17

Su suggerimento di Gareth, decisero di andare al parco nell'ora della passeggiata. Sarah e Rebecca impiegarono un'infinità di tempo a prepararsi.

Eva attese in salotto mentre dalla stanza di Rebecca provenivano chiacchiere e risate. Oltre a farsi pettinare da una domestica e indossare la sua migliore mantella azzurra, lei non aveva fatto niente di speciale. Quando la sorella e la cugina uscirono dalla camera da letto, la guardarono con aria critica, poi si scambiarono uno sguardo complice.

«Oh, mi sono dimenticata una cosa!» esclamò Sarah, portandosi una mano alla fronte. «Vado a prenderla in camera mia.» Entrò nella stanza e poco dopo tornò indietro con un cappellino in mano. Era quello che Eva aveva provato nella modisteria di Birmingham. «Mi piaceva così tanto che l'ho comprato, ma sta molto meglio a te» le disse. «Perché non lo indossi oggi? Il nastro blu si abbina perfettamente alla tua mantella.»

«Sì, Eva, prendilo in prestito» la incoraggiò Rebecca.

Eva si tolse il cappellino e prese quello che le porgeva la cugina. Stavano facendo tante storie per nulla. Era Rebecca che doveva attirare l'attenzione di un potenziale marito, non lei. Eva voleva seguire una strada molto diversa, completamente dedita all'arte e non al matrimonio. Per diventare una vera artista aveva bisogno di indipendenza.

Quando si guardò allo specchio con quel cappellino, dovette però ammettere che le stava bene come ricordava. Nel riflesso vide sua sorella lanciare un'occhiata di sollievo a Sarah e capì che la cugina non le aveva prestato il cappellino per renderla più bella agli occhi di potenziali corteggiatori, ma solo perché lei e Rebecca si vergognavano di farsi vedere al parco con una persona vestita in maniera troppo semplice.

La porta si aprì ed entrarono Gareth e Wesley.

«Francia od Olanda?» stava domandando Wesley. «L'economia francese non si è ancora risollevata dopo la guerra.»

«Circola molto denaro lì, ma le industrie non si sono riprese, perciò potrebbe essere la scelta migliore. Tuttavia, dovete andare a vedere di persona come stanno le cose.»

Wesley si voltò verso la moglie. «Sei pronta, Sarah?»

«Non ti sembro più che pronta?» ribatté lei, facendo una piccola piroetta.

«Sì, pronta e bellissima, aggiungerei.»

Eva era d'accordo con lui. Sarah indossava un completo sui toni del verde e del giallo che metteva in risalto i suoi capelli rossi e un bel cappello inclinato, dal quale scendevano boccoli impeccabili.

L'abito di mussolina color primula di Rebecca era invece completamente trasformato grazie all'aggiunta di una mantella dello stesso colore. Il cappellino le dava un'aria innocente e metteva in risalto il suo bel visino.

«Sarò l'uomo più invidiato del parco» commentò Wesley, offrendo un braccio alla moglie e uno a Rebecca.

Eva venne invitata da un altro uomo. «No, quello sarò io» le sussurrò all'orecchio Gareth.

«Sono tutte così belle» disse Eva, voltandosi qua e là per guardare le signore nelle carrozze e lungo i sentieri del parco.

Gareth le camminava accanto, seguendo Wesley e le altre. «Più che belle, sono ricche» obiettò. «Un po' di seta, qualche belletto, un abito di sartoria e il gioco è fatto. Pura illusione.»

«Forse è così, ma alcune di loro sono davvero belle e lo sai anche tu.»

«Ogni donna è bella a modo suo, Eva.»

Lei sorrise timidamente e scosse la testa. «Sai come lusingare una donna, Mr. Fitzallen, questo è certo.»

«Sono troppo presuntuoso per negarlo. Mi viene naturale. Vorrei che ci fossero più uomini come me. Le lusinghe servono a oliare gli ingranaggi della società.»

«Quanta filosofia... Stai attento o chiederò a Rebecca di unirsi a noi e illustrarti il pensiero di tutti gli intellettuali della storia da Platone in poi su questa materia.»

Sua sorella, poco più avanti, aveva già attirato l'attenzione di molti uomini al parco. «Nel tempo trascorso in compagnia di Mr. Mansfield a Birmingham, tua sorella è riuscita a smorzare l'interesse del suo corteggiatore con questi discorsi?»

«Sarah teme di sì. Solitamente mia sorella non è affatto noiosa, perciò credo che lo abbia fatto di proposito. Sospetto che, quando ha ricevuto la visita del poetico Mr. Trenton, non abbia nominato neanche una volta Platone o Rousseau.»

«Le troverai marito entro un anno al massimo, ne sono certo, a meno che nel frattempo non cominci ad avere dei dubbi sul matrimonio.»

«Spero che tu abbia ragione. Non vorrei ritrovarmi come le sorelle Neville.» Gli parlò dei battibecchi delle due zitelle, imitando la voce tonante della maggiore e il cinguettio timido della minore, finché non cominciarono a ridere talmente tanto da non riuscire più a parlare.

«Quando Rebecca sposerà il gentiluomo perfetto che tu e Sarah sceglierete per lei, cosa farai?»

Gli occhi di Eva si accesero di gioia. «Ho intenzione di dedicarmi all'arte e migliorare. Hai detto che ho talento e lo pensa anche Jasmine Neville, ma ho ancora molto lavoro da fare per recuperare il tempo perso. Jasmine mi ha dato una lettera di presentazione per Mary Moser, riesci a crederci? Le scrissi quando ero ragazzina e lei mi rispose, perciò credo che sia una persona gentile, ma il pensiero di far visita a una pittrice così famosa mi rende nervosa.»

«Nella galleria di Langley House c'è un suo dipinto. Se vuoi, puoi studiarlo e rivolgerle qualche domanda in proposito.»

«Posso studiare anche le altre opere?»

«Passa tutto il tempo che vuoi nella galleria. Disegna pure, se ti va. Dirò alla governante di lasciare aperta la porta, tanto non credo che tu voglia rubarli, no?»

Eva gli lanciò un'occhiata strana, poi si mise a ridere. «Oh, cielo, certo che no. È vero che voglio dedicare la mia vita all'arte, ma non oserei mai mettere le mani sulle opere del Duca di Aylesbury.»

«Dato che hai promesso di fare la brava, vedrò se posso farti entrare anche nelle gallerie private di altre residenze.»

Un altro sguardo enigmatico.

Di colpo Rebecca si fermò, si girò e corse da Eva. «Nascondimi» la supplicò.

Eva prese la sorella per mano. «Ma che...?»

«Lui è qui. Che sfortuna.»

Gareth vide l'uomo che aveva causato la reazione di Rebecca e diede una leggera gomitata a Eva, indicandole Sarah e Wesley. Mr. Mansfield si era appena fermato a parlare con loro. Gareth dubitava che la sua presenza a Londra fosse una mera coincidenza.

«Non essere scortese» disse Eva alla sorella. «Sono sicura che tra un minuto se ne andrà.»

Si avvicinarono a Sarah, che rivolse loro un sorriso raggiante. «Guarda chi c'è, Rebecca.»

La fanciulla abbassò lo sguardo e salutò Mr. Mansfield con una piccola riverenza.

«Sarah ha sbagliato a farlo venire a Londra» mormorò Eva. «Rebecca è contrariata e non posso biasimarla.»

«Tua cugina è una donna molto ostinata.»

Non solo ostinata. Un attimo dopo Sarah dimostrò di essere più agguerrita di una madre dell'alta aristocrazia con una figlia in età da marito. In qualche modo – e Gareth non capì neanche come – Sarah riuscì ad allontanarsi di diversi passi insieme al marito, facendo in modo che Gareth ed Eva restassero indietro, e così Rebecca si ritrovò a chiacchierare con Mansfield da sola.

Indispettita com'era, però, la ragazza non aprì bocca.

«Oh, cielo, è molto, molto contrariata» sussurrò Eva.

«È un vero piacere passeggiare nella natura pur trovandosi in città, non è vero?» le chiese Mansfield.

«Forse chi abita in città lo trova piacevole, ma io vivo in campagna e per me non è niente di speciale» rispose Rebecca seccamente.

«Stare in mezzo alla natura è sempre un'esperienza gradevole e corroborante» replicò Mansfield. «Alcuni poeti e filosofi credono che, contemplando la natura, si possano vivere esperienze trascendentali.»

Eva strinse il braccio di Gareth. «Trascendentali?» mormorò, sbarrando gli occhi.

«Il nostro Mansfield ha fatto i compiti a casa» replicò Gareth sottovoce.

«In effetti è così» confermò Rebecca con il tono saccente di un'istitutrice. «È un'antica filosofia che sta tornando di moda. In passato ha avuto diversi momenti di popolarità, ma risale ai filosofi neoplatonici che scrissero subito dopo la caduta dell'Impero Romano. Uno dei maggiori esponenti di questa corrente era Dionigi l'Areopagita, le cui opere sono arrivate fino a noi e hanno destato un certo interesse nel XII secolo...»

Eva alzò gli occhi al cielo. Gareth finse di avvolgersi un cappio intorno al collo e tirarlo. Lei trattenne a stento una risata, poi finse di caricare una pistola con polvere e pallottola e puntarsela contro.

Godendosi la passeggiata molto più del povero Mr. Mansfield, Gareth ed Eva seguirono Rebecca e la sua dissertazione accademica sul Neoplatonismo nella storia.

Eva si preparò per la notte e poi si mise a leggere. Era felice di potersi godere il meritato riposo. Quel giorno si era comportata bene e poteva dormire sonni tranquilli.

Passeggiare con Gareth al parco era stato più difficile del previsto. Aveva sempre saputo che la loro relazione non sarebbe durata e che ogni giorno comportava dei rischi immensi, ma non si aspettava che chiuderla sarebbe stato tanto difficile.

Più si comportavano da buoni amici, infatti, più Eva lo vedeva come qualcosa di ben diverso da un amico... Se quel giorno lui l'avesse presa per mano e l'avesse trascinata via per fare di lei ciò che voleva, probabilmente non avrebbe avuto la forza di respingerlo.

In realtà Gareth non aveva fatto niente del genere né mostrato la minima tentazione di provarci. Sì, le aveva rivolto sguardi e sorrisi ammiccanti e aveva fatto qualche allusione ai momenti di passione condivisi, ma in generale sembrava che avesse accettato la fine di quella relazione e la loro amicizia ritrovata senza grandi problemi.

Nonostante fosse stanca, provò a concentrarsi sul libro che stava leggendo. Temeva che, quando si fosse messa a letto, si sarebbe trovata accanto il ricordo di Gareth, un fantasma che invadeva la sua mente e risvegliava il suo corpo, persuadendola che valesse la pena di correre qualunque rischio pur di tornare tra le braccia di quell'uomo in carne e ossa.

Qualcuno bussò alla porta, facendola sobbalzare. Fissò l'ingresso dell'appartamento con la solita trepidazione con cui attendeva l'arrivo di Gareth. Doveva rimproverarlo per aver infranto la promessa. Doveva mandarlo via. Eppure il suo cuore la implorava di aprire la porta, lasciarlo entrare e spazzare via tutte le buone intenzioni con un bacio.

La porta si aprì appena. Eva strinse il libro così forte da farsi male.

Un volto si affacciò all'interno. «Eva?»

Sentì il cuore sprofondare nello stomaco. Non era Gareth, ma Rebecca.

La sorella vide che era ancora seduta sulla poltrona ed entrò. «Mi sono quasi persa, ma alla fine ho trovato la strada. Volevo parlarti in privato, senza Sarah nei paraggi.»

Eva le fece cenno di sedersi sul letto, accanto alla sua poltrona. Rebecca obbedì e spostò i lunghi capelli sciolti dietro le spalle. Indossava la camicia da notte senza vestaglia e aveva un'aria pura e innocente.

«Spero che tu non sia venuta a lamentarti di Mr. Mansfield. Sarah ci ha assicurato che non è stata lei a dirgli di venire a Londra.»

Rebecca corrugò la fronte. «Non ho mai pensato che fosse stata lei a invitarlo né che sia venuto in città per incontrare me. Per fare una cosa del genere dovrebbe essere almeno un po' poetico e invece credo che nel suo cuore non ci sia neanche un briciolo di sentimentalismo.»

Eva fu quasi tentata di difendere Mr. Mansfield, ma non lo fece. Era molto sorpresa che la sorella considerasse l'incontro di quel pomeriggio una coincidenza. A volte Rebecca peccava di ingenuità, malgrado fosse molto intelligente.

«Cos'hai lì?» le chiese. Rebecca aveva portato con sé un sacchetto molto simile a quello nascosto sotto le assi del pavimento di casa loro.

La giovane lo aprì e versò sul letto un bel gruzzolo di scellini. «Sono sessanta, ma te ne deve di più. Mi riferisco a Mr. Stevenson. Il giorno prima di lasciare Birmingham sono passata al suo negozio e i tuoi dipinti non c'erano più. Ha detto di averne venduto qualcuno. Stando a quanto dice, gli altri sono stati portati a casa di certi clienti che stanno valutando se acquistarli o meno. Secondo me è una menzogna e credo che mi abbia dato questi soldi nella speranza di prendere tempo prima di pagarti il dovuto.»

Eva allungò una mano e impilò le monete. «Hai detto a Sarah dei dipinti?»

Rebecca scosse la testa. «Ci trovavamo in un negozio di quella strada e le ho detto che uscivo a prendere una boccata d'aria, poi sono corsa da Mr. Stevenson.»

«A chi ha venduto gli ultimi dipinti?» Il denaro sul letto bastava a pagarne tre, ma lei gliene aveva portati nove.

«Li ha presi quel commerciante d'arte di Londra. Ecco perché credo che Mr. Stevenson abbia mentito. L'altra volta ha detto che quell'uomo avrebbe comprato tutto ciò che riuscivi a dipingere. Mr. Stevenson gli avrà scritto subito per informarlo che aveva delle nuove opere da vendergli.»

Ammirarono gli scellini in silenzio per un po'. Eva si sentì quasi ricca.

«Un vero colpo di fortuna, Rebecca.»

«Peccato che non possa continuare. Forse dovresti dire a Mr. Fitzallen che hai usato i suoi dipinti per riprodurli. Ora siete amici e forse ti permetterà di prenderli ancora in prestito.»

«Non li ho presi in prestito. Un prestito presuppone l'autorizzazione del proprietario. Io li ho rubati. Il fatto che poi li abbia restituiti in parte redime il mio peccato, ma si tratta pur sempre di furto. E poi dovrei confessargli anche delle sedie. Quello è stato un furto vero e proprio, nonostante abbia sempre cercato delle giustificazioni per farlo sembrare altro.»

«Probabilmente dovresti omettere il fatto delle sedie.»

«Per come sono fatta, o confesso tutto o niente. Se gli rivelo di aver preso dei dipinti, perché poi dovrebbe credere che li abbia restituiti, considerando che da casa sua è scomparso di tutto? Se cominciasse a sospettare di me, non potrei biasimarlo. È ragionevole credere che una persona che prende le cose degli altri, anche se per poco tempo, possa dimenticarsi di restituire il maltolto.»

Rebecca sfiorò gli scellini. «Se facciamo economia, questi risparmi ci basteranno per mesi, ma prima o poi finiranno. Che cosa faremo allora?»

Eva sperava che per quel momento Rebecca si fosse già sposata e potesse contare sul sostegno del marito. In teoria, il marito in questione non avrebbe permesso nemmeno che la sorella della moglie vivesse in povertà, ma l'idea di diventare un peso per loro non le piaceva affatto. Non aveva intenzione di dipendere dagli altri ora che Mr. Stevenson aveva trovato una fonte di guadagno tanto sicura.

«Non devi preoccuparti. Forse ho trovato una soluzione» disse. «Miss Neville mi ha dato il permesso di copiare i loro dipinti. Si tratta di diversi paesaggi molto belli. Credo che il compratore di Londra li apprezzerà.»

Rebecca parve rasserenarsi. «Ma è meraviglioso! Sono felice che tu stia facendo amicizia con le sorelle. Ero sicura che, conoscendole meglio, ti sarebbero piaciute.» Si alzò e andò alla porta. «Studierò tutte le botteghe di arte che incontreremo mentre siamo qui. Credo che Mr. Stevenson guadagni molto più di quanto vuole farti credere, con i tuoi dipinti. Se potessi contrattare direttamente con quel compratore, otterresti cifre più alte.»

Anche Eva lo pensava ed era proprio per quello che Mr. Stevenson non le avrebbe mai rivelato il nome del compratore. Rebecca voleva trovarlo durante il loro soggiorno a Londra, ma la città era molto grande e pullulava di commercianti d'arte. Probabilmente sarebbero tornate a Langdon's End senza conoscere il nome dell'uomo.

Il giorno seguente Gareth portò i suoi ospiti al British Museum. Fu un'uscita istruttiva, ma stancante. Solo Rebecca se la godette appieno fino alla fine e Gareth sospettava che avrebbe chiesto di restare più a lungo se Sarah non si fosse lamentata continuamente perché le facevano male i piedi.

Eva osservò con grande attenzione le opere d'arte, soprattutto le statue greche. Sarah fece diverse battute piuttosto esplicite su quanto quei nudi maschili dovessero risultare istruttivi agli occhi delle sue innocenti cugine. Eva sorrise serenamente di quella presa in giro e studiò molto da vicino le sculture. Lanciò solo un'occhiata furtiva a Gareth per fargli capire che trovava le allusioni di Sarah molto divertenti.

Il maggiordomo prese Gareth da parte non appena rientrarono in casa.

«Sarebbe meglio se portaste i vostri ospiti nella sala delle visite o della colazione, signore» gli disse. «Il duca e Lord Ywain sono arrivati mentre eravate al museo e ora si trovano in biblioteca. Con loro c'è anche il Conte di Whitmere.»

«Allora accompagnate i miei ospiti nella sala delle visite e servite loro qualcosa da bere. Io li raggiungerò dopo aver salutato i miei fratelli.»

Lance e Ives erano sdraiati sui divani della biblioteca e indossavano ancora la tenuta da equitazione. Anche Lord Whitmere, un vecchio amico di Lance, sembrava venire da una lunga cavalcata.

«Immaginate la mia sorpresa quando ho incontrato questi due lungo la strada» disse Whitmere, dopo i consueti saluti. «Un curioso colpo di fortuna.»

Biondo, alto e aitante, in un primo momento Whitmere sembrava fare da contrappunto luminoso alla figura oscura di Lance. Purtroppo, però, era solo un'impressione ingannevole. Di solito lui e Lance si incontravano durante le loro serate balorde. Se era stato davvero il destino a unirli, non si trattava di un buon presagio.

«Te l'avevo detto che sarebbe voluto venire a Londra, Gareth» commentò Ives, indicando Lance. «E infatti eccolo qui, in tutto il suo splendore ducale.»

«Ebbene sì» confermò Lance con aria svogliata. «Gareth, ti prego, spiega a Ives che devo partecipare alla Stagione se non voglio far pensare agli altri che mi stia nascondendo a Merrywood schiacciato dai sensi di colpa.»

«In effetti questo è un ottimo argomento, Ives» convenne Gareth.

«Siamo in lutto stretto. Sono l'unico che non l'ha dimenticato?»

«Indosserò una fascia da lutto al braccio e ballerò poco» rispose Lance.

Ives scosse la testa. «Non sarei così preoccupato se l'ultima volta che siamo venuti in città non avessimo rischiato un duello per proteggere il suo nome, Gareth.»

Lance si strinse nelle spalle. «Se dovesse accadere di nuovo, mandate da me il colpevole. Nessuno di voi due deve combattere al mio posto. Sarò felice di occuparmene da solo.»

«Anche troppo felice» commentò Ives, fissando insistentemente Gareth.

Non c'era bisogno che Ives lo mettesse in allarme, perché il pessimo aspetto di Lance parlava da solo. Se erano venuti a cavallo, non avevano portato i loro valletti e, se non c'era un valletto a fargli la barba, Lance non perdeva tempo a rasarsi da solo. Infatti, una barba folta gli copriva la parte inferiore del viso e la cicatrice sembrava un ruscello in mezzo a una foresta. Le palpebre pesanti e scure forse erano dovute all'alcol... o peggio.

In effetti, il nervosismo di Ives lo induceva a pensare che si trattasse del peggio. A volte Lance attraversava dei momenti di crisi. Il padre definiva quei periodi la malinconia, ma quella parola non rendeva l'idea della sua condizione. Lance non sprofondava nella tristezza o nell'ansia, durante le crisi. Piuttosto, diventava beatamente indifferente a tutto e tutti e mostrava una noncuranza pericolosa nei confronti della sua stessa vita. Quando si trovava in quello stato, era davvero felice di scontrarsi a duello.

Whitmere osservò Lance, traendo le dovute conclusioni. Di certo pregustava già qualche settimana di serate intense in compagnia del vecchio amico.

«Immagino che Ives ti abbia parlato degli ospiti che ho portato qui» disse Gareth.

Lance annuì a malapena. «Un commerciante di Birmingham con la moglie e le sue due cugine.»

«Non preoccuparti, non ti daranno alcun disturbo. Probabilmente non li incontrerai mai. Alloggiano al terzo piano, lontano dalle stanze di rappresentanza e dai tuoi appartamenti.»

«Non è un problema incontrarli, anzi, visto che sono qui dovrei andare a salutarli. In fondo questa è casa mia.» Il duca si alzò. «Dove sono?»

«Possono aspettare, ora non sei presentabile» obiettò Ives. «Sembri un bandito.»

«No, esigo di conoscerli subito» replicò Lance, fissando Gareth con aria interrogativa.

«Sono nella sala delle visite» lo informò questi.

Così i tre fratelli salirono al piano di sopra, seguiti da Whitmere. A ogni passo, Lance si faceva sempre più vivace, il che era un pessimo segno. Gareth cominciò a prepararsi il discorso con cui più tardi avrebbe spiegato ai suoi ospiti che il fratello non stava bene.

Presentare un duca, un conte o un qualsiasi titolato a delle persone di rango inferiore senza alcuna introduzione formale era terribilmente inopportuno. Infatti, Gareth si trovò ad annunciare il trasandato e irsuto Duca di Aylesbury a tre persone che lo fissavano a bocca aperta. Wesley bofonchiò qualche parola senza senso. Sarah e Rebecca farfugliarono dei saluti incoerenti. Soltanto Eva riuscì a reagire normalmente.

A peggiorare le cose, Lance decise di fare la parte del bravo padrone di casa, Dio solo sapeva perché. Invitò le signore a sedersi e si unì a loro. Anche Wesley si accomodò. Gareth e Ives, invece, rimasero in piedi. Ives continuava a lanciare occhiate allarmate a Gareth per fargli capire che anche il fratello di sangue del duca trovava quella situazione quanto mai inopportuna.

Dopo aver posto un paio di domande generiche sull'attività di Wesley, Lance intrattenne gli ospiti per dieci minuti con chiacchiere di circostanza, poi si alzò, si congedò e uscì. Mentre passava accanto a Gareth, gli chiese di raggiungerlo di nuovo in biblioteca. Whitmere seguì il suo caro amico e Ives indugiò qualche istante per porgere i suoi saluti agli ospiti prima di andarsene.

In biblioteca, Lance prese la bottiglia di whisky e versò tre bicchieri. Ne diede uno a Gareth e uno a Whitmere, poi si scolò il terzo in un sorso solo.

«La più giovane è molto bella, una perla rara, ma troppo innocente. Non va bene.»

«No, assolutamente» convenne Whitmere.

«Non va bene per cosa?» chiese Ives, entrando.

Lance si strinse nelle spalle e tornò a sdraiarsi sul divano.

Gareth lo guardò con aria minacciosa. «Non va bene per cosa?» ripeté.

Lance sbadigliò. «Sarebbe meglio se portassi con me una signora al ballo di DeVere la prossima settimana, in modo da mettere in chiaro che le voci sul mio conto non mi scalfiscono minimamente. Ho pensato che una delle tue ospiti potrebbe fare al caso mio, perché non sono dell'umore di sopportare la compagnia delle donne che frequento di solito. Come ho già detto, però, la ragazza è troppo giovane. Darei adito a chissà quali pettegolezzi e potrei ritrovarmi a dover prendere degli impegni che non voglio nei suoi confronti.»

«Forse non sono stato chiaro, Lance: tu non andrai a nessun ballo» intervenne Ives. «Sei in lutto stretto.»

«E, se anche ci andassi, non porterai mai con te una delle mie ospiti» aggiunse Gareth. «Nessuna di loro va bene. Non sono adatte a te.»

«Bell'amico che siete, Fitzallen» intervenne Lord Whitmere. «Negare un ballo a quelle adorabili signore... Non ne saranno affatto felici.»

Lance parve perdere interesse nella conversazione e chiuse gli occhi.

Ives fece un cenno a Gareth. «Lasciamolo dormire. Andiamo in giardino e stabiliamo gli orari dei nostri appuntamenti.»

«Potrei portare l'altra con me.» Il commento di Lance, poco più che un sussurro, bloccò Gareth all'istante.

«Ti riferisci a Mrs. Rockport?» gli chiese.

«No, l'altra cugina. Eliza... Edith...»

«Eva. Miss Russell, per te.»

«Bel nome. È molto carina, a modo suo. Sicura di sé. Ha dei begli occhi.» Il duca si tirò su. «Ecco cosa faremo, Whitmere: tu porterai la ragazza e io la sorella maggiore.»

«Ottima idea, ma poi dovrai concedere anche a me un po' di tempo con la sorella maggiore. Sembra matura al punto giusto e durante la Stagione ho sempre bisogno di un po' di compagnia.»

Al solo sentire la parola compagnia, Gareth venne preso da istinti omicidi. Si avvicinò a Whitmere con fare minaccioso e disse: «Se quelle signore non vanno bene per mio fratello, di certo non sono adatte neanche a voi. Per avere la loro compagnia dovete chiedere a me il permesso, e io ve lo sto negando. Non mi scontro con un conte da diversi anni, ma sono pronto a farlo, perciò non dubitate della mia determinazione». Si voltò. «Ives, chi è l'ultimo conte che ho battuto? Mi sfugge il nome.»

Il fratellastro si grattò la testa, riflettendo. «Allora, vediamo... Non il visconte né il barone, ma l'ultimo conte... Ah, sì! Era il Conte di Whitmere, se non sbaglio? Un mattino d'estate sulla riva del lago Serpentine.»

Whitmere spostò le gambe, strinse le labbra e fece di tutto per non guardare Gareth negli occhi.

«Non lasciarti intimidire da lui, Whitmere» gli disse Lance. «Quella volta ti sfidò solo perché ti eri preso troppe libertà con la sua amante, ma le nostre ospiti sono solo amiche. Non arriverà a tanto per loro.»

Whitmere guardò Lance con aria dolente.

«Per quanto ti riguarda» disse Gareth a Lance, «se sei davvero determinato a far parlare di te andando a quel ballo, ti consentirò di danzare solo una volta con ognuna delle nostre ospiti, a patto che tu sia sobrio, ben vestito e pettinato.»

Lance emise una risata divertita. «Parli come un istitutore. Non sembra anche a te, Whitmere?»

«O come un prete. Che cosa c'è, volete sfidarmi anche per questo? Per Dio, sarei quasi tentato di... di...» Alla fine il conte tacque e smorzò i bollenti spiriti con il brandy.

«Non ho voglia di discutere con Gareth per due campagnole che conosco appena e che lui, chissà perché, ha deciso di proteggere. Io e te troveremo qualcosa di meglio di quel ballo.»

Whitmere sbarrò gli occhi, incredulo. «Fino a un attimo fa ero convinto di dover portare al ballo una perla di ragazza e sua sorella e ora mi dici che non ci andremo affatto?»

Lance cominciò a elencare tutte le attività più divertenti che potevano intraprendere anziché andare al ballo. Ives lanciò un'occhiata a Gareth e si avviò verso il terrazzo. Lui lo seguì, fingendo di non sentire i discorsi di Lance su un ipotetico scherzo riguardante la carrozza di un altro duca e una gran quantità di sterco di cavallo.

«Che ti è preso?» gli chiese Ives quando uscirono in giardino. «Non dico che sembrassi un istitutore, ma all'improvviso ti sei innervosito molto.»

Gareth non aveva idea del perché avesse reagito così. Sapeva solo che sentire Lance e Whitmere parlare di Eva lo aveva mandato fuori di testa. Aveva ancora una gran voglia di colpire qualcosa per la rabbia.

«Non mi piacevano tutti quei discorsi su chi delle ragazze andasse bene o meno. Sai come sono quei due quando stanno insieme e Lance è in uno dei suoi momenti critici. Ho delle responsabilità verso quelle donne.»

«Certo.»

«Non hanno bisogno di Lance e di Whitmere per partecipare al ballo. Lady DeVere manderà un invito personale a Miss Russell» spiegò Gareth al fratello.

«Sei stato tu a organizzare tutto? Le farà piacere, anche se la prospettiva di arrivare al ballo da sola potrebbe scoraggiarla dall'accettare.»

«La accompagnerò io. A differenza di te e Lance, io non devo fingere di essere in lutto.»

«Whitmere potrebbe partecipare comunque, malgrado Lance speri di portarlo con sé nelle sue scorribande. Spero che non farai una scenata se dovesse chiedere a Miss Russell di ballare. È evidente che l'ha colpito molto.»

«La informerò che le intenzioni di Whitmere non sono onorevoli, ma non farò una scenata.»

Ives scoppiò a ridere. «Dannazione, sembri davvero un prete. Da dove vengono tutte queste idee sulle intenzioni onorevoli?» Continuò a sorridere, ma il suo sguardo si fece penetrante. «Cosa c'è fra te e quella donna? È la tua amante?»

Era una domanda davvero difficile e, soprattutto, inaspettata. «No.» Era la verità. Non era più la sua amante, anche se il suo corpo si rifiutava di accettare quel cambiamento.

«Allora forse dovresti lasciarle la libertà di trarre le sue conclusioni sul conto di Whitmere. Mi sembra una donna intelligente e matura. È improbabile che non capisca quali sono le intenzioni del conte.»

Gareth era ancora arrabbiato, ma non più come prima, quindi cercò di pensare ad altro. «Dimmi che impegni abbiamo, così mi organizzerò in modo che i miei ospiti abbiano qualcosa da fare mentre tu e io siamo via.»