.»

«Altre questioni» le fece eco Ophelia.

«Così abbiamo scritto ai nostri amici per sapere di più sul suo conto.»

«E avete scoperto che è un figlio illegittimo. Lo sapevo già, me lo ha detto lui stesso. Credo che non sia un buon motivo per giudicarlo male, ma forse la penso così perché ho il cuore troppo tenero.»

Jasmine sollevò le mani con aria rassegnata. «Diglielo, Ophelia. Forse capirà meglio, se lo sente dalle tue labbra.»

«Dirmi cosa?»

Ophelia sembrava angosciata. «Non sono le sue origini che ci preoccupano, ma il suo carattere. Abbiamo scoperto che non è dei migliori. Ha una certa fama di cui ci sembra giusto mettervi al corrente, per evitare che... per impedirgli di...»

«Sedurvi e abbandonarvi» conclude Jasmine. «Per impedire che vi menta, si approfitti di voi e copra di vergogna la vostra famiglia.»

La sua voce risuonò con forza in tutta la stanza. Eva si guardò intorno per assicurarsi che le finestre fossero chiuse.

«Si dice che sia un uomo molto pericoloso» aggiunse Ophelia. «Un maestro nell'arte della seduzione. Prende di mira mogli, vedove, donne mature come voi...»

«Soprattutto le donne sposate» specificò Jasmine. «Ma i nostri amici ci hanno detto che qualsiasi donna sopra i ventitré anni è una potenziale preda per lui. Qualcuno sospetta perfino che abbia deflorato delle giovani illibate.» Abbassò la voce, come se le stesse confessando un segreto. «Dicono che utilizzi delle tecniche esotiche per abbindolare le donne; le confonde a tal punto che non possono più fare a meno di lui. Alcune delle signore dell'alta aristocrazia – nomi che conoscete anche voi – hanno fatto di tutto per tenerlo più vicino di quanto si convenga. Appena laureato, Mr. Fitzallen ebbe una lunga avventura con una signora rinomata per i suoi eccessi romantici, come lui. Tutti sapevano della loro relazione. Lei lo vezzeggiava come un cagnolino e lo ricopriva di regali costosi.»

«Forse quella donna lo ha rovinato» suggerì Ophelia. «In tal caso, non sarebbe colpa sua se è diventato così. Non del tutto, almeno.»

«Oh, sorella... Sempre pronta a giustificare la cattiveria. Non ti fa molto onore.»

«Non è vero, sei tu che vedi sempre il peggio in ogni cosa. Io no, tutto qui.»

Eva si schiarì la gola per attirare la loro attenzione prima che cominciassero a battibeccare. «Vi sono grata per avermi riferito queste informazioni, ma vi assicuro che Mr. Fitzallen non ha alcun interesse per me in questo senso. Non sono certo il tipo di donna che attira l'attenzione di un uomo del genere. Converrete con me che, se mai utilizzerà le sue doti di seduttore con una signora di Langdon's End, quella non sarò io.»

Le sorelle la fissarono con un'espressione insolita, poi si scambiarono uno sguardo.

«È ovvio che non siamo preoccupate per voi» disse Jasmine.

«È per Rebecca che temiamo il peggio.»

Ma certo, erano preoccupate per la bella Rebecca! È me che ha quasi baciato. È a me che ha fatto un regalo. Sono io che rischio di essere sedotta e abbandonata. Arrivò quasi a pronunciare quelle parole, a gridarle, ma sapeva che le due stravaganti sorelle avevano ragione. Lei non correva alcun rischio.

Riflettendo sull'accaduto, era giunta alla conclusione di essersi sbagliata: lui non era stato affatto tentato di baciarla quel giorno. E ora, dopo quello che le due sorelle le avevano rivelato, era chiaro che Gareth non era il tipo da esitare con una donna, anzi, tutto il contrario.

«Siete gentili a preoccuparvi per mia sorella. Vi ringrazio di cuore. Se può rassicurarvi, sappiate che l'ha a malapena guardata quando è venuto a farmi visita.»

«È una strategia tipica degli uomini come lui. Il punto è capire se Rebecca ha guardato lui» insistette Jasmine.

«Certo che sì. È ovvio che ne sia rimasta colpita. Mr. Fitzallen è molto bello. Tuttavia, quando se ne è andato, le ho chiesto che impressione le aveva fatto. La sua riposta vi farà sorridere: mi ha detto che è bello, ma troppo vecchio.»

«Ma avrà trent'anni al massimo» commentò Ophelia. «Forse anche di meno.»

«Per una ragazza dell'età di Rebecca, un uomo di trent'anni è vecchio. Anch'io la pensavo così a diciotto anni.» Il commento di sua sorella su Gareth le aveva fatto piacere, ma fino a un certo. Se da una parte era contenta che Rebecca non provasse interesse per lui, dall'altra temeva che trovarle marito sarebbe stata un'impresa troppo ardua se continuava a pensare che un uomo di trent'anni fosse vecchio.

Ophelia sembrava essersi tranquillizzata, mentre Jasmine non era del tutto convinta che il problema fosse risolto.

«In ogni caso dovete tenerla d'occhio» affermò. «Chissà che piani ha in mente quell'uomo? Non ha ricchezze perciò, se accadesse il peggio e lui decidesse di fare la cosa giusta per salvare la reputazione di Rebecca – cosa poco probabile, data la fama che lo precede – lei non avrebbe comunque una vita agiata. Oltre a un esiguo vitalizio del duca e quel rudere che ora chiama Albany Lodge, quell'uomo non ha niente e così sarà sempre, dato che è un figlio illegittimo.»

Eva si alzò. «Starò attenta e farò in modo che Rebecca non si lasci incantare, ve lo prometto. Ora devo tornare da lei. Sono stata via molto a lungo oggi.»

Uscì da quella casa senza sapere se si sentiva offesa o divertita da ciò che le avevano detto. Le sorelle Neville non le avevano rivelato niente che non avesse già immaginato sul conto di Gareth. La cosa più interessante era stata il riferimento alle tecniche esotiche. Si chiese in cosa mai potessero consistere e perché rendessero le donne incapaci di resistere.

Mentre tornava a casa, ricordò le commissioni che l'avevano portata in città quel giorno. Mise una mano nel cesto e prese la lettera che era appena arrivata. L'aveva ritirata mentre ne spediva un'altra.

Era la risposta di Sarah. Aprì la busta, sperando di poter dare a Rebecca una bella notizia. Quando lesse la prima frase, fece un piccolo salto di gioia.

La cugina le aveva invitate a trascorrere qualche giorno da lei a Birmingham.

Eva picchiettò il grigio blu della fontana per controllare se la pittura a olio fosse ancora fresca. Se lo avesse impacchettato con cura, forse avrebbe potuto portarlo a Birmingham insieme agli altri dipinti. Tuttavia, doveva dire a Mr. Stevenson di appenderlo immediatamente.

Aveva passato gli ultimi dieci giorni a lavorare per finire il dipinto e l'abito di Rebecca e aveva perfino provato ad abbellire altri indumenti, per quanto possibile. In quel momento, sua sorella stava cucendo delle bordature nuove a una vecchia mantella di fronte alla grande finestra. Speravano così di migliorare l'aspetto datato dei loro vestiti.

Eva sollevò il dipinto che aveva copiato, lo riavvolse nella iuta e se lo appoggiò contro un fianco. «Vado. Dovrei tornare tra un'ora al massimo.»

Rebecca alzò lo sguardo. «Non puoi aspettare che torniamo dal nostro viaggio? Speravo che mi potessi aiutare con questa mantella.»

«In questi giorni lui non c'è, ma al nostro ritorno potrebbe essere di nuovo qui. È meglio che il dipinto stia al suo posto nella soffitta mentre siamo via.»

«Dubito che ne sentirebbe la mancanza se non gli venisse mai restituito. Hai detto che è quasi impossibile trovare quella soffitta e, se anche la scoprisse e si accorgesse che manca qualcosa, non penserebbe mai che sei tu la colpevole, con tutto quello che gli hanno rubato.»

«È un dipinto di un certo valore, Rebecca. Qualche sedia usata come legna per accendere il fuoco non è un dramma, ma un'opera di Gainsborough è un'altra cosa. L'onestà mi impone di restituirla.»

«E allora vai. Se tarderai, comincerò a riscaldare la zuppa.»

Eva uscì di casa e raggiunse la strada principale. Albany Lodge era a quindici minuti scarsi da lì. Raggiunse la strada che collegava le due proprietà e presto superò l'incrocio che conduceva a Langdon's End.

Svoltò la curva e Albany Lodge apparve in lontananza. Non sembrava diversa dal solito. Niente faceva intuire che ora ci viveva qualcuno e che c'erano delle ristrutturazioni in corso.

Gareth aveva detto che sarebbe stato via almeno due settimane. Erasmus e Harold non lavoravano durante l'assenza del padrone. Eva era quasi certa che quel pomeriggio non ci fosse nessuno nei paraggi e che avrebbe completato la sua missione senza difficoltà.

Sul portico della dimora c'era un vasto assortimento di accessori per cavalli, stoviglie, barattoli e ciotole varie. Gli abitanti di Langdon's End avevano avuto la sua stessa idea e avevano approfittato dell'assenza del padrone per restituire altri oggetti presi in prestito negli anni. Forse era successo anche grazie al sermone della domenica precedente, quando il parroco aveva parlato del settimo comandamento, non rubare.

La presenza di Gareth divenne più evidente all'interno della casa. I pochi mobili davano alla sala delle visite un'aria spartana, ma vissuta. Qualcuno aveva perfino pulito il camino. Eva si affacciò in biblioteca e vide che anche lì c'erano dei cambiamenti simili.

Il dipinto cominciava a pesarle molto. Portarlo al piano di sopra fu una vera fatica, ma lei tenne duro e attraversò le stanze della servitù, poi raggiunse una porticina in fondo al corridoio. Durante le prime visite alla dimora, quel passaggio che conduceva alle soffitte le era sfuggito. Quando finalmente lo aveva trovato e si era avventurata di sopra, aveva scoperto qualcosa di straordinario.

Strinse il dipinto a sé e salì le scale anguste fino a raggiungere il sottotetto caldo e polveroso. L'ambiente era poco illuminato perché c'era una sola finestra, oscurata dal tetto spiovente. Non era facile distinguere le sagome appese alle pareti e coperte dai teli in penombra. La prima volta le aveva notate per puro caso.

Appoggiò il dipinto a terra, posizionandolo davanti a una fila di quadri coperti. Sollevò il telo per infilarcelo sotto. Nonostante la penombra, vide bene i colori accesi della prima opera della fila: un vaso di tulipani, dipinti con un tale realismo che le venne voglia di toccarli per sentire la diversa consistenza dei fiori e del vetro. Era un dipinto olandese, probabilmente del XVII secolo. Avrebbe voluto tentare di copiarlo, ma era troppo grande per portarlo a casa.

Appoggiò il dipinto dei tre bambini con la fontana in cima alla pila e lasciò ricadere il telo, poi guardò la parete opposta, dove c'erano tante piccole tele che non avrebbe più potuto prendere in prestito ora che Gareth viveva in quella casa.

L'uomo non aveva ancora trovato il solaio, ma prima o poi sarebbe successo e a quel punto avrebbe riappeso i dipinti alle pareti del pianoterra, da dove probabilmente erano stati tolti dopo l'ultima visita del duca, quando la casa era stata chiusa.

In ogni caso, se anche Gareth non avesse mai trovato la soffitta, lei non poteva certo portarsi via un dipinto sotto il suo naso e poi restituirlo.

Era impossibile, no?

Si avvicinò all'ultima fila di dipinti e sollevò il telo. Aveva deciso di prendere in prestito quel gruppo di opere, ma, dato che non poteva più farlo, non aveva idea di come lei e Rebecca sarebbero andate avanti una volta terminati i soldi delle ultime riproduzioni. Forse non sarebbero riuscite nemmeno a ricostruirsi una vita dignitosa, figurarsi pensare al divertimento di cui aveva parlato con tanta convinzione a Gareth.

Magari lui faceva spesso viaggi di quel genere... Se non lo avesse mai informato dell'esistenza del solaio, forse di tanto in tanto avrebbe potuto portare avanti il suo commercio di copie e guadagnare qualche scellino.

Sollevò la prima opera della fila, un piccolo paesaggio con dei contadini in primo piano e un castello in rovina sullo sfondo. Pensò che quel soggetto sarebbe piaciuto molto ai clienti di Mr. Stevenson.

Coscienza e convenienza cominciarono a farsi la guerra di fronte alla prospettiva di andarsene con un'opera, così come era arrivata. Mentre ragionava su quel conflitto interiore, ebbe l'impressione che qualcosa fosse cambiato in casa.

Restò immobile e tese l'orecchio: niente. Eppure aveva la netta sensazione di non essere più sola.

Forse Erasmus o Harold erano passati di lì. Non c'era ragione di agitarsi. Se l'avessero vista uscire, avrebbe trovato una scusa credibile per giustificarsi. Tuttavia il suo battito accelerò e tutti i suoi sensi si acuirono. Appoggiò il dipinto, raggiunse le scale in punta di piedi e rimase in ascolto. Silenzio.

Provò a convincersi che si fosse solo suggestionata, ma continuava a percepire una presenza, non nelle stanze della servitù, ma al pianoterra. Pur non sentendo rumori, avvertì dei passi.

E se non si trattava di Erasmus o Harold? Se un ladro che conosceva la casa fosse tornato, non sapendo che ora lì ci abitava qualcuno? Se uno degli sconosciuti che si aggiravano in quella zona fosse entrato? Non voleva trovarsi di fronte un uomo del genere.

Però non voleva nemmeno restare bloccata in soffitta.

Restò in ascolto, certa di sbagliarsi, ma allo stesso tempo convinta di avere ragione. Scese le scale senza fare rumore, chiuse la porta e si diresse verso le scale della servitù che conducevano ai piani bassi.

Arrivata al primo piano, si disse che aveva immaginato tutto, però si affrettò a raggiungere la scalinata principale.

Sotto la porta più vicina alle scale vide una luce. Cercò di ricordare la disposizione delle stanze e capì che era una camera da letto, come gran parte degli ambienti di quel piano, ma non le sembrava che fosse la più grande né la più lussuosa. Era stata svuotata completamente anni prima.

Si avvicinò facendo meno rumore possibile e si affacciò all'interno.

La memoria l'aveva tradita. Non era una camera da letto, ma l'ingresso di un grande vestibolo. E, peggio, dentro c'era il padrone di casa.

Completamente nudo.

Gareth le dava le spalle e non indossava niente. C'erano degli abiti appoggiati su una sedia e lui stava aprendo una camicia. Sotto al lavabo scintillavano delle piccole pozze d'acqua.

Eva si irrigidì dalla testa ai piedi. Il suo corpo le chiedeva di andarsene di corsa e fuggire di lì, ma la sua mente si rifiutava di ascoltare. Rimase lì a guardarlo, ipnotizzata da quello spettacolo.

Aveva visto il fratello nudo, anche da adulto, quando si prendeva cura di lui, ma la malattia lo aveva reso magro e debilitato, diversissimo da quello che aveva di fronte in quel momento. Quell'uomo era nel pieno del vigore: spalle larghe, pelle liscia, muscoli forti e un fondoschiena scultoreo. Quella era la parte che più la attraeva, anche se cercava di guardare solo le gambe.

Gareth appoggiò la camicia e fece per prendere i pantaloni, ma la sua mano si arrestò di colpo a pochi palmi dai vestiti. La consapevolezza di non essere solo lo attraversò come un'onda. I suoi lineamenti si fecero severi e la bocca divenne una fessura determinata. Allungò una mano verso la toletta.

Spaventata, Eva si voltò e corse via nella direzione da cui era venuta, verso le scale della servitù, pregando che la porta del giardino non fosse chiusa a chiave.

Dannazione. Gareth riconobbe subito il formicolio che lo attraversava: era un avvertimento. C'era qualcuno in casa e non era lontano da lui.

Allungò una mano verso la toletta, dove aveva lasciato il pugnale quando si era spogliato. Non usciva mai senza pugnale da quando era stato aggredito da un bandito all'università.

Afferrò il coltello e si voltò. Non vide nessuno nel vestibolo o fuori dalla porta, ma era certo che poco prima ci fosse qualcuno lì. Aveva quasi sentito il respiro del ladro.

Si tirò su i pantaloni e uscì dalla stanza con il pugnale in mano. Era deciso a dare una bella lezione a chi si era introdotto nella sua proprietà, specie dal momento che lui era lì. Bastava catturare uno di quei delinquenti e spaventarlo un po' per dissuadere tutti gli altri dal riprovarci.

Sentì dei rumori lievi sul retro di casa. L'intruso stava scendendo le scale della servitù e non era nemmeno troppo silenzioso. Gareth non andò in quella direzione, ma imboccò la scalinata principale, uscì e fece il giro della dimora.

Fuori sentì altri rumori provenire dalle cucine, nel seminterrato. Le finestre erano troppo sporche per sbirciare all'interno, così scese le scale che conducevano alla porta delle cucine e restò in attesa accanto allo stipite. Se era fortunato, il ladro non aveva pensato di prendere un coltello da cucina.

La spranga della porta venne sbloccata con un colpo. Il ladro spinse forte la porta, che però era arrugginita e non voleva sbloccarsi. Al terzo tentativo, finalmente, si spalancò.

Gareth catturò il ladro e lo voltò, sbattendolo contro il muro, ma, ancor prima di vederlo bene in faccia, capì di avere commesso un errore.