Mr. Mansfield si presentò davvero a casa di Sarah alle due in punto. Eva lo ricevette insieme alla cugina e alla sorella. Definire la successiva mezz'ora imbarazzante sarebbe stato un eufemismo.
L'interesse del gentiluomo per Rebecca era palese. Quando parlava, si rivolgeva quasi esclusivamente a lei, non lasciandole altra scelta che rispondere. Verso la fine della visita, i loro scambi si fecero un po' meno formali e stentati. Rebecca riuscì perfino a ridere di una sua battuta. Purtroppo, però, sua sorella si era preparata a quell'incontro e, proprio quando la tensione cominciava ad allentarsi, si lanciò in una dissertazione sugli scritti di Voltaire e Rousseau riguardanti l'istruzione. Per venti minuti buoni tutti i presenti ascoltarono la sua analisi comparativa filosofica con dei finti sorrisi stampati sul volto.
Quando Sarah si decise a interromperla – «Devi illustrarmi queste teorie complicate a piccole dosi, mia cara, e darmi il tempo di metabolizzare quest'ultimo boccone» – Mr. Mansfield ringraziò Rebecca e le promise di riflettere sulle sue parole. Nonostante la pazienza del gentiluomo, più tardi la giovane disse che la sua lezione era stata solo una perdita di tempo.
Quella sera Sarah propose a Rebecca di restare ancora come loro ospite. La fanciulla accettò subito, ma Eva sospettava che la sorella stesse solo cercando di posticipare il ritorno alla vita noiosa di Langdon's End.
«Lascia fare a me, Eva» le disse Sarah sotto voce quando si salutarono, l'indomani mattina. «Forse non avremo una proposta di matrimonio vera e proprio quando Rebecca tornerà a casa, ma sono sicura che ci saremo molto vicine.»
Rebecca indugiò sulla soglia di casa per guardarla andare via. Eva la salutò dal finestrino. Il suo piccolo baule, il rotolo di tela e le scatole dei colori e dei pennelli viaggiavano ben saldi sul tetto della carrozza.
Aveva noleggiato una diligenza in modo che Sarah potesse usare la sua carrozza per portare Rebecca in città e farla sfilare per le vie. Eva sospettava che la cugina l'avrebbe fatta incontrare con Mr. Mansfield.
A quattro isolati di distanza da casa di Sarah, Eva diede ordine al cocchiere di portarla alla stazione di posta più vicina. Lì fece tirare giù tutti i suoi bagagli e li fece trasferire su un carro trainato dai buoi che era diretto a Langdon's End per una consegna. Lasciò Birmingham così come l'aveva raggiunta, rannicchiata sul retro di un carro, spendendo un quarto di quello che avrebbe dovuto sborsare per il nolo della diligenza.
Era ormai il tramonto quando il carro imboccò la strada di casa. Il carrettiere scaricò in fretta i suoi bagagli, lasciandoli senza tante cerimonie di fronte alla porta. Eva lo pagò e, dopo pochi secondi, l'uomo era già sul carro e si stava allontanando.
Eva aprì la porta e spinse all'interno bagagli e tele. Rimase ferma qualche secondo, in attesa che la vista si adattasse alla penombra della casa.
Di colpo uno strano senso di presagio le fece venire la pelle d'oca. Scrutò l'oscurità e cominciò a salire le scale, percependo la presenza inquietante di una grande ombra. Il sesto gradino non c'era più. Qualcuno lo aveva rimosso, lasciando un'apertura buia e profonda.
Eva guardò la biblioteca, alla sua sinistra, e ciò che vide la lasciò di stucco. Si avvicinò a una lampada e la accese con le mani tremanti.
La luce illuminò la stanza orribilmente devastata. Il divano era capovolto e squarciato in più punti, alle pareti mancavano diversi pannelli e perfino una parte del pavimento era distrutta. Le assi erano state staccate e sparpagliate tutto intorno.
Poi vide i dipinti.
In quella stanza erano appesi due dei suoi paesaggi, ma ora giacevano a terra. Eva corse verso i quadri e li guardò con orrore. Qualcuno aveva preso la trementina dalla sua scatola dei colori e ce l'aveva buttata sopra, rovinandoli per sempre. Come se non bastasse, i colpevoli avevano mescolato una marea di colori su una delle due tele. Forse lo avevano trovato divertente.
Era terrorizzata da ciò che avrebbe visto nelle altre stanze. Lottando contro la paura che la paralizzava, si avventurò oltre.
Nel resto della casa regnava lo stesso caos della biblioteca. Eva pensò subito alla propria camera da letto e al nascondiglio sotto il pavimento dove aveva messo tutto il denaro. Corse in camera per scoprire se, oltre al vandalismo, aveva subito anche un furto.
Appena raggiunte le scale, si fermò, raggelata. Aveva sentito un'asse scricchiolare al piano di sopra. Un'ondata di terrore la attraversò dalla testa ai piedi. Non riusciva neanche a respirare. Restò in ascolto e sentì un altro rumore. Un piccolo tonfo, come di una persona che spostasse il peso da un piede all'altro.
Girò i tacchi e scappò di corsa, allontanandosi il più in fretta possibile lungo la strada principale.
Eva correva così forte che le faceva male un fianco e le mancava il fiato. A un certo punto le cadde il cappello, ma lei non si fermò. Non osava guardare indietro per paura di vedere se qualcuno la stava seguendo, ma le sembrava di sentire una presenza alle sue spalle.
Quando giunse all'incrocio con la strada per Langdon's End, si fermò qualche secondo e cercò di riprendere fiato. Osservò la strada per la città, fiancheggiata dal bosco. Quanto tempo ci avrebbe messo a percorrere quel miglio? Sarebbe riuscita a correre tanto a lungo senza svenire per la fatica?
L'altra strada le sembrava la scelta più sensata. In un minuto avrebbe raggiunto la curva dietro la quale si nascondeva Albany Lodge.
Un cavallo nitrì in lontananza, alle sue spalle, terrorizzandola. Eva non indugiò oltre e, senza pensare, ricominciò a correre.
Quando svoltò la curva ritrovò un po' di coraggio. Vide Albany Lodge, immersa nel chiarore della sera, e le parve che dentro ci fosse una luce accesa. Nessuno l'avrebbe sentita se qualcuno l'avesse avvicinata lì sulla strada, ma quel bagliore la rassicurò e la spinse a correre più veloce, libera dalla paura e dai dubbi.
Non raggiunse il viale di accesso della dimora, ma attraversò i campi, sentendosi sempre più sicura. Finalmente raggiunse la casa e solo allora si fermò, così stanca e affannata che temette di perdere i sensi.
Un cavallo passò lungo la strada ed Eva si nascose dietro un albero. Era il delinquente che la seguiva? Non c'era modo di saperlo. Forse quell'uomo era ancora in casa sua.
Cercò di calmarsi e appoggiò la fronte al tronco dell'albero per non cadere a terra. Mentre recuperava la lucidità, si rese conto che andare lì era stata una pessima decisione. Se Gareth fosse stato solo un amico, non avrebbe esitato a bussare alla sua porta e a rivelargli tutto, ma tra loro c'era stato di più e per questo esitò, timorosa di invadere la sua intimità.
Si disse che bastava trovarsi vicino a Gareth per essere al sicuro. Poteva restare accanto a quell'albero, per quanto spiacevole fosse passare all'addiaccio un'umida notte di primavera. Se fosse rimasta ferma e zitta, però, avrebbe potuto anche sedersi sui gradini di pietra. Si sarebbe risvegliata con le prime luci dell'alba e sarebbe andata a cercare aiuto a Langdon's End.
Si avvicinò in punta di piedi ai gradini e si sedette. Appoggiò la schiena al muro e si strinse la mantella intorno alle spalle. Ora che la paura era passata, il freddo della notte le entrava nelle ossa.
Di colpo vide un fascio di luce e alzò lo sguardo. Gareth era fermo sulla soglia con un candelabro in mano e la camicia rischiarata dal bagliore delle fiamme.
«Chi è là?» chiese lui, poi la luce delle candele si spostò fino a fermarsi su di lei. «Eva! Che diavolo ci fate seduta qui fuori?»
Eva lo fissava senza aprir bocca. Aveva gli occhi sbarrati e il volto pallidissimo. Con le ginocchia raccolte contro il petto, sembrava una ragazzina terrorizzata.
Gareth appoggiò il candelabro su un tavolo e uscì, poi la aiutò ad alzarsi. «Che succede?»
Eva si appoggiò a lui, come se le gambe non la reggessero, e Gareth la abbracciò. Stavolta non era stato lui a provocare i tremori che la scuotevano.
«Ma voi state tremando.» Non faceva freddo quella notte. «Dov'è Rebecca?»
Eva fece un respiro profondo e cercò di ricomporsi. Indietreggiò per liberarsi dal suo abbraccio. «È rimasta a Birmingham. Io sono tornata oggi. Qualcuno è entrato in casa mia mentre ero via. Quando sono entrata ho visto che era tutto a soqquadro e...» Si coprì il volto con le mani. «... ho perso la testa. Completamente.»
Gareth le mise un braccio intorno alle spalle. «Ma è ovvio. Su, entrate.»
Eva si lasciò condurre alla poltrona della biblioteca senza obiettare. Dato che tremava ancora, Gareth accese il fuoco, poi versò un dito di brandy in un bicchiere e glielo porse.
«Non bevo alcolici.»
«Stasera sì. Bevete.»
Gareth le rimase accanto finché non ebbe mandato giù tutto il brandy.
Lei fece una smorfia disgustata, ma riacquistò un po' di colore, poi osservò gli scaffali vuoti della biblioteca, il tavolo e le poche sedie intorno.
«Ho avuto paura che fosse ancora in casa» disse. «Intendo il colpevole dell'intrusione. Mi è parso di sentirlo muoversi al piano di sopra, così sono scappata e...» Indicò se stessa con aria impotente. «Voi siete il più vicino. Credevo che mi stesse seguendo, ma dev'essere stata la mia immaginazione. Non lo so...»
Aveva riacquistato un po' di controllo. Di certo era di nuovo in sé, se si sentiva in dovere di chiedergli scusa per essere piombata lì all'improvviso. Avrebbe preferito stare seduta tutta la notte sulla pietra fredda piuttosto che fargli un'impressione sbagliata.
«Come avete capito che qualcuno si è introdotto in casa vostra? Hanno rubato qualcosa?» Gareth non riusciva proprio a immaginare cosa si potesse rubare in una casa povera come quella di Eva.
«Lui... Loro... hanno distrutto tutto, buttato a terra gli oggetti e versato la trementina sui miei dipinti. Hanno staccato le assi del pavimento e i pannelli dalle pareti. Forse si sono arrabbiati perché non hanno trovato oggetti di valore da rubare. Avranno riso e si saranno divertiti un mondo a fare a pezzi la casa di un altro.»
«Forse erano abituati a entrare e uscire a loro piacimento da casa mia e, vedendo che non potevano più farlo, hanno cercato un'altra dimora da saccheggiare. Dato che in questi giorni era disabitata, hanno scelto la vostra casa.»
«Può darsi» commentò lei, poco convinta. «Questo posto sta cambiando. La città si avvicina sempre più. Vedo spesso degli sconosciuti attraversare le campagne, sulle strade e nei campi, ma ero così sciocca da pensare che la mia vita non sarebbe cambiata. Non credo che mi sentirò mai più al sicuro come prima.»
A quel pensiero si rannicchiò di nuovo con aria angosciata e i suoi occhi si fecero tristi. Se fosse rimasta sola, avrebbe rimuginato sull'intrusione per tutta la notte e prima dell'alba sarebbe arrivata ad aver paura perfino della sua ombra.
«Ora siete al sicuro, Eva. Domani andremo a casa vostra e controlleremo i danni alla luce del giorno. Fino ad allora non pensate più a questa storia.» Lui le porse la mano. «Venite con me. Stavo per preparare la cena. Potete aiutarmi.»
La condusse in cucina, accese qualche lampada e osservò le mensole. Sentì un tepore accanto alla spalla e vide che Eva lo aveva raggiunto e stava studiando i ripiani insieme a lui. Sentirla così vicina gli fece ribollire il sangue nelle vene. Non ora, stupido caprone.
«Il prosciutto sembra buono» disse Eva. «Non ho mangiato niente oggi e lo accetterei volentieri se me ne offriste un po'.»
Gareth prese il prosciutto, il formaggio e il pane più fresco che aveva, poi riempì i bicchieri di birra. «Harold fa in modo che non manchi mai qualche provvista qui.»
Eva mise a tavola piatti e coltelli. «Credo che lui ed Erasmus sperino di lavorare qui a tempo pieno, in futuro. Quando assumerete della servitù, saranno i primi candidati.»
«Questo non succederà finché non verranno risolte alcune questioni legali relative alla proprietà. Li ho già informati di questi problemi, così non rifiuteranno altre occasioni di lavoro a causa mia.»
Lei si sedette e Gareth si accomodò dalla parte opposta del tavolo per non averla troppo vicino.
Eva infilò il coltello nel prosciutto. «Mi sorprende che non abbiate già assunto dei domestici. Credevo foste abituato a essere servito e riverito.»
Quando Gareth aveva deciso di distrarla offrendole del cibo, non credeva che si sarebbe ritrovato a parlare di sé. «Non ne ho mai avuto bisogno. Sono solo e viaggio molto.»
Eva cominciò ad affettare il prosciutto come se fosse l'unica cosa che le interessava, ma la sua curiosità era evidente, così come lo era stata la paura fino a mezz'ora prima.
«Chiedete pure, se volete sapere di più» la incoraggiò Gareth.
Lei tagliò il formaggio in piccoli pezzi. «Sarebbe indelicato.»
«Vi state chiedendo di cosa vive il figlio bastardo di un duca che non ha un'occupazione vera e propria.»
Silenzio.
«Mio padre mi ha lasciato un reddito rispettabile. Inoltre, porto avanti trattative d'affari per conto di terzi. Faccio da intermediario. Di solito una delle parti è in Inghilterra e l'altra nell'Europa continentale. Ecco perché viaggio molto.»
«È per questo che non siete sposato? Perché vi spostate?»
Ed ecco l'inevitabile questione al centro della curiosità di ogni donna.
Gareth rise. «La vostra domanda presuppone che io sia favorevole al matrimonio e ambisca a sposarmi.»
«E non è così?»
«Può essere un ottimo affare a livello economico, se si sceglie la persona giusta, ma, dato che io non sono quella persona, non mi è mai capitato di trovare la donna adatta a me. A essere sincero, in tutta la vita non ho mai pensato di sposarmi.»
«Mai? Neanche una volta? Nemmeno un pensiero fugace mentre avevate accanto una donna che amavate?»
La sua reazione schietta e appassionata lo incantò. Come poteva spiegarglielo? Eva doveva guardare la situazione da un punto di vista diverso, abbandonare le sue idee antiquate e conformiste sull'argomento.
«No, neanche una volta, Eva. L'amore... l'amore in realtà è solo il tentativo di infiocchettare il desiderio carnale per giustificare i bisogni fisici. Qualcuno lo definisce amore perché il suo vero nome è troppo brutale e perché si ha bisogno di sapere che durerà anche quando il desiderio si sarà spento, come accade sempre.»
Eva divenne rossa in volto. Non era imbarazzo, ma irritazione. «Siete davvero cinico.»
«Dico solo la verità, contrariamente a quanto fa la maggior parte della gente su questi argomenti.»
«E allora i vostri genitori? Anche il loro era solo desiderio?»
«Sì, desiderio fisico e poco più. Il duca conosceva appena mia madre quando siglò il loro accordo.»
«Però avete detto che rimase con lei, anche quando il desiderio avrebbe dovuto essere un lontano ricordo, secondo la vostra teoria.»
«Rimase perché mia madre divenne sua amica e confidente. Era l'unica di cui il duca si fidava ciecamente. Rimase perché lei gli rese le cose semplici, e anche per umiliare la moglie, che era arrivato a odiare. Forse amava davvero mia madre, ma di certo era un sentimento fraterno che non aveva nulla a che fare con ciò che la poesia e i romanzi dipingono.»
Eva si alzò e cominciò a rassettare la tavola con gesti bruschi e irritati. «Io credo che vi sbagliate.» Rimise il vassoio del prosciutto sulla mensola. «Le vostre esperienze vi hanno influenzato negativamente.»
«La mia esperienza è stata migliore di tante altre. Per certi versi mi ritengo più fortunato dei miei fratelli, perché miei genitori avevano un rapporto molto migliore di quello tra mio padre e sua moglie.»
«Non mi riferivo a quell'esperienza.» Lei prese il secchio. «Se andate a prendere dell'acqua, laverò i piatti.»
Gareth si alzò e prese il secchio, poi lo appoggiò a terra. «Di quali esperienze parlate, allora?»
Eva fece un passo indietro e si appoggiò al lavabo. «Esperienze che vi hanno influenzato in maniera negativa, tutto qui. Niente di particolare.»
«Invece sembrava proprio che parlaste di qualcosa in particolare.»
Eva riprese il secchio con aria seccata e cercò di superare Gareth per allontanarsi, ma lui non glielo permise.
«Non voglio offendere il mio ospite dopo aver cercato rifugio in casa sua, perciò vi dirò solo questo: le voci sulla vostra reputazione sono arrivate fino a Langdon's End. Ecco tutto.»
«E che reputazione avrei?»
«Si dice che siate capace di far impazzire di piacere le donne al punto che perdono la ragione e fanno di tutto per avervi accanto.» A quelle parole divenne paonazza, ma continuò a guardarlo negli occhi.
«Trovo la cosa insultante e lusinghiera allo stesso tempo» commentò Gareth. «Non so se offendermi o pavoneggiarmi. Non capita spesso di sentir dire che un uomo è in grado di far impazzire di piacere le donne.»
«Non capisco come fate a prenderla così alla leggera. La reputazione è una faccenda molto importante.»
«E la mia è pessima, lo so, ma per il migliore dei motivi. Preferisco essere rinomato per questo piuttosto che avere la fama dell'uomo crudele, spietato e senza principi.»
Lei corrugò la fronte. «Capisco cosa volete dire. Fra i tanti vizi possibili, voi avete scelto il male minore. Tuttavia, sfogare gli istinti più bassi senza alcun controllo e persuadere altre persone a fare lo stesso...»
«Non li definirei istinti bassi. Il desiderio può diventare una forza incontenibile, una tempesta interiore, una necessità irrinunciabile.» Si chinò, avvicinando il volto a quello di Eva. «Ma lo sapete già.» Le sfiorò le labbra con le dita. «Non è vero?»