Eva si guardò allo specchio. Oltre al suo volto, la superficie rifletté il disordine della stanza. Quasi tutti i suoi abiti erano sparpagliati sul letto, in attesa che lei decidesse quali portare a Birmingham. Negli ultimi due giorni l'agitazione le aveva impedito di dedicarsi a quell'impresa e ora ci avrebbe messo quasi tutta la notte a prepararsi per partire.
Aprì il cassetto della toletta e lanciò un'occhiata alla lettera che c'era dentro. Gliela aveva recapitata Erasmus quella mattina. Prima di leggerla, Eva aveva colto l'occasione per chiedere al ragazzo di tenere d'occhio la loro casa mentre lei e Rebecca erano via. Non c'era niente da rubare all'interno, ma la rassicurava sapere che di tanto in tanto qualcuno sarebbe passato a controllare. Dato che lavorava per Mr. Fitzallen, Erasmus faceva quella strada tutti i giorni. Mr. Fitzallen. Si era costretta a pensare a lui con tutta la formalità possibile da quando era fuggita da casa sua. Era stato un errore acconsentire a usare i nomi di battesimo. Uno dei tanti errori commessi con quell'uomo.
Anche lui era tornato alla consueta formalità nella sua lettera.
Gentile Miss Russell,
ancora una volta starò via qualche giorno per questioni di affari. Al mio ritorno passerò a farvi visita per parlare del nostro ultimo incontro, come si conviene.
Sempre vostro,
Gareth Fitzallen
Sospettava che volesse porgerle le sue scuse, ma quel pensiero le provocava una fitta di delusione. Quell'uomo non l'aveva spogliata solo dell'abito. Aveva portato allo scoperto desideri e bisogni di cui lei non aveva mai sospettato l'esistenza. Sarebbe stato meglio se non fosse successo perché almeno avrebbe potuto continuare a vivere in pace.
Le bastava pensare a quella breve ora con lui per restare sconvolta dalla propria reazione. Eppure, doveva ripetersi in continuazione di smetterla mentre si affaccendava a preparare i bagagli. Se avesse lasciato campo libero ai ricordi, non avrebbe più smesso di fantasticare a occhi aperti su quelle sensazioni meravigliose.
«Cosa stai guardando?» le chiese Rebecca, che era appena comparsa nello specchio, dietro le sue spalle.
«I miei occhi.» Doveva ripensare a tutti i suoi complimenti e guardarsi con attenzione per ricordare che quell'uomo era solo un seduttore bugiardo. Le sue menzogne nascondevano una verità umiliante. Questo sarebbe bastato a impedirle di credergli?
Rebecca le tolse le forcine dai capelli, lasciandoli cadere sulle spalle, poi prese la spazzola. «Sono strani perché cambiano. A volte sono verdi, altre volte azzurri e di tanto in tanto quasi grigi. Credo dipenda dalla luce. E dal tuo umore, naturalmente. Quando ti arrabbi diventano di un verde intenso con delle pagliuzze dorate che sembrano scintille pronte a scoppiare.» Le passò la spazzola tra i capelli. «Vorrei tanto avere gli occhi come i tuoi.»
«Non dire sciocchezze. Non faresti mai a cambio con i miei.»
«Invece sì. I miei sono azzurri come tanti altri, mentre i tuoi diventano limpidi come l'acquamarina, ma la cosa che mi piace di più è il modo in cui cambiano.»
Eva si guardò di nuovo allo specchio. In quel momento, alla luce delle candele, non riusciva a capire di che colore fossero. Vedeva soltanto il riflesso delle fiamme nelle iridi.
«Non hai fatto i bagagli» osservò Rebecca. «Quindi hai ancora posto per il mio regalo.»
«Regalo? Che regalo?»
Rebecca appoggiò la spazzola. «Torno subito.» Pochi istanti dopo rientrò in camera tenendo davanti a sé un vestito splendido.
Era un abito adatto per un ricevimento elegante o una serata a teatro. Era di raso grigio e argento, con la scollatura e le maniche ornate di perline bianche e merletto. La gonna aveva un bellissimo orlo di pizzo.
«Dove lo hai preso?» gridò Eva. «Ti sarà costato una fortuna.»
«Mi è costato solo molto tempo.» Rebecca lo appoggiò sul letto. «Ho preso uno dei vecchi abiti di nostra madre e l'ho modificato, poi ne ho utilizzato un altro per fare la sottogonna e infine ho staccato il pizzo da un altro indumento ancora. Una volta in città dovremo sistemare un po' le misure, ma credo che vada già abbastanza bene così.»
«Le stoffe e i merletti in quel baule erano per il tuo guardaroba, non il mio. Avresti dovuto...»
«Non ho sprecato niente, Eva, ho solo usato qualche rimanenza per te. Se avessimo l'occasione di partecipare a un grande evento, non potresti venire con i tuoi abiti.»
Eva non aveva in programma di partecipare agli eventi mondani. Rebecca sarebbe stata meglio in compagnia della cugina.
Accarezzò l'abito di raso, poi abbracciò la sorella e le diede un bacio. «È un regalo meraviglioso.»
«Sono felice che ti piaccia» ribatté Rebecca con un sorrisetto malizioso. «Quando lo indosserai si gireranno tutti a guardarti. Ti troveremo un pretendente in men che non si dica.»
Eva osservò la sorella che se ne andava, poi tornò ai bagagli, scuotendo la testa. La dolce Rebecca non aveva capito che era lei a dover trovare marito.
Vai a Chatsworth. Ti riceverà Montley, il maestro di casa.
Il biglietto di Ives non diceva altro, ma non ce n'era bisogno. Se aveva ottenuto una simile opportunità, non bisognava farsela sfuggire. Così Gareth aveva cavalcato fino al Derbyshire e aveva raggiunto la residenza principale del Duca di Devonshire.
Arrivò alla tenuta di Chatsworth in tarda mattinata. Non era la prima volta che attraversava terre estese quasi quanto una contea. Ora una delle dimore più famose al mondo lo attendeva oltre il fiume. Si fermò in cima a una collinetta per ammirare l'edificio e i suoi dintorni. Era evidente che l'attuale duca stava apportando molte migliorie alla casa.
Non aveva idea di come l'avrebbero accolto. Probabilmente il maestro di casa non gli avrebbe riservato gli onori di un vero nobile. Di certo era avvezzo a trattare con i figli bastardi, dato che il precedente Duca di Devonshire ne aveva lasciati due.
Al suo arrivo, gli scudieri presero il cavallo e il maggiordomo lesse il suo biglietto da visita. Poco dopo venne condotto in un ufficio dove trovò il maestro di casa, Mr. Montley, seduto dietro a uno scrittoio di inestimabile valore. Poco più in là c'era una scrivania ricoperta di registri contabili.
Dopo i consueti saluti, si accomodarono su due poltrone di fronte a una finestra che dava sul giardino posteriore.
«Innanzitutto ci tengo a precisare che non sono solo il maestro di casa» esordì Montley. «Sono più che altro un segretario particolare. Con tutte le proprietà che possiede, Sua Grazia ha ritenuto opportuno inserire una figura che supervisioni e coordini tutti i maestri di casa.»
«Se sapete qualcosa sui dipinti che sono scomparsi, allora siete la persona che sto cercando.»
Montley aveva quarant'anni al massimo, ma i capelli radi e gli occhiali lo facevano apparire più vecchio. Forse era stato un amico del duca e per questo era più affidabile degli altri maestri di casa. Aveva un'aria colta e beneducata. Forse era il figlio minore di un lord che aveva preferito quella carriera alla vita religiosa o all'esercito.
«So quel poco che c'è da sapere. Purtroppo gli eventi che hanno causato l'erroneo trasferimento dei dipinti sono ancora un mistero.»
«Erroneo trasferimento. Nessuno ne aveva parlato in questi termini prima d'ora.»
«Siamo convinti che durante il passaggio di proprietà di questa tenuta, avvenuto nove anni fa con la morte del precedente duca, la servitù che custodiva i dipinti li impacchettò e li spedì altrove a causa di un malinteso.»
In altre parole, Montley stava dicendo che non era colpa loro.
«Vi spiace dirmi come siete giunto a questa conclusione?» gli chiese Gareth con il tono più affabile che riuscì a trovare. Irritare Montley non sarebbe servito a niente.
«È la spiegazione più logica. Inoltre, l'incaricato che ha stilato l'inventario ricorda che vennero portati via molti oggetti. Sono state condotte delle ricerche in diverse altre dimore per scoprire dove fossero finiti i dipinti. Negli ultimi anni sono andato personalmente a controllare perché non ha senso mandare un elenco di opere a dei maggiordomi che non saprebbero riconoscere un Raffaello da un Rubens.»
Gareth pensò alle numerose tenute del Devonshire, piene di opere d'arte. Era credibile che ci fossero voluti anni a controllarle tutte. Il duca da solo possedeva otto grandi dimore e molte altre residenze secondarie.
«Le avete visitate tutte? Vi invidio. Probabilmente conoscete le collezioni del duca meglio di lui.»
Montley indicò il tavolo. «Con l'occasione ho compilato un catalogo completo. L'inventario realizzato dopo la morte del duca, anche se voluminoso, contiene ambiguità e omissioni. Nel caso sospettiate che i dipinti scomparsi siano stati inavvertitamente inseriti nelle collezioni personali del duca, vi assicuro che so riconoscere un Raffaello da un Rubens e che, purtroppo, non c'è nessuna di quelle opere nelle dimore degli altri gentiluomini.»
«Avete l'elenco dei dipinti? Mio fratello ha provato a ottenerlo, ma ha incontrato qualche difficoltà.»
«Forse qualcuno teme che l'elenco venga reso pubblico. Sarebbe piuttosto imbarazzante.» Montley gli lanciò un'occhiata eloquente per fargli capire che Devonshire voleva tenere segreto l'elenco.
«Senza l'elenco non posso esservi di aiuto. Dovreste affrontare questo incarico da solo.»
«Forse sarebbe meglio per tutti.»
«Non è ciò che pensa il Principe Reggente, dato che ha affidato le indagini a mio fratello. Ha mandato me perché non può muoversi a causa della morte del mio fratellastro. Se Devonshire non vuole nessun altro oltre voi, che lo dica al Reggente e io tornerò ai miei affari.» Gareth si sporse con aria amichevole. «Nessuno pensa che ci sia stata una negligenza da parte vostra. Tuttavia, dopo ben quattro anni, il mistero non è ancora risolto. Forse, con un altro paio di occhi e metodi meno delicati, riusciremo a scoprire qualcosa.»
Montley si mise a ridere. «Metodi meno delicati? Cosa volete fare, ottenere informazioni dalla servitù a suon di pugni?»
Gareth continuò a guardarlo senza parlare.
Montley corrugò la fronte. «Sono certo che vostro fratello non approverebbe.»
«Non conoscete bene mio fratello, vero?»
Quelle parole lo turbarono. «Oh... capisco.»
«Quei dipinti non se ne sono andati dal deposito da soli.»
«No, certo.»
«Deve pur esserci qualcuno che ha delle informazioni al riguardo e questo qualcuno non è stato sincero con voi. Forse con me lo sarà.»
Montley guardò fuori dalla finestra a lungo e, infine, si alzò.
«Il duca mi ha autorizzato ad accompagnarvi alla dimora in cui erano conservati i dipinti. Non è molto lontano da qui.»
Molte famiglie sarebbero state orgogliose di avere la residenza principale a Dunbar Green, ma per il Duca di Devonshire quella era solo una tenuta come le altre fra le tante che possedeva. Risentiva molto della vicinanza con Chatsworth, che distava solo un'ora a cavallo, ma Gareth era quasi certo che, nel corso dei secoli, Dunbar Green fosse servita da utilissimo rifugio segreto per le amanti.
Meno grande e meno bella di Chatsworth, Dunbar Green mostrava anche qualche segno di incuria.
Montley notò che Gareth stava osservando i cornicioni mentre si avvicinavano.
«I solai hanno bisogno di manutenzione» disse. «Ce ne occuperemo entro breve. Al momento, Sua Grazia è molto preso dai progetti per una nuova ala a Chatsworth.»
Con ogni probabilità, Sua Grazia non metteva piede a Dunbar Green da anni. «Ci vive qualcuno?»
Montley scosse la testa. «Potrebbe perfino venderla. Per quanto incredibile, è libera da qualunque vincolo ereditario. Questo ha permesso a Sua Grazia di modificare gli investimenti della famiglia, trasferendoli dal settore terriero ad ambiti più redditizi. A volte sembra quasi che le leggi sulle eredità siano più uno svantaggio che una garanzia.»
«Sarebbe proprio così se gli eredi fossero sempre persone sagge, ma molti perderebbero tutto al gioco se avessero carta bianca. Almeno, così ho sentito dire.»
«O lo farebbero le mogli al posto loro» commentò Montley con astio. Gareth capì che si riferiva alla prima moglie del precedente Duca di Devonshire, i cui debiti di gioco avrebbero mandato in rovina il marito se non fosse stato uno degli uomini più ricchi d'Inghilterra.
Essendo disabitata, Dunbar Green disponeva di pochissima servitù. L'uomo che prese i loro cappelli era anziano e aveva i capelli bianchi. Doveva essere a servizio dei Devonshire da molti anni. Curvo e miope, sembrava a malapena consapevole della loro presenza mentre si spostava lentamente per la casa.
«Andiamo nel solaio» gli disse Montley, dirigendosi verso le scale. «Di' allo scudiero di dare da bere e da mangiare ai cavalli.»
Il solaio si trovava sopra al piano della servitù. La luce, che entrava da piccoli lucernari, illuminava i soliti oggetti che si accumulano nel tempo in qualunque dimora antica.
Montley fece un gesto ampio con il braccio. «Come potete vedere, gran parte dei mobili è stata spostata da questa parte per fare posto ai dipinti, che si trovavano qui.»
Gareth andò nello spazio libero e lo esaminò con attenzione. Era abbastanza ampio da contenere almeno un centinaio di dipinti incorniciati, se fossero stati impacchettati e appoggiati in tante file contro la parete. Al centro del solaio, dove il soffitto era più alto, c'era spazio anche per tele molto grandi.
«Immagino che rimasero sconvolti quando trovarono questa parte vuota» commentò.
«Peggio ancora. Gli accordi sono stati siglati vent'anni fa, con l'autorizzazione del precedente duca. L'attuale duca, però, non ne era al corrente e l'ha scoperto solo quando ha ricevuto una lettera in cui il Principe Reggente lo informava che alcuni uomini sarebbero venuti a prendere le opere.»
«Tra i dipinti c'erano anche opere del Principe?»
«Il Principe ha una residenza sulla costa, a Brighton, e sembra proprio che tra le altre opere ci fosse anche qualche dipinto proveniente da lì.»
Lasciarono il solaio e uscirono all'aperto.
Gareth osservò le terre intorno alla dimora. «Ci sono delle costruzioni esterne che da qui non posso vedere? La collezione potrebbe essere stata trasferita in un altro edificio di questa proprietà?»
Montley scosse la testa. «Ci sono solo alcuni casolari per la servitù e la casa del parroco, ma sono già stati controllati.» Si avvicinò agli scudieri che stavano riportando indietro i loro destrieri.
«Credo che farò un giro a cavallo» annunciò Gareth.
«Cosa state cercando?»
Non ne aveva idea, ma era certo che Montley non gli poteva più essere di aiuto in alcun modo.
«Be', dopo tornate da me. Vi daremo una stanza per la notte e potrete passare la serata a studiare la collezione, se volete. Tuttavia, temo che non riuscirete a vedere nemmeno un decimo delle opere esposte al pubblico.»
«Bene, farò come dite.»
Montley si allontanò al trotto. Gareth stava per montare a cavallo quando notò il domestico che aveva aperto la porta affacciato alla finestra. Di colpo quell'uomo non sembrava più tanto vecchio e orbo. Gareth lasciò di nuovo il cavallo e tornò dentro casa.
L'uomo aprì la porta e si ritrasse senza fare domande.
«Vorrei parlarvi un momento» disse Gareth.
«Con me, signore?» replicò lui, confuso.
«Sì. Lavorate qui da molto tempo, immagino.»
«Da quindici anni, signore. Quando ero ancora giovane e veloce, stavo a Chiswick House, ma è qui che ci mandano quando cominciamo a invecchiare. L'anno prossimo andrò in pensione.»
Quindici anni. Dunque quell'uomo era arrivato dopo che i dipinti erano stati nascosti nelle soffitte. «A seguito della morte del precedente duca ci furono grandi cambiamenti qui?»
«Cambiamenti?»
«Che so... Spostamenti di beni e oggetti, visitatori che hanno visitato le soffitte o hanno sbirciato sotto le assi del pavimento...»
Lui si mise a ridere. «Gente che voleva arraffare il più possibile prima che venisse redatto l'inventario, insomma.»
«Esattamente.»
«Ricordo che venne una signora e si portò via un cuscino da una delle stanze da letto. Disse che era un ricordo dei bei momenti passati. Forse aveva partecipato a una festa particolarmente divertente in questa casa.»
«Nient'altro? In tutto il tempo della transizione da un duca all'altro?»
Il suo volto assunse un'espressione imperturbabile mentre faceva segno di no con la testa.
«Oh, andiamo. Vi assicuro che non succederà niente se me lo dite. Nessuno si opporrà alla vostra pensione. Devonshire ha bisogno di quest'informazione. Ve lo sto chiedendo a suo nome.»
«Un giorno venne la seconda duchessa con un carro. Mi spiegò che il defunto duca le aveva dato il permesso di prendere tutto ciò che voleva da una qualunque delle sue proprietà. Immagino che la duchessa scelse questa perché sapeva che qui non avrebbe trovato nessuno a ostacolarla.»
«Cosa prese?»
«Sedie e tavoli, credo.»
«Non lo sapete per certo?»
«Il caso ha voluto che la mia presenza fosse richiesta altrove per gran parte del tempo che la duchessa passò qui.»
Uomo molto saggio, quel tipo. Non c'era da sorprendersi che fosse rimasto tanto a lungo al servizio del duca. Non poteva riferire ciò che non aveva visto né rispondere ad alcuna domanda in proposito.
«Ci sono state altre visite del genere in seguito?»
«Abbiamo ospitato per la notte alcune persone della famiglia o appartenenti all'aristocrazia che non volevano arrecare disturbo nella residenza principale. Prima che il duca morisse, ci fu anche un ricevimento. Mr. Clifford portò qui alcuni amici ufficiali della Marina per un fine settimana di caccia.»
Clifford era il figlio bastardo del vecchio Devonshire, avuto dalla donna che, in seguito, era diventata la sua seconda moglie. La stessa duchessa che aveva saccheggiato la dimora dopo la morte del marito. «Per caso anche quella volta la vostra presenza fu richiesta altrove per tutto il tempo?»
«Proprio così, signore. Come facevate a saperlo? La mia vecchia zia non stava bene e, dato che Mr. Clifford si era portato i suoi servitori, mi sono assentato per andare a trovarla.»
«Ci sono state altre occasioni in cui la vostra presenza è stata richiesta altrove?»
«Visti i problemi di salute di mia zia, ogni volta che un visitatore portava i suoi servitori con sé coglievo l'occasione per andare a farle visita.»
Gareth si congedò, montò a cavallo e partì in esplorazione della proprietà, in cerca di chissà cosa.
Non lo entusiasmava affatto l'idea di dover interrogare la vedova e il figlio bastardo del precedente duca. Se avesse scoperto che Ives nutriva già dei sospetti nei loro confronti, ma lo aveva comunque messo in quella posizione delicata, Gareth gli avrebbe dato una bella lezione.