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Dopo aver comprato la pistola per Eva, Gareth fece un giro per Langdon's End e si fermò al White Horse. Come previsto, Erasmus era lì e lo salutò con un sorriso caloroso. Gareth gli fece cenno di sedersi al tavolo con lui, ordinò due birre e lo aggiornò sulla situazione.

Erasmus si mostrò sconvolto quanto Harold a quella notizia. Sembrava sincero, il che voleva dire che l'altro ragazzo aveva mantenuto la parola e non aveva parlato nemmeno all'amico dell'accaduto. Anzi, aveva fatto anche di più. Non solo non aveva rivelato a Erasmus che Eva si trovava in casa di Gareth quella mattina, ma non aveva proferito parola nemmeno sul motivo che l'aveva spinta ad andare lì la sera prima.

«Dev'essere successo ieri» commentò Erasmus. «Sono passato a casa sua tutte le mattine dopo la sua partenza per Birmingham e non ho notato niente di strano. Stamattina non ci sono andato perché Harold mi ha detto che Miss Russell era tornata.»

«Come puoi immaginare, Miss Russell è molto spaventata.» Gareth diede qualche colpetto al fagotto che aveva appoggiato sul tavolo. «Mi ha chiesto di comprarle una pistola. Se questo la fa sentire più sicura, è giusto accontentarla.»

«Ne ha mai usata una?» chiese Erasmus, incredulo.

«Presto saprà come fare. Voglio che tu tenga le orecchie bene aperte e mi riferisca qualunque indizio possa aiutarmi a risalire al colpevole. Questa gentaglia spesso ama vantarsi di ciò che ha fatto, specie quando alza il gomito.»

Erasmus annuì. «Lo dirò anche a Sir Thomas.»

«Prima parlane con me. Il magistrato avrà ciò che resta del delinquente quando avrò finito con lui.»

Appoggiò il denaro per le birre sul tavolo e lasciò la taverna. Considerando quanto Erasmus amava chiacchierare, nel giro di qualche ora tutta la città avrebbe saputo che Miss Russell aveva una pistola e che sapeva come usarla. Inoltre, si sarebbe sparsa la voce che Mr. Fitzallen la proteggeva e che non avrebbe aspettato la sentenza di un tribunale per farsi giustizia.

Entrambe le voci avrebbero contribuito a tenere Eva al sicuro, nel caso quell'irruzione non fosse stata un tentativo isolato. Tuttavia, quando Gareth aveva visto la crudeltà con cui quegli uomini avevano distrutto i dipinti di Eva, gli era venuta in mente un'altra teoria su quel crimine. Prima di lasciare la città, fece un'altra sosta.

Mr. Trevor si alzò per salutarlo non appena Gareth entrò nel suo ufficio. Gli offrì un po' di brandy e poi si sedettero entrambi accanto alla finestra.

«I materiali per il tetto dovrebbero arrivare in settimana» disse Trevor. «Una volta iniziati, i lavori non dovrebbero protrarsi troppo a lungo.»

Gareth lasciò che la conversazione vertesse su Albany Lodge per qualche minuto prima di rivelare il vero motivo della sua visita.

«Mentre Miss Russell era via, qualcuno si è introdotto in casa sua. Ne sentirete parlare presto, se non lo sapete già.»

«E perché avrebbero scelto casa sua? Miss Russell non possiede oggetti di valore.»

«Vedendola dall'esterno, nessuno immaginerebbe che all'interno non c'è niente di prezioso. È una splendida dimora nobiliare. Ormai Langdon's End non è più un paese di campagna, ma una cittadina in espansione e di qui passa gente di ogni tipo.»

«Ma è terribile! Qui nessuno chiude a chiave le case... Non è un posto in cui si sospetta di tutto e tutti. Almeno, non lo era fino a questo momento. Temo che, dopo questo brutto episodio, le cose cambieranno.»

«Senza dubbio sarà così se i dettagli della vicenda verranno resi pubblici. Non avendo trovato nulla, i delinquenti hanno sfogato la rabbia distruggendo metodicamente quel poco che c'era in casa: pavimenti, pareti, mobili, stoviglie... stanza per stanza, tutti gli averi di Miss Russell sono stati ridotti in polvere.»

«Grazie a Dio non c'erano né lei né la sorella! Non è sicuro per due donne sole vivere all'ombra di una grande città come Birmingham... Miss Russell dev'essere terrorizzata.»

«A dire il vero è furibonda. Se devo essere sincero, vedendo le condizioni della sua casa, sospetto che l'obiettivo di quelle persone fosse proprio spaventarla. Hanno compiuto delle cattiverie gratuite, come se fosse un attacco personale.»

Trevor si alzò in preda all'agitazione. «Non può essere. Chi mai potrebbe volerle fare del male? Non ha nemici. Tutti in città la amano e la rispettano.»

«Sì, i vecchi abitanti della città, ma i nuovi la conoscono appena.» Gareth osservò il comportamento di Trevor, che ora guardava fuori dalla finestra, cercando di metabolizzare la notizia. «Cosa sarebbe disposto a fare il vostro cliente per ottenere quella casa e quelle terre?»

Trevor si voltò di scatto, allibito. «Cosa state insinuando?»

Gareth lo guardò senza proferire parola.

«Il mio cliente è un uomo d'affari rispettabile, Fitzallen. Guadagna settemila sterline l'anno grazie al duro lavoro e agli ottimi affari che ha concluso negli ultimi dieci anni. Le vostre insinuazioni sono molto offensive e del tutto fuori luogo.»

Gareth si alzò e gli si parò di fronte. «Scommetto che non conoscete niente di quest'uomo, a parte il volto che sceglie di mostrarvi e l'entità delle sue entrate economiche. Si è arricchito con gli affari, e questo non è certo un reato, ma è difficile arrivare al successo in soli dieci anni, qualunque sia il suo settore di lavoro. Potrebbe essere un uomo disposto a tutto pur di ottenere quello che vuole. Eva si rifiuta di vendergli ciò che desidera, così forse ha cercato di convincerla facendola sentire in pericolo nella sua stessa casa.»

«Le vostre accuse sono inaccettabili, Fitzallen. Non avete alcuna prova, eppure venite qui a infamare un uomo che...»

«Chi è? Ditemi il suo nome e presto scoprirò se ho ragione.»

«Non vi dirò mai il suo nome. Voi non siete un gentiluomo più di quanto non lo sia lui. Per quel che ne so, anche voi potreste essere disposto a tutto pur di ottenere ciò che volete. Non vi consento di accusare il mio cliente di un reato che probabilmente è solo un caso fortuito.»

Gareth appoggiò il bicchiere di brandy sul tavolo. «Se è stato un reato occasionale, non si ripeterà più. Tuttavia, nel caso si verificassero altri tentativi di spaventare Miss Russell, tornerò da voi e, se non mi darete il nome del vostro cliente neanche allora, lo scoprirò da solo e andrò a farci quattro chiacchiere.»

Detto questo, andò alla porta.

«Vi caccereste in una situazione più grande di voi, Fitzallen. Quell'uomo ha i migliori avvocati sulla piazza. Vi rovinerebbe se provaste a denunciarlo.»

«Io ho l'avvocato migliore di tutti e, dato che è un familiare, non mi costerà niente. È anche un uomo che non mostra alcuna pietà verso chi minaccia le donne. Dite al vostro cliente che è fortunato ad aver attirato la mia attenzione e non quella di mio fratello.»

Finalmente la pistola cominciava a sembrarle maneggevole, molto più leggera della prima volta che l'aveva impugnata e aveva seguito goffamente le istruzioni di Gareth su come caricare la pallottola e la polvere. Ormai riusciva perfino a sparare con mano ferma, contrariamente a quanto era successo con i primi due colpi.

Mirò alla grande tavola di legno che Gareth aveva sistemato contro il muro del giardino. «Ora?»

«Quando vuoi.»

Eva sparò. Il colpo fu assordante, come sempre, e dalla canna fuoriuscì un pennacchio di fumo, ma stavolta lei non sobbalzò, anche se era sicura che non si sarebbe mai abituata a quel rumore.

Osservò la tavola, in cerca del nuovo foro. Gareth le tolse di mano la pistola.

«Molto meglio, Eva.»

«Davvero? Non vedo il colpo sulla tavola.»

«Perché non hai colpito la tavola.»

Eva spostò lo sguardo sul muro, dove un terzo foro era andato ad allinearsi ai due precedenti. Anche se il muro era fatto di pietra, le pallottole non rimbalzavano, ma restavano conficcate nella superficie a eterna riprova della sua pessima mira.

«Come puoi dire molto meglio se non sono riuscita a colpire una tavola grande quanto una porta?»

«Stavolta eri più vicina al bersaglio.»

«Ma di un pollice!» Eva riprese la pistola, si sedette e aprì il sacchetto della polvere da sparo. «Tu sei un buon tiratore?»

«Non ne incontrerai molti migliori di me.»

Non lo disse con tono borioso per darsi delle arie, ma come se stesse semplicemente constatando un dato di fatto. Eva infilò la polvere nella pistola. «Ci hai messo molto a diventare così bravo?»

Gareth si sedette al suo fianco e la osservò caricare la pistola. «Ogni anno, in estate, passavo qualche settimana con mio padre, proprio qui, ad Albany Lodge. Erano gli unici momenti in cui potevo stare con lui. L'estate dei miei dodici anni mi insegnò a sparare. Mi costrinse a esercitarmi tutti i giorni, per ore e ore. Arrivai a odiare quella pistola. Era il periodo dell'anno che attendevo con più impazienza e invece mi ritrovavo da solo, in quel giardino, a sparare a un bersaglio.»

«Tuo padre sapeva che detestavi sparare?»

«Sì, lo sapeva. Alla fine, quando imparai a prendere bene la mira e a ricaricare in fretta la pistola, mi disse che, viste le mie origini, un giorno altri uomini mi avrebbero sfidato oppure mi avrebbero insultato e allora li avrei dovuti sfidare io. Se, però, fossi diventato famoso per la mia mira infallibile, molti si sarebbero guardati bene dal provocarmi. Nessuno vuole scontrarsi a duello con un uomo che colpisce sempre il bersaglio.»

Eva finì di caricare la pistola, poi la strinse fra le mani. «Aveva ragione? Sapere sparare ti ha risparmiato qualche sfida?»

Gareth le tolse la pistola di mano. «Sì, spesso, ma non sempre nel modo che credeva lui.» Sollevò l'arma, puntò il bersaglio e poi la riabbassò. «Però è probabile che abbia impedito a mio fratello di uccidermi.»

Eva lo guardò con aria incredula. Lui abbassò lo sguardo sulla pistola.

«Durante una di quelle estati, il primogenito di mio padre venne a trovarci. Credo che mio padre avesse già iniziato a sospettare cosa covava Percy dentro di sé, ma non immaginava quanto fosse grande il suo risentimento e accolse con piacere quel suo gesto di approvazione nei miei confronti. Un giorno mio padre si assentò per controllare la proprietà e Percy si offrì di insegnarmi a duellare. Mi spiegò per filo e per segno come si svolgeva un duello, poi mettemmo in pratica tutto quello che mi aveva detto, come se stessimo davvero per spararci. Di colpo ci ritrovammo faccia a faccia, entrambi con una pistola carica in mano.» Gareth la guardò. «Non chiedermi perché, ma quando vidi i suoi occhi, seppi con certezza che voleva uccidermi, inscenando uno sfortunato incidente.»

«Ne sei certo?» Le sembrava davvero impossibile. «Tuo fratello?»

«Ne ero certo. Percy stava in piedi sotto l'estremità di un grosso ramo che quasi gli sfiorava la testa. Puntai al ramo, sparai e lo feci cadere su di lui. Percy si spaventò molto ed ebbi il tempo di ricaricare la pistola. Lui guardò il ramo spezzato, poi me e decise che la lezione sui duelli era finita.» Gareth si alzò e le restituì la pistola. «Io avevo quindici anni e lui venti. Su, prova ancora. La luce del giorno sta svanendo in fretta e non imparerai mai a sparare al buio.»

Eva avrebbe voluto che quel giorno durasse ancora a lungo. Doveva imparare in fretta a sparare. Detestava sentirsi indifesa e vulnerabile in casa propria. Quel giorno, mentre Gareth era in città, aveva passato tutto il tempo a risistemare i danni, sobbalzando a ogni rumore e sorvegliando chiunque passasse di fronte al suo giardino.

Mancò di nuovo la tavola. Gareth le tolse la pistola di mano, poi prese anche la polvere da sparo. «Non devi essere in grado di colpire un bersaglio, Eva, perché è piuttosto improbabile che tu debba fare fuoco davvero. Puntare una pistola contro un intruso basta a farlo scappare. Sono quasi tentato di portarmi via la polvere da sparo, così non compirai gesti avventati e non rischierai di ferire qualcuno per sbaglio.»

«Non osare prendere la polvere da sparo. Prometto che non la userò da sola finché non saprò maneggiare bene la pistola, ma non ti permetto di trattarmi come una bambina incosciente o una donna troppo stupida per evitare di spararsi a un piede da sola.»

«Non ho mai detto che ti saresti sparata a un piede.» Le accarezzò una spalla, come a volerla rassicurare. Lo aveva fatto spesso da quando le aveva portato la pistola e quell'enorme tavola di legno. Era il tipico gesto consolatorio che si riservava a una persona in lutto o a qualcuno che era sopraffatto dalle proprie emozioni.

Attraversarono il giardino fianco a fianco e rientrarono in casa.

Mentre era intenta a pulire e a esercitarsi con la pistola, aveva quasi dimenticato l'attrazione che sentiva per lui, ma bastò quel breve tragitto al suo fianco per risvegliarla. Dei fili invisibili la tiravano verso il corpo di Gareth con una forza magnetica e sensuale. Non sapeva se era lui a provocarle volontariamente quella reazione o se bastava la sua presenza a scatenare quel fenomeno.

«Hai scritto a tua sorella per dirle cosa è successo?» le chiese Gareth.

«Domani le manderò una lettera, ma non le parlerò dell'accaduto. Non voglio che si preoccupi o che torni prima del previsto da Birmingham.»

Scesero nel seminterrato, in cucina, e Gareth accese una lampada mentre Eva si avvicinava al focolare, attratta da un profumino delizioso. C'era una pentola che borbottava. Doveva essere passato Harold a preparare la cena, come quando si porta il cibo agli ammalati.

«Stufato» commentò Eva. Stufato di manzo, a giudicare dal profumo. Una vera leccornia. Il suo stomaco fece qualche gorgoglio di gioia. «Ne vuoi un po'? C'è anche del pane fresco.»

Lui rispose prendendo due piatti dalla mensola. Fino a poche ore prima il pavimento era coperto di piatti e stoviglie rotti, ma per fortuna non era andato tutto distrutto.

Gareth uscì a prendere dell'acqua alla fonte, poi si sedettero e mangiarono. Eva notò che lui la osservava attentamente.

«Sei soddisfatto?» gli chiese. «Ho mangiato abbastanza per restare in forze e non ammalarmi di isteria?»

«Non prendertela se mi preoccupo per te. Non ti hanno fatto del male fisicamente, ma hai comunque subito un'aggressione. Al corpo serve del tempo per riprendersi.»

«Sto bene. Sono forse svenuta? No. Ho pianto come una pazza? No. Be', sì, ho pianto, ma non in maniera isterica e solo per rabbia, non per dolore. Non ho nemmeno perso l'appetito. Vedi?» Prese un altro boccone di stufato.

Gareth la scrutò con attenzione. «Sicura di stare bene?»

«Sicurissima.»

«Bene al cento percento?»

«Sì, al cento percento.»

«Mi fa piacere. D'ora in poi non mi preoccuperò più per te.»

«Perfetto.»

Eva tolse dalla tavola i piatti sporchi e li lavò. Quando ebbe finito, salirono al piano di sopra. «Domani ci eserciteremo ancora con la pistola?»

«Sì, se vuoi, ma non presto.»

Lei lo accompagnò alla porta. «Prometto che aspetterò il tuo arrivo.»

Si rese conto che Gareth non la stava più seguendo. Si voltò e vide che si era appoggiato alla parete e la stava osservando con le braccia incrociate di fronte al petto.

«Non dovrai aspettare il mio arrivo, Eva, perché stanotte non me ne andrò.»

Le sue intenzioni erano buone ed Eva lo apprezzava molto, ma non voleva che stesse lì a farle da guardia personale. «Non c'è bisogno che tu rimanga. Prometto che non resterò sveglia tutta la notte a tremare di paura.»

«È lo stesso, stanotte non resterai da sola in questa casa. Non discutere, sono irremovibile su questo punto.»

«Hai forse intenzione di dormire sul divano con la pistola pronta a sparare?»

«Sì, la mia idea era questa, ma visto che stai bene e ti sei ripresa al cento percento, credo che il tuo letto sia più comodo.»

Eva dubitava che volesse far dormire lei sul divano al suo posto. Le sue parole le fecero subito tornare in mente le sensazioni e il piacere straordinario della notte precedente. Il suo tentativo di apparire indignata di fronte a quell'annuncio arrogante fallì miseramente. Il desiderio divenne una forza viva che si agitava nello spazio tra di loro.

Gareth si avvicinò, la baciò e la portò verso le scale.

«Avevo intenzione di riflettere un po' prima di rifarlo» gli disse Eva. «Dovrei davvero prendermi del tempo.»

«Pensa quanto vuoi, ma a partire da domani.»

«Non posso avere una relazione con te. Lo capirai anche tu, immagino.»

«Io so solo che ti voglio e che tu vuoi me.»

«Sì, ma dovremmo comunque...»

Lui la zittì e la prese tra le braccia. Nel suo bacio famelico e passionale non c'era più traccia dell'autocontrollo della notte precedente. «Basta con i dovremmo. Non ora o non ti toccherò più finché non sarai tu a chiedermelo. Ti costringerò a implorare e a gridare.»

«In realtà speravo che questo lo facessi comunque.» Quelle parole le uscirono di bocca da sole, superando con un balzo tutti i dovrei che cercavano di imbrigliare la sua mente.

Gareth le lanciò uno sguardo che le fece tremare le gambe. La sollevò tra le braccia con un movimento fulmineo e la portò di sopra.

Quella notte fu diverso: nessuna foga disperata, nessuno sconvolgimento. Il piacere non fu una scossa violenta, ma la attraversò in tante ondate, comandate dalle carezze e dai baci esperti di Gareth.

Non accadde niente di particolarmente indecente. Gareth la prese con gentilezza, quasi dolcemente, ed Eva lo tenne stretto a sé in un abbraccio senza fine. Provò un piacere incredibile, ma non perse il controllo come la notte precedente. Sentì intensamente Gareth su di sé e dentro di sé e provò un senso di condivisione intimo e profondo. Nemmeno la potenza dell'appagamento finale riuscì a oscurare quel sentimento, ma, anzi, lo amplificò. Dopo, mentre riposava tra le sue braccia, Eva capì che quella era la passione più pericolosa che avesse mai vissuto, perché toccava corde sconosciute del suo cuore.

Eva fu la prima a svegliarsi. Restò accanto a Gareth per un po', assaporando la calma e la pace che provava, poi si alzò.

Si infilò la vestaglia e scese di sotto, poi attraversò in fretta il giardino per andare a prendere l'acqua. Quando aprì la porta della casupola in cui era nascosta la fonte, rimase pietrificata.

Lì c'era stato qualcuno, e non solo per prendere dell'acqua. La zappa e la pala, che lei lasciava sempre sopra il grande contenitore degli attrezzi da giardino, erano state gettate a terra e gli oggetti nel contenitore erano in disordine. Si guardò intorno, osservando il piccolo capanno. Non c'era niente di rotto, ma sospettava che gli intrusi fossero entrati anche lì.

Probabilmente il giorno prima, quando era andato a prendere l'acqua, Gareth non si era reso conto che c'era qualcosa di strano. Un brivido le corse lungo la schiena. Se avevano rovistato anche nel capanno, era perché stavano cercando qualcosa di specifico e non volevano solo rimediare qualche oggetto di valore in una casa qualunque.

Tornò in cucina con un secchio d'acqua e lo scaldò accanto al fuoco, poi lo portò di sopra, si lavò e si vestì. Tornata in cucina, prese un tegame per preparare le uova che Gareth aveva riportato dalla città il giorno prima. Apparecchiò la tavola lì. Da quando non aveva più la servitù, non perdeva tempo a portare il cibo in sala da pranzo. Le sembrava fatica sprecata.

Quando fu tutto pronto per preparare la colazione, andò in biblioteca. Le tele e i colori nuovi erano ancora appoggiati a terra, in un angolo. Prese un piccolo martello da un cassetto e cominciò a staccare uno dei dipinti rovinati dalla cornice.

Aveva intenzione di usare le nuove tele per le copie e quelle vecchie per i suoi lavori personali. L'idea di realizzare una composizione a suo piacimento e abbandonarsi alla sinfonia la entusiasmava. Decise di fare qualche disegno del lago e magari dipingere una vista della riva occidentale al tramonto, con tinte viola e arancio che attraversavano il cielo e alberi che proiettavano ombre lunghe e scure sull'acqua. Avrebbe ottenuto un risultato migliore del dipinto che era stato rovinato. Ne era certa.

Osservò il rotolo di tela nuova. Doveva trovare nuove opere da riprodurre. Opere di valore, in modo che il nuovo cliente di Mr. Stevenson le comprasse tutte.

Si mise all'opera, spandendo altra trementina sul suo dipinto per finire ciò che i delinquenti avevano iniziato. Il dipinto non era fresco, perciò non sarebbe riuscita a eliminare del tutto la pittura. Tuttavia, riuscì a ridurlo a una vaga ombra di ciò che era prima. Con un po' di lavoro, i nuovi colori lo avrebbero coperto del tutto.

Sentì dei rumori al piano di sopra. Gareth si era svegliato. Eva si pulì le mani e mise la tela ad asciugare sul suo piccolo cavalletto. La sua attenzione venne di nuovo catturata dai materiali appena acquistati. Se avesse detto a Gareth dei dipinti nascosti nella sua soffitta, lui glieli avrebbe lasciati usare?

No, non poteva sollevare quell'argomento. Se ne avesse parlato, avrebbe dovuto confessare anche ciò che aveva fatto negli ultimi anni e lui sarebbe rimasto deluso dal suo comportamento. Gareth credeva che lei fosse una signora, una donna buona e onesta. Non una ladra che prendeva le sue sedie per venderle e i suoi dipinti per farne delle copie né una persona in grado di nascondergli l'esistenza di quei dipinti nella speranza di poterne prendere altri in futuro.

Si vergognava anche di confessare di aver realizzato delle copie. Gareth le aveva fatto i complimenti per i suoi paesaggi. Non voleva dirgli che negli ultimi due anni aveva usato il proprio scarso talento quasi esclusivamente per riprodurre i capolavori di altri artisti. Sarebbe stato come scoprire che una grande mente non avesse fatto altro che citare le osservazioni intelligenti di altri più geniali di lui.

«Così è ancora peggio.»

Eva alzò lo sguardo e vide che Gareth era a soli cinque piedi da lei. Indossava una camicia e un gilet, senza fazzoletto da collo, e stava osservando perplesso il dipinto scolorito sul cavalletto.

«Era rovinato, ma ora posso almeno riutilizzare la tela. Ho già deciso cosa farne.» Eva rimise il barattolo di trementina nella scatola e chiuse il coperchio.

«Hai grandi progetti, a giudicare da quel rotolo di tela.»

Gareth si riferiva ai materiali nuovi. Quella tela mi serve per altre cose, per esempio riprodurre i paesaggi della tua collezione.

«Quando pensi che tornerà tua sorella?» le chiese lui.

«Se lo chiedi perché ti preoccupa sapermi qui da sola...»

«Preferirei che stessi da sola perché così potrei dormire con te ogni notte. Se tu me lo permettessi.»

Glielo avrebbe permesso? Quella domanda mai pronunciata restò in sospeso tra loro, in attesa di risposta. Non poteva dire ciò che le suggeriva il cuore, perché era un convinto ed esultante. Eva cercò di mantenere il controllo e di non lasciarsi travolgere dal potere sensuale della presenza di Gareth. Pensa. Devi pensare, anche se non ti va.

«Non dovrebbe tornare prima di sabato, a meno che non abbia cambiato i suoi piani per qualche motivo.»

Gareth indicò la tela nuova. «Domani dovrò andare nel Derbyshire, ma poi proseguirò per Londra. Potresti venire con me. Dovresti vedere le opere d'arte che ci sono lì e in altri posti. Ormai sono arrivati i primi avventori della Stagione, perciò i parchi saranno pieni di vita.»

Eva non era mai stata a Londra, ma se l'era immaginata tante volte. Più grande di Birmingham e migliore sotto ogni aspetto: parchi enormi pullulanti di carrozze e persone eleganti, migliaia di negozi, edifici magnifici e... sì, arte ovunque. Le opere più belle realizzate dagli artisti migliori del mondo.

«Non ho gli abiti adatti per andare a Londra» ribatté.

«Troveremo una soluzione al problema.»

I capelli scompigliati gli ricadevano sulla fronte, dandogli un'aria un po' ribelle, ma furono gli occhi a catturare l'attenzione di Eva. Erano pieni di fascino, divertiti, ma anche sensuali. Erano gli occhi di un mascalzone, ma esprimevano anche tutta la gioia e le speranze di un ragazzino.

Pensa. Devi pensare prima di perdere la lucidità.

«Spero che tu non ti stia offrendo di comprarmi un intero guardaroba. Non potrei mai accettare.» Eva si alzò e si voltò verso le scale. «E non potrei mai visitare Londra senza Rebecca. Sai, è una vita che sogna di andarci.» Rifiutare quella proposta le costò moltissimo. Le avevano appena messo sotto il naso un cibo squisito, ma lei non poteva nemmeno assaggiarlo.

«Può venire anche lei. Scrivile oggi stesso e invita anche tua cugina. Vi farà da chaperon, così nessuno potrà dubitare che ci sia qualcosa di sconveniente in ciò che facciamo.»

Eva restò molto sorpresa dalla risposta di Gareth. «Sai, Sarah ci farà davvero da chaperon. Non prenderà il proprio compito alla leggera.»

«Non è mia intenzione sedurti a Londra, se è questo che temi, Eva. Voglio solo darti un po' del divertimento che ti ho promesso tempo fa.»

«Dunque accetti che la nostra relazione finisca quando andremo a Londra?»

«Certo, se è quello che vuoi. Se è vero che non ti aspetti niente da me, nemmeno io posso pretendere niente da te.»

Giusto. Il suo ragionamento non faceva una grinza. Eva si chiese se al mondo esistesse qualcuno con una visione altrettanto lucida e distaccata dei rapporti tra uomo e donna.

«Le scriverò e le chiederò di accompagnarci, ma non so se suo marito...»

«Può venire anche lui. Dille che presenterò al marito alcune persone importanti e informala che non avrete bisogno di alloggiare in albergo. Staremo tutti a Langley House.»

«Langley House?»

«La residenza di mio padre a Londra. Adesso è di mio fratello. Insomma, la residenza del Duca di Aylesbury.»

Eva lo fissò senza dire niente.

«Dunque è deciso» concluse Gareth, poi le rivolse un sorriso soddisfatto e si allontanò.