13

Gareth osservò il volto e i capelli scompigliati di Eva. Aveva un'espressione eterea nella flebile luce del nord. Il sole era sorto da due ore e lui si era già lavato e vestito. Aveva anche preparato dell'acqua fresca per lei nell'anticamera. Non gli sarebbe dispiaciuto restare a letto e vederla emergere dal mondo dei sogni, ma era certo che si sarebbe sentita più a suo agio da sola alla luce del giorno.

Lasciò la stanza e scese al piano di sotto, pensando a tutte le cose che si era proposto di fare quel giorno. Tra le varie voci dell'elenco, c'era anche una visita a Chatsworth e a due tenute abbastanza vicine alla proprietà di Devonshire, dove qualcuno forse conosceva la storia dei dipinti un tempo conservati lì. Se avesse scoperto di dover affrontare un nuovo viaggio, non sarebbe potuto partire prima di due giorni. Poteva volerci tanto a rimettere in ordine la casa di Eva e ottenere informazioni sugli intrusi.

Anche la risposta per Ives doveva aspettare per il momento, ma andava comunque spedita prima possibile. La lettera di Ives era arrivata il giorno prima e, a giudicare dalle sue richieste, qualcuno – o meglio, Qualcuno con la Q maiuscola – gli stava facendo pressione per avere informazioni. Ives non aveva mai detto che era il Principe Reggente a volere quell'indagine, ma Gareth era quasi sicuro che quel Qualcuno fosse lui. Purtroppo nella lettera il fratellastro non gli aveva dato notizie di Lance né delle indagini riguardanti la morte di Percy.

La preoccupazione per tutte le faccende che doveva sbrigare tenne a bada i ricordi di quella notte finché lui non entrò in cucina e non trovò il caffè già pronto. Andò alla porta e guardò fuori. Harold era già arrivato, senza Erasmus, e stava finendo il muro che aveva incominciato a costruire il giorno prima.

La mente di Gareth volò subito alla donna che dormiva al piano di sopra.

Dannazione.

Cominciò a camminare avanti e indietro, ragionando sul da farsi. Avrebbe dovuto pensarci la sera prima. Si maledisse per la propria superficialità ma, perfino in quel momento, il senso di colpa si scontrò con le ragioni che utilizzava sempre per giustificare i propri comportamenti irrispettosi.

Un gentiluomo non seduceva mai ragazze innocenti, nemmeno se gli si gettavano tra le braccia... in teoria. Il fatto che molti gentiluomini di sua conoscenza avessero ignorato quel principio non contava. Se poi si pensava che a mostrargli l'eccezione alla regola era stato proprio suo padre – un duca che aveva violato una vergine che non poteva e non voleva sposare – la questione assumeva quasi un risvolto comico. Per non parlare poi del fatto che lui non era un vero nobile, ma una persona senza diritti e l'unico vantaggio di una simile posizione era la libertà di ignorare qualunque regola da gentiluomo.

Eppure eccolo lì che si arrovellava per salvare la reputazione della donna nel suo letto.

Osservò Harold, un ragazzone biondo e robusto, che lavorava in maniera calma e metodica. Probabilmente avrebbe finito verso mezzogiorno. In teoria Harold avrebbe dovuto lavorare come valletto o domestico e non come uomo di fatica, invece era andato lì per dimostrargli il proprio valore nel momento meno opportuno di tutti.

Comunque meglio Harold che Erasmus. Con Erasmus, il nome di Eva sarebbe stato sulla bocca di tutti nel giro di poche ore. La passione di Erasmus per i pettegolezzi gli era tornata utile, ma in certi casi era necessaria molta discrezione. E quello era uno di quei casi.

Si passò una mano tra i capelli e aprì la porta. Salì in fretta le scale che portavano al giardino e si avvicinò al ragazzo.

Harold smise di lavorare e si asciugò il volto con un fazzoletto.

«Non credevo che saresti venuto anche oggi» esordì Gareth.

Harold annuì. «Ieri sera, mentre vi servivo la cena, mi avete detto di aver cominciato a costruire il muro, così ho pensato di finire il lavoro. Non c'è ragione di rovinarsi le mani in due.»

Gareth si trattenne a stento dal guardarsi le mani. Erano davvero ridotte così male da spingere Harold a prendere il suo posto? Chissà se Eva se ne era accorta?

«Sei molto gentile» rispose. «Sono felice che tu sia qui. C'è stato un piccolo dramma stanotte e ho bisogno del tuo aiuto.»

Harold corrugò la fronte e riappoggiò la pietra che aveva appena preso in mano.

«La faccenda richiede la massima discrezione» continuò Gareth. «Sono sicuro che, quando eri nell'esercito, ti abbiano chiesto di mantenere il riserbo assoluto su questioni importanti.»

«Sì, molte volte, e non solo su questioni militari. Spesso mi capitava di scoprire faccende private sul mio superiore, dato che ero il suo assistente personale. So tenere la bocca chiusa, signore, se è questo che mi state chiedendo.»

«Hai capito perfettamente. So che speri di diventare un valletto, in casa mia o con un altro signore, e allora sarà come con il tuo ufficiale. Un valletto di cui non ci si può fidare è inutile.»

«Nessuno saprà quello che state per dirmi, signore, nemmeno Erasmus, che è un chiacchierone, se proprio volete saperlo. Lo considero un buon amico, ma parla un po' troppo per i miei gusti.»

Gareth poteva solo sperare che Harold mantenesse la parola. «Ieri sera, al tramonto, Miss Russell è tornata a casa e ha scoperto che qualcuno si era introdotto all'interno in sua assenza, distruggendo quasi tutto. Le è parso di sentire dei rumori, come se l'intruso fosse ancora in casa sua, ed è corsa qui in cerca di aiuto.»

Harold sbarrò gli occhi. «Miss Russell? Le ha fatto del male? Se quell'uomo le ha torto anche un solo capello, lo ucciderò con le mie mani. Il mondo è impazzito! Ora una donna non può sentirsi al sicuro nemmeno in casa propria. Sono sconvolto da questa notizia, signore. Non è un piccolo dramma, ma una faccenda molto, molto grave!»

«Sì, be', ormai era notte e, non sapendo che altro fare, Miss Russell è rimasta qui. Ora è al piano di sopra, nella stanza con il letto nuovo. Immagino tu capisca quanto è delicata la situazione.»

Harold lo capiva eccome. Dopo avergli lanciato un'occhiata sospettosa, restò in silenzio per qualche minuto, grattandosi la testa e fissando il muro con aria pensierosa.

Alla fine rispose: «Non sono bravo con le strategie, signore. In fondo non sono mai diventato ufficiale. Tuttavia, credo sia meglio che Miss Russell non dica al magistrato dove ha passato la notte. Il mio silenzio non servirà a niente se il magistrato renderà pubblica la vicenda e, se questo accadesse, Miss Russell sarebbe rovinata, sebbene abbia solo cercato di proteggersi da quei criminali».

«È quello che penso anch'io. Miss Russell ha fatto la cosa giusta, ma dovrà fingere di aver preso la decisione sbagliata e di essere venuta da me solo stamattina.»

«Posso andare ad avvisare il magistrato. Probabilmente non arriverà a casa di Miss Russell prima di un paio d'ore, visto che vive dall'altra parte della città. Se intanto voi riaccompagnate a casa la signorina...»

«È un buon piano. Forse faresti meglio a partire subito. Miss Russell attenderà l'arrivo del magistrato in casa sua.»

Il giovane assunse un'espressione serissima, quasi militaresca. «C'è solo una cosa che mi preoccupa, signore: Miss Russell... acconsentirà a mentire? Conoscendola, è possibile che si rifiuti di farlo.»

«Proverò a convincerla che è necessario.»

Harold si avviò verso il cancello e Gareth rientrò in casa. Miss Russell avrebbe fatto meglio a non protestare. Di certo avrebbe capito che mentire era la cosa più sensata.

Tornò in camera da letto. Eva si era alzata e si stava preparando nello spogliatoio, così lui uscì e raggiunse l'unica altra camera con un letto. Tirò giù la coperta, aggrovigliò le lenzuola e colpì perfino il materasso qualche volta per far sembrare che qualcuno avesse dormito lì quella notte. Stropicciò un asciugamano nell'anticamera e poi lo gettò a terra. Vedendo la stanza così, Harold si sarebbe convinto che l'innocente Miss Russell aveva passato lì la nottata. Soddisfatto del proprio lavoro, Gareth andò a cercare la signora in questione.

La trovò vestita e pettinata nella sua camera da letto. Era seduta sulla poltrona e sembrava tranquilla, forse solo un po' confusa. Come sempre, aveva un aspetto irresistibile. Bella, vivace e affascinante, ma senza rendersene conto. Sembrava una donna perfettamente in grado di dire a un uomo che lo desiderava, nonostante la Eva Russell che il mondo conosceva fosse l'esatto opposto. Forse nemmeno lei stessa conosceva la Eva Russell seduta su quella poltrona.

Per evitare che tra loro si creasse imbarazzo, Gareth si avvicinò, la prese tra le braccia e la baciò. Eva arrossì.

«Non vorrai farmi credere che ti vergogni» le disse, accarezzandole la guancia. «Sappi che non me la bevo.»

«Certo che no. Niente imbarazzo e niente rimorsi, proprio come promesso. Mi sento soltanto un po' strana, come se mi stessi risvegliando da un sogno a occhi aperti.» Lei abbassò lo sguardo. «Stanotte siamo stati due incoscienti, non è vero?»

«Direi di sì.»

«Completamente pazzi.»

«Sì.»

Eva fece un gesto rassegnato. «Credo che tutti dovrebbero concedersi un po' di pazzia almeno una volta nella vita, no?»

«Assolutamente sì.»

Lei si lisciò i capelli e sistemò le maniche dell'abito. «Devo tornare a casa. Ho un aspetto terribile. Non mi sono neanche potuta spazzolare.»

Gareth non se ne era accorto. Non gli sembrava proprio che avesse un aspetto terribile. La luce del mattino rendeva la sua pelle levigata e perfetta e i suoi occhi mutevoli erano azzurri come il mare, in quel momento. Nonostante l'abito modesto, era incantevole. I capelli, poi, non poteva guardarli senza pensare a quanto fossero morbidi e serici.

«Devo tornare a casa» ripeté lei. «Devo...»

«Ti accompagno. Ho mandato Harold ad avvisare il magistrato. Devi mostrargli cos'è successo, così metterà in guardia gli altri e troverà il colpevole.»

«Harold...» disse lei, lanciando un'occhiata al letto.

«È un bene che sia venuto qui. Mi sarebbe dispiaciuto lasciarti sola per andare ad avvertire il magistrato. Non temere, Harold non ti ha visto perché non ha messo piede in casa. Gli ho detto che hai dormito qui, ma credo che possiamo fidarci della sua discrezione.»

Questo parve tranquillizzarla abbastanza, ma nei suoi occhi restò un barlume di preoccupazione per i rischi che correva. «Se non sarà più che discreto, non farà alcuna differenza dire che sono rimasta chiusa a chiave in una stanza tutta la notte o che sono corsa da voi con un assassino alle calcagna. Se fosse solo per me non mi importerebbe dello scandalo, ma temo che rovinerebbe qualunque possibilità per mia sorella.»

«Non ci sarà nessuno scandalo.»

La portò al piano di sotto, poi uscì per sellare il cavallo e portarlo di fronte all'ingresso. Eva lo attese davanti alla porta, con la borsetta in mano. Gareth prese il cavallo per le briglie e si incamminò con lei verso la strada principale.

Che strana giornata... Che sensazione curiosa camminare accanto a Gareth sotto il sole, con quel mostro di cavallo che li seguiva!

Di tanto in tanto gli lanciava un'occhiata furtiva. E il cuore ancora impazziva alla sua vista. Forse sarebbe sempre stato così. Se pensava che l'intimità della notte precedente avrebbe placato quell'infatuazione infantile, si sbagliava di grosso.

Al risveglio, vedendo dove si trovava e ricordando cosa era successo, era stata assalita da un'ondata di panico. Tuttavia, la paura era passata quando la sua memoria si era schiarita e le aveva fatto sentire di nuovo il peso di Gareth su di sé. Il leggero fastidio che ancora avvertiva le aveva strappato un sorriso, anziché rattristarla. Mentre si lavava, si era domandata se fosse diventata dissoluta come Gareth, una donna che cercava il piacere in maniera avventata con un uomo che non amava, senza provare il minimo senso di colpa.

Dissoluta. Una parola interessante. Molto meno grave di malvagia, ma ben più forte di audace. Non si poteva negare che la parola dissoluta spesso indicasse una persona dalle abitudini sessuali licenziose. Probabilmente ora lei era proprio così.

La sera prima Gareth le aveva detto che poteva avere tutti gli uomini che voleva. Era stato molto gentile, ma la sua era solo una bugia pietosa. Lui sì che poteva avere tutte le donne che voleva.

«Ho fame» disse Eva, quando svoltarono la curva che nascondeva Albany Lodge.

«Avrei dovuto offrirti del cibo.»

«Mangerò del formaggio a casa mia, sperando che quei delinquenti non l'abbiano preso o rovinato. Del resto non possiamo perdere tempo con la colazione, stamattina. Devo farmi trovare in casa all'arrivo del magistrato.»

Gareth aprì la porta, certo che Eva non l'avesse chiusa a chiave quando era scappata, la sera prima. Il suo baule, delle tele e altri oggetti erano ancora poggiati sulla soglia, fin dove la giovane era riuscita a trascinarli. Gareth entrò.

«È molto peggio di come l'hai descritto, Eva.»

Lei lo seguì e osservò di nuovo la distruzione che l'aveva accolta la sera prima, al suo ritorno. Gareth raccolse da terra uno dei suoi dipinti rovinati e lo guardò con rabbia, poi lo appoggiò. Tornò da lei e le prese le mani.

«Ora andiamo a vedere in che condizioni è il resto della casa. Prima, però, dobbiamo decidere cosa raccontare al magistrato. Secondo me, dovresti dire che hai trascorso la notte qui e che sei venuta a chiedermi aiuto stamattina presto. So che non ti piace mentire, ma...»

«È una bugia perdonabile. Se mai si dovesse sapere che ho dormito a casa tua, tutti capiranno perché ho preferito mentire e non potranno biasimarmi.»

Lui le prese il volto tra le mani. «Dato che poi non potrò più farlo...» Le diede un bacio che risvegliò tutti i ricordi della notte appena passata, poi la portò verso le scale.

Eva salì al piano di sopra. Andò subito in camera da letto e osservò le assi del pavimento all'angolo. Erano intatte. Nessuno le aveva sollevate e le monete erano ancora appese al chiodo. Per fortuna nella borsetta aveva altro denaro che le avrebbe permesso di sopravvivere a quell'intrusione. Non sapeva proprio come avrebbe fatto se non avesse guadagnato quelle venti sterline.

Le assi del pavimento, però, erano l'unica cosa ancora a posto. I letti erano capovolti, le credenze svuotate e il contenuto sparpagliato ovunque. La porta del piccolo guardaroba a cui si accedeva dalla stanza di Rebecca era spalancata e i bauli all'interno erano stati aperti e razziati.

«Sembra che stessero cercando denaro e oggetti di valore» commentò Gareth.

«Basta entrare in questa casa per capire che non ce ne sono. Non abbiamo nemmeno dei mobili decenti.»

Al terzo piano la situazione era identica. Quella zona della casa non era arredata, ma c'era una stanza piena di bauli contenenti gli abiti di sua madre e i ricordi di una vita intera. Anche lì le cassapanche erano state forzate e, di fronte a quell'ultimo affronto, Eva perse il controllo.

Scoppiò a piangere e cadde in ginocchio, raccogliendo le vecchie sete e le scarpe che ancora avevano l'odore della sua infanzia. Nemmeno vedere i suoi dipinti rovinati le aveva causato tanto dolore. Una rabbia omicida si impossessò di lei. Sollevò gli abiti della madre di fronte al volto e lanciò un grido di collera e frustrazione.

Gareth si inginocchiò al suo fianco. Le tolse gli abiti di mano, li piegò con cura e li risistemò nel baule. «Non mi piace l'idea che tu stia qui da sola.»

«Questa è casa mia» rispose Eva, asciugandosi gli occhi con la mano. «Non la abbandonerò neanche morta.»

«Sì, ma...»

«Non lascerò che la paura mi impedisca di vivere nell'unica casa che conosco. Non riusciranno a spaventarmi, chiunque essi siano. Non glielo permetterò.»

Gareth non aggiunse altro. Si alzò e le porse la mano per aiutarla ad alzarsi, quindi tornarono in biblioteca e attesero lì l'arrivo del magistrato.

Sir Thomas Pickford, il magistrato, sembrava molto competente. Un ex ufficiale dell'esercito, alto e forte, si aggirò a lungo per le stanze, soffermandosi su ogni dettaglio. Quando infine tornò in biblioteca, avvicinò l'unica sedia al divano su cui Eva era seduta.

«Non li avete visti?» le chiese.

Lei scosse la testa. «Non so nemmeno quanti fossero.»

«Probabilmente almeno due. Al piano di sopra ho notato un metodo più sistematico mentre qui...» Indicò il caos che li circondava. «Questo è opera di una mente diversa.»

«È evidente che in questa casa non c'è niente da rubare» disse Gareth.

«È vero, ma cercavano qualcosa, oltre a un po' di divertimento.» L'uomo ignorò Gareth e si concentrò su Eva. «Per caso avete fatto arrabbiare qualcuno? Potrebbero averlo fatto per dispetto?»

«Questa domanda è molto strana, Sir Thomas» intervenne Gareth. L'idea che qualcuno volesse fare del male a Eva gli sembrava assurda.

«Non più di tanto, signore. Guardatevi intorno. Una scena così non si vede spesso nella nostra contea. Sì, ci sono dei ladri, ma questo...» Il magistrato scosse la testa.

«Be', ora l'avete visto e spero vivamente che troverete i colpevoli.»

«Ci proverò, ma non abbiamo alcun indizio su chi siano o dove si trovino, giusto? Svolgerò delle indagini per scoprire se qualcuno ha notato dei movimenti sospetti, magari passando di qui la sera. Faremo il possibile.» Sir Thomas tornò a rivolgersi a Eva. «Non è stata una buona idea aspettare fino al mattino per cercare aiuto, Miss Russell. Resterete sola ancora a lungo qui?»

«Mia sorella tornerà fra qualche giorno.»

«Be', chiudete sempre tutte le porte. Non credo che torneranno, ma è meglio essere prudenti.»

Sir Thomas si congedò e se ne andò. Gareth risistemò i mobili di tutta la casa e, quando tornò al pianoterra, trovò Eva che toglieva la pittura dalle tele rovinate. Nel vedere quei dipinti rovinati, l'aveva assalito una rabbia incontenibile. Era un gesto fatto per pura cattiveria. Forse Sir Thomas aveva ragione a pensare che qualcuno volesse fare un dispetto a Eva.

Lei notò che la stava osservando e gli spiegò: «Almeno così posso riutilizzare le tele».

«Erano bellissimi. Vere opere d'arte.»

«No davvero. So di essere una pittrice mediocre, ma adoro dipingere. Voglio lavorare sodo e migliorare.»

Gareth si avvicinò, le tolse di mano il dipinto e lo osservò. Ancora si intravedeva qualche parte del paesaggio. «I pittori mediocri non si distinguono dagli altri, Eva. Questo dipinto, invece, è unico nel suo genere. Basta vedere come hai usato la luce sul terreno e sugli alberi... Non credi abbastanza in te stessa.»

«Perdonami, ma... ti intendi di pittura?»

«Be', a dire il vero sì, me ne intendo. L'arte è uno dei pochi settori in cui ho grande esperienza.»

Lei sorrise, lusingata dal suo complimento, poi scoppiò a ridere. «Be', uno dei pochi ma non l'unico. Ormai lo so per certo...»

Quell'allusione un po' salace lo rincuorò. Sembrava che Eva si stesse riprendendo dal turbamento di poco prima.

Eva appoggiò il dipinto e prese la borsetta. «Vorrei che facessi una cosa per me, se non ti dispiace.»

«Tutto quello che vuoi.»

Prese delle banconote dalla borsetta e gliele porse. I suoi occhi si accesero di determinazione. «Comprami una pistola e insegnami a usarla.»