Eva infilò la lettera di presentazione nella borsetta, poi si avviò verso il salotto di Sarah. Quel giorno sarebbero usciti ognuno per conto suo. Gareth aveva delle faccende da sbrigare con Lord Ywain, perciò non li avrebbe accompagnati in città.
Avevano deciso di cogliere l'occasione per dedicarsi ai propri interessi. Wesley doveva incontrare alcuni uomini d'affari di sua conoscenza. Sarah sarebbe andata a fare acquisti insieme alla sua cameriera. Rebecca aveva deciso di accompagnare Eva a far visita a Mary Moser, la pittrice che ammirava tanto.
«Prendete voi la carrozza» disse Sarah, appena Eva entrò nel suo appartamento.
«Ma tu avrai molti pacchetti da riportare a casa. Io e Rebecca chiederemo a un lacchè di trovare una vettura a nolo.»
«D'accordo, ma solo se promettete di stare attente e allontanare qualunque giovane provi ad avvicinare la nostra gemma rara» rispose Sarah, sorridendo a Rebecca. «La noteranno tutti, come sempre, e forse qualcuno le rivolgerà sguardi troppo audaci.»
«Saprò come difendermi, Sarah» le assicurò Rebecca. «Non vedo granché di interessante nei ragazzi che girano per strada.»
«Di certo non sono uomini di spessore come Mr. Mansfield» commentò la cugina, legandole il cappellino sotto il mento.
«E non hanno l'animo artistico di Mr. Trenton» ribatté Rebecca.
Sarah scosse la testa, esasperata, poi si guardò intorno in cerca della borsetta. «Ma dove ho messo...?»
Venne interrotta da un visitatore che bussò alla porta. La cameriera di Sarah si affrettò ad aprire. Era il lacchè che portava un biglietto. La cameriera di Sarah lo prese e lo consegnò a Eva con aria sorpresa.
Eva studiò la lettera. Non aveva mai visto niente del genere. La carta era pregiatissima: spessa, pesante e ricca, con una superficie così morbida da sembrare di velluto e decorata da un grande stemma elaborato. Rebecca e Sarah la raggiunsero alle spalle ed Eva aprì il foglio.
Una mano dalla calligrafia perfetta aveva scritto un invito personale per Miss Russell al ballo del Conte e della Contessa DeVere, la settimana seguente.
«Be', mi sembra...» farfugliò Sarah, incredula. «Credi che si tratti di un errore? Forse l'invito è per Rebecca.»
«No, non c'è nessun errore» rispose Rebecca. «Una contessa non può non sapere che, se l'invito è indirizzato a Miss Russell, verrà recapitato alla sorella maggiore.»
Eva non ne era certa. L'ipotesi dell'errore le sembrava più sensata di un invito diretto a lei.
«Devi andarci» decise Rebecca.
«Non so, forse non mi va di farlo. Non ha senso che mi abbiano invitato a un ballo. Non conosco queste persone e loro non conoscono me.»
«In tal caso, qualcuno ha fatto in modo che ti invitassero» commentò Sarah. «Forse Mr. Fitzallen.»
«Se è così, devi assolutamente andare, Eva» insistette Rebecca. «Sarebbe scortese rifiutare dopo aver approfittato tanto della sua ospitalità. E poi è un ballo a casa di un conte!»
«Ma non saremo più a Londra martedì prossimo.»
«Be', mi pare ovvio che i nostri programmi sono appena cambiati» osservò Sarah. «Proprio non so cosa indosserai... Ho portato un abito da sera, ma, pur cercando di modificarlo e migliorarlo, non sarà mai all'altezza di una simile occasione.»
Lo stupore di Eva venne attraversato da una punta di risentimento.
Gareth sapeva che il suo guardaroba non era adatto a serate del genere. Non poteva certo andare a un ballo con la sua mantella blu.
Si alzò, aggiustò il cappellino e si infilò i guanti. «Deciderò più tardi cosa fare. Non posso pensarci ora. Vieni, Rebecca, andiamo.»
«Cercherò una sartoria che realizzi consegne urgenti» gridò Sarah alle loro spalle, mentre raggiungevano le scale. «E poi girerò qualche negozio in cerca di merletti e decorazioni.»
«Quante complicazioni assurde» borbottò Eva, contrariata.
La casa di Upper Thornhaugh Street era modesta ma graziosa. Eva consegnò il biglietto da visita e la lettera di Miss Neville alla domestica che aprì la porta, poi lei e Rebecca rimasero in attesa a lungo prima che la ragazza tornasse.
«La signora vi riceverà, ma non potrà dedicarvi molto tempo.»
A ogni scalino che saliva, Eva si sentiva sempre più emozionata. La domestica non le portò in un salotto o in biblioteca, ma in una camera da letto. Una donna anziana era seduta su una grande poltrona, accanto al letto, e aveva una coperta sulle gambe. Bastava uno sguardo a capire che era inferma, certezza confermata dall'odore inconfondibile della malattia, più intenso perfino del profumo dell'aria di primavera che entrava dalla finestra.
La domestica sistemò due sedie vicino alla poltrona della signora. La donna sollevò lo sguardo dalla lettera di Miss Neville e rivolse a Eva un sorriso triste. «Benvenuta, Miss Russell. Chi è la vostra accompagnatrice?»
Eva si sedette e presentò Rebecca a Mary Moser, una delle due sole donne mai nominate membri della Royal Academy of Arts in tutta la sua storia, nonché fondatrice di quell'istituzione. Anche se, dopo aver avuto successo come pittrice, si era sposata, tutti si riferivano a lei utilizzando il suo cognome da ragazza.
Mary studiò Rebecca con le palpebre socchiuse. «Molto bella. Dite, bambina, siete venuta in città per far morire gli uomini di crepacuore durante la Stagione?»
Rebecca scosse la testa. «Siamo venute per vedere le opere d'arte e le bellezze della città. Non vorrei mai far morire nessuno di crepacuore e spero vivamente che la mia intelligenza e il mio carattere risultino interessanti quanto il mio volto agli occhi di un uomo.»
Mary rise e agitò la lettera. «Credo che Jasmine ti abbia influenzato molto, mia cara. Come se la cava nella sua dimora di campagna? Ha terrorizzato tutti con le sue opinioni stravaganti?»
«Diciamo pure che è piuttosto originale» rispose Eva. «Le siamo entrambe molto grate per la sua generosità.»
«Mi scrive che voi siete un'artista. Con chi avete studiato?»
«Con un'istitutrice di talento, ma lavoro per conto mio. Credo di essere migliorata nel tempo. Ho realizzato molte riproduzioni di dipinti pregevoli e Miss Neville mi ha messo a disposizione la sua collezione privata per continuare i miei studi.»
Mentre Eva parlava, un sorriso educato incurvò le labbra di Mary. Era la tipica espressione di chi ascolta un discorso noioso.
«Di certo non vi ricorderete di me, ma otto anni fa vi ho scritto una lettera» disse Eva.
«E io vi ho risposto?»
«Sì, e mi avete dato molti consigli. Mi avete avvertito che per una donna è molto difficile fare la pittrice, che il matrimonio avrebbe compromesso la mia carriera e che non avrei potuto ricevere la giusta istruzione.»
«Davvero ho scritto queste cose? L'ultima parte è vera. Il disegno dal vero, per esempio, non ci è concesso. È opinione comune che le donne siano troppo pudiche per realizzare dei nudi dal vero, soprattutto del corpo maschile. Tutte sciocchezze, ovviamente. Se non ci si esercita con rigore in questo genere di studi, le figure sembreranno sempre delle bambole di pezza. Per quanto riguarda la prima parte... non vi pare un consiglio un po' bizzarro dal momento che mi sono sposata?»
«Confesso che all'epoca non sapevo che foste sposata.»
Lei appoggiò la testa alla poltrona e chiuse gli occhi. «Dopo poche settimane dalle nozze, capimmo entrambi di aver commesso un errore. Riuscimmo a sopravvivere solo grazie ai nostri amanti. In ogni caso, compii quel passo piuttosto tardi, quando avevo già ottenuto tutto ciò a cui aspiravo come artista.» Sollevò la testa e guardò Eva negli occhi. «Voi non siete sposata. Avete rinunciato al matrimonio a causa dei miei consigli? Non vorrei trascorrere i miei ultimi giorni con un simile peso sulla coscienza.»
«Vi assicuro che la mia situazione non ha nulla a che fare con voi. In realtà, anni fa stavo quasi per sposarmi, ma alla fine non l'ho fatto. Le vostre parole mi hanno aiutato a concentrarmi sui vantaggi della mia posizione. Non ambisco a un successo straordinario come il vostro. Spero solo di poter migliorare fino a riuscire a riprodurre sulla tela o sulla tavola ciò che ho in mente.»
A quelle parole, Mary la osservò a lungo senza parlare, poi cominciò a tossire. La crisi divenne piuttosto violenta, tanto da scuoterle tutto il corpo. La domestica si avvicinò per aiutarla. Versò uno strano liquido in un bicchiere e glielo fece bere.
La medicina fece effetto subito. Mary si rilassò e lasciò ricadere la testa all'indietro. La domestica lanciò un'occhiata eloquente a Eva.
«Ora togliamo il disturbo» disse lei alzandosi. «Siete stata molto gentile a riceverci.»
Mary aprì gli occhi. «Sarete ancora in città per l'apertura dell'Esposizione?» biascicò con un filo di voce.
«Purtroppo ce ne saremo già andate per allora.»
«Peccato. Realizzate molte copie dei dipinti di Jasmine e disegnate con costanza. E trovate un uomo disposto a posare nudo per voi, se possibile. Se, come dice Jasmine, avete talento, con il tempo migliorerete di sicuro. È un nobile obiettivo.»
«Vi ringrazio molto.»
Una volta uscite da casa di Mary Moser, Eva e Rebecca si fermarono.
«Credo che stia per morire» sussurrò Rebecca.
«Sì, lo penso anch'io.»
Si avviarono lungo la strada, avvilite.
Pian piano, però, il sole e la brezza primaverile le fecero riemergere dai loro pensieri tristi.
«Eva» la chiamò Rebecca a un certo punto con un sorrisetto sornione, «quali uomini di Langdon's End potrebbero posare nudi per te?»
Non appena si trovò in presenza della Duchessa di Devonshire, Gareth si rallegrò di avere accanto Ives. Chissà se anche il fratello pensava lo stesso di lui.
Si costrinse con una certa difficoltà a scacciare i pensieri che avevano occupato la sua mente per tutta la mattina e per gran parte della notte. Doveva strappare delle risposte alla duchessa usando il proprio fascino senza mostrare il malumore che lo aveva assalito. Essere uscito di casa senza vedere Eva, poi, non lo aveva aiutato. Non era abituato a provare gelosia e la cosa aveva un pessimo effetto sul suo umore.
Dire che la seconda moglie del duca era consapevole di ricoprire un ruolo di potere era un eufemismo. Sedeva in una posa regale su una poltrona blu, progettata appositamente per mettere in risalto la sua figura. Accolse il loro arrivo con lo stesso sguardo che una regina medievale avrebbe rivolto ai suoi servi. Considerando che Ives era il figlio legittimo di un duca e un nobile a tutti gli effetti, un simile atteggiamento richiedeva una buona dose di insolenza. Del resto, la signora si era fatta strada fino a quella poltrona grazie ad anni e anni di calcoli e strategie di successo.
Ives la salutò con il dovuto rispetto, ma senza eccessiva deferenza. A giudicare dal sorriso teso che gli rivolse, la duchessa avrebbe preferito maggiore ossequiosità.
«Siamo venuti a discutere di una questione che interessa personalmente il Principe Reggente» esordì Ives. «Forse voi potete aiutarci nell'indagine intrapresa per volontà del Principe.»
«Dopo una simile introduzione, immagino che non potrò negarvi il mio aiuto, qualora possa fare qualcosa per voi.»
«L'indagine riguarda alcuni oggetti conservati in una delle proprietà del vostro defunto marito, più precisamente la residenza a nord di Chatsworth. Ponendo qualche domanda alla servitù, mio fratello ha scoperto che voi potreste avere delle informazioni su questi oggetti.» Ives si voltò verso Gareth, esortandolo a intervenire.
Prima che potesse aprir bocca, la duchessa lo trapassò con uno sguardo feroce. «Voi dovete essere il bastardo.»
«Sì, infatti.»
«So che vostro padre e mio marito erano amici; la loro intesa si basava soprattutto sul fatto che entrambi avevano dei figli illegittimi. Conoscete il mio primogenito? Ha intrapreso una carriera in Marina. Stando a quanto si dice, la vostra vita ha preso una direzione molto diversa, invece.» Il sorriso malizioso sulle sue labbra diceva molto più delle parole che aveva appena pronunciato.
«Di tanto in tanto mi occupo di questioni meno piacevoli, come per esempio questa indagine.»
«Certo, l'indagine.»
Gareth le riferì tutto ciò che aveva scoperto sulla visita della duchessa nella dimora di Chatsworth dopo la morte del duca. Nonostante avesse fatto del suo meglio per non insinuare nulla di offensivo, alla fine del resoconto la gentildonna reagì con rabbia.
«Spero che non siate così avventato o così stupido da accusarmi di aver preso gli oggetti che state cercando.»
«Ci chiedevamo soltanto se gli uomini al vostro servizio fossero saliti in soffitta e, in tal caso, se poi vi avessero riferito qualcosa su ciò che vi avevano trovato.»
«Sì, sono saliti. In quella casa c'era un bellissimo tavolo italiano che non riuscivo più a trovare, così li ho mandati a cercarlo in soffitta. Non ricordo commenti in proposito. Cosa avrebbero dovuto dirmi?»
«Niente di preoccupante» rispose Ives. «Magari che avevano faticato a trovarlo perché la soffitta era piena di casse, per esempio. Oppure potevano essere rimasti colpiti dal fatto che la soffitta fosse quasi vuota.»
«Se hanno dovuto spostare delle casse, qualche commento sulla forma o il peso, se erano molto pesanti o stranamente leggere... Osservazioni del genere» suggerì Gareth.
La duchessa parve rifletterci con attenzione. «In effetti ci hanno messo molto e non hanno mai trovato quel tavolo. Uno di loro era arrabbiato perché si era graffiato una mano. Ho sentito che si lamentava con gli altri di quelle dannate scatole. Possibile che si riferisse alle casse di cui parlate?»
«È possibile» ammise Ives.
«Tra le cose che quegli uomini hanno recuperato per voi, c'erano dei dipinti?» Prima o poi qualcuno doveva chiederglielo e Gareth decise di tentare il tutto per tutto.
«Solo un'opera di Angelica Kauffmann che avevo sempre ammirato. Al duca non piaceva, così l'aveva relegata in soffitta e mi aveva detto che, se la volevo, era mia.»
Ives le rivolse un sorriso raggiante. «Siete stata molto generosa a dedicarci il vostro tempo. Ora vi lasciamo alle vostre occupazioni.» Una volta fuori, diede una pacca sulla spalla di Gareth. «Sei stato molto bravo. Stavo cercando un modo per chiederle quali dipinti aveva preso senza utilizzare esplicitamente il verbo prendere.»
«Il Kauffmann è nell'elenco? Ormai avrai reperito una lista delle opere scomparse, spero. Sarebbe davvero terribile se alcuni dei dipinti fossero appesi in bella vista in quella casa e noi non lo sapessimo.»
«Sì, finalmente ho ricevuto l'elenco e comunque no, non c'è nessun Kauffmann. Andiamo a bere qualcosa al Black Horse, così ti preparo per il tuo prossimo incontro.»
Il mattino seguente dovevano incontrare Mr. Clifford, il primogenito della signora con cui avevano appena parlato. A quanto pareva, Ives aveva deciso di non accompagnarlo all'appuntamento.
Si sedettero al Black Horse e presero una birra. Ives aprì una pergamena sul tavolo, scritta su entrambi i lati in tre colonne. La prima colonna elencava il nome degli artisti, la seconda i titoli o le descrizioni delle opere e l'ultima i nomi dei proprietari.
«Incredibile» commentò Gareth.
«Ti riferisci agli artisti?»
«No, ai proprietari. Vedo che il Principe Reggente non è nell'elenco. Credevo che questa fosse stata una sua idea, in parte.»
«Il Principe non vuole far sapere che la galleria di Brighton è stata svuotata per paura di un'invasione. Dato che l'invasione non c'è mai stata, qualche suo amico potrebbe considerarla una mossa sospetta.»
«A volte gli uomini sono delle vere capre.» Gareth bofonchiò quella verità mentre volgeva lo sguardo verso l'ingresso della taverna. «Ecco Lance. Gli hai detto tu di raggiungerci qui, vero?»
«Stamattina non aveva niente da fare, una circostanza che porta sempre guai.»
«Fra tutti gli uomini, lui è quello che ha meno bisogno di una balia, Ives. Smettila di stargli addosso.»
Ives agitò una mano per chiamare Lance. «Ieri ho temuto che le cose finissero male. Anche tu sei stato nervoso tutto il giorno.»
«E hai pensato che avessi voglia di bere una birra con lui? Per fortuna che sei un avvocato astuto.»
Appena lui ebbe pronunciato quella frase, Lance si sedette al loro tavolo.
«Almeno oggi ti sei degnato di raderti la barba» commentò Gareth. «Dato che non sembri un contadino appena arrivato dalla campagna, puoi sederti con noi.»
Ives gli lanciò uno sguardo severo per intimargli di calmarsi, ma Gareth non aveva nessuna voglia di accontentarlo.
Lance si toccò le guance. «Detesto farmi rasare. Stavo pensando di smettere e di lasciarmi crescere la barba. Magari diventerà di moda. Non la voglio lunga, ma appena visibile, come quella degli spagnoli.»
«Non sei un creatore di mode e tendenze e non lo sei mai stato, perciò nessuno ti imiterebbe e finiresti solo per sembrare un eccentrico. Nemmeno Ives si farebbe vedere in giro con te.»
Lance guardò il fratello. «È come dice lui?»
«Non farti crescere la barba» rispose Ives. «Ti prego.»
Lance fece una smorfia. «Se non posso nemmeno lasciar crescere la barba e indurre gli altri a fare lo stesso, a che mi serve essere un duca?»
«Devo elencare i vantaggi della tua posizione?» gli chiese Gareth. «Tanto per cominciare, d'ora in poi avrai a disposizione una quantità di denaro indecente.»
Lance gli rivolse un sorriso mortificato. «A volte dimentico che sei un figlio bastardo e che questo ha pesato molto sulla tua esistenza, Gareth.»
La rabbia scatenata dalla pedanteria di Lance si placò un po' di fronte a quelle parole di affetto fraterno, sebbene Gareth non volesse affatto calmarsi.
Lance prese la pergamena e la lesse. «Per caso qualcuno vuole organizzare una mostra?»
Ives gli ricordò la faccenda dei dipinti scomparsi. «Io e Gareth stiamo indagando su questo mistero.»
«Ah, certo.» Lance socchiuse le palpebre e studiò i nomi degli aristocratici derubati. «Che codardi.»
«Cercavano solo di proteggere i loro averi più preziosi» obiettò Ives.
«Quindi i francesi potevano prendersi i loro cavalli, le loro mogli, le figlie e i servitori, ma non i dipinti?»
«Immagino che mogli, figlie, servitori e cavalli sarebbero stati allontanati subito dopo l'arrivo dei francesi» osservò Gareth. «Perdonami se ho cambiato l'ordine del tuo elenco. Sono sicuro che hai messo per primi i cavalli per puro caso.»
«Al diavolo l'ordine in cui li ho messi! È stato un gesto ignobile, considerando che nel frattempo contadini e pescatori si apprestavano a sacrificare la loro vita per salvarli. Loro non potevano mandare un bel niente al nord, figurarsi i dipinti.»
Ives avvicinò a Lance il bicchiere, incoraggiandolo a bere. Gareth ragionò su quello sfogo rabbioso.
«Mi sorge un dubbio» disse infine. «Finora abbiamo dato per scontato che le opere siano state rubate per trarne un guadagno da ladri esperti o da un collezionista pazzo. E se invece fossero stati presi per infliggere una punizione ai proprietari? Forse qualcuno a conoscenza del piano provava lo stesso rancore di Lance e ha fatto in modo che i lord si pentissero della loro decisione.»
«Considerando il malcontento che regnava nel nostro paese all'epoca, non possiamo escluderlo» commentò Ives. «I primi da controllare sono gli aristocratici che hanno una residenza sulla costa, ma che non compaiono in questo elenco.»
«Lascerò che sia tu a parlare con loro, se non ti dispiace» replicò Gareth. «Io non potrei mai sollevare l'argomento senza risultare offensivo e non ho nessuna intenzione di morire al tuo posto.»
Lance indicò la pergamena. «Siete entrambi così seri... Prima pensate che sia un furto, poi un gesto dimostrativo. Vi sfugge il movente più verosimile.»
Ives inarcò le sopracciglia, incuriosito.
«Si è trattato di uno scherzo» spiegò Lance. «Non vedete il lato comico della vicenda? Tutte queste accortezze per mantenere il segreto assoluto su dei dannati dipinti... C'era una guerra in corso e i nobili sprecavano energie per una questione del genere? Io credo che un gruppetto di facinorosi abbia deciso di fare sparire quei dipinti per divertirsi un po'.» Scoppiò a ridere e batté una mano sulla pergamena. «Pensate alle loro facce quando hanno scoperto che le opere erano scomparse. Ehm, no, Napoleone non ha rubato i vostri dipinti, ma l'ha fatto qualcun altro al posto suo. Scusate tanto, milord.»
Ives guardò Gareth, poi Lance, che continuava a sorridere divertito.
Gareth capì subito cosa stava pensando Ives. Lance era sempre stato uno scavezzacollo.
«Lance» disse Ives in tono pacato. «Ti prego, dimmi che non hai pensato a questo scherzo dieci anni fa e...»
«Se fosse così, ora riderei come un pazzo nel vedere voi due che correte su e giù per l'Inghilterra in cerca di quelle opere. Ah, aspettate... In effetti, sto ridendo.» E scoppiò in una risata fragorosa.
Ives abbassò le palpebre. «Non è affatto divertente, Lance. Te lo chiedo di nuovo...»
«Tu che ne dici?» lo interruppe Lance con uno sguardo sorridente ma quasi diabolico.
Gareth capì che Ives stava per perdere la calma. «Dannazione! Se sai qualcosa, dillo subito a Ives. Smettila di fare l'idiota.»
Lance non apprezzò quell'intervento. Del resto, quale duca lo avrebbe accettato? Figurarsi poi se, oltre a essere un duca, era anche un ribelle. Tuttavia, finalmente smise di prenderli in giro.
Ricominciò a studiare la pergamena, poi la gettò sul tavolo. «Non mi è mai venuto in mente di dare una bella lezione a questi signori e me ne dispiaccio molto.»
«Lo giuri?» insistette Ives.
«Devo giurarlo? La tua richiesta mi offende.»
«Ultimamente ti comporti in modo strano.»
Lance gli lanciò un'occhiata torva, poi scrollò le spalle. «Va bene, giuro che non ho niente a che fare con questa storia e che non ne so niente.»
Ives fece un sospiro di sollievo, poi si rivolse a Gareth. «Ora, a proposito dell'incontro di domani con Clifford: devi affrontare l'argomento in maniera diretta. È stato in Marina, quindi non è un tipo da giri di parole. Prima o poi dovremo porgli quelle domande, perciò non ha senso rimandare.»
«Perché interrogherà Clifford?» chiese Lance.
«Perché Gareth è molto bravo quando si tratta di discorsi da uomo a uomo ed è ciò che serve in questo caso.»
«Da bastardo a bastardo, vorrai dire» lo corresse Lance. «Lo conosci già?»
«L'ho incontrato diverse volte» rispose Gareth.
«La sua situazione è terribile. Immagina che la tenuta di Aylesbury fosse almeno tre volte più grande di quanto è in realtà e che, pur essendo figlio dei miei stessi genitori, tu non potessi ereditarla perché hai avuto la sfortuna di nascere quando tua madre non era ancora la moglie del duca. Da secondogenito, ho assaggiato anch'io l'amaro calice che Clifford beve tutti i giorni ed è davvero disgustoso.»
«Sono sicuro che Clifford si sia adattato alla situazione» disse Ives. «E anche Gareth lo avrebbe fatto.»
Gareth finse di essere d'accordo con lui, ma la verità era che conosceva bene quell'amarezza. Tutti i figli bastardi di un nobile la conoscevano. Di solito non si soffermava troppo a riflettere sulla sua sorte, ma a volte i tanti bocconi amari mandati giù lasciavano in bocca un sapore acre.
«Miss Russell ha accettato di andare al ballo?» gli chiese Lance con noncuranza. «Ives ha detto che le hai procurato un invito e che vuoi accompagnarla personalmente.»
Gareth lanciò un'occhiataccia a Ives, che finse di non accorgersene. «Non ero con lei quando ha ricevuto l'invito, perciò non so cosa ne pensa.»
«Non ci andrà» dichiarò Lance. «Vorrebbe farlo. Qualunque donna lo desidererebbe. Ma lei non ci andrà.»
«Come fai a saperlo?»
«L'ho capito appena l'ho vista. Non importa chi la accompagnerà o se dovrà andare da sola, non si presenterà mai al ballo. Non ha né l'abito né il copricapo adatti a una simile occasione. Ci scommetto quello che vuoi.»
Gareth lo osservò senza dire niente. Lance aveva ragione. Eva non aveva il guardaroba adatto e questo l'avrebbe dissuasa dall'accettare l'invito. Avrebbe dissuaso qualunque donna.
Lance inarcò un sopracciglio. «Naturalmente potresti regalarle tu un bell'abito da sera. C'è ancora tempo. Un gesto del genere, però, non è privo di implicazioni e dubito che lei non se ne renda conto, perciò non accetterà il regalo.»
No, non avrebbe accettato. Aveva già rifiutato, la prima volta che le aveva proposto di venire a Londra.
Lance era molto compiaciuto di aver inquadrato alla perfezione la faccenda, ma sembrava anche incuriosito. «Allora, cosa farà il nostro prete?»
«Non si offrirà di comprarle un abito, è ovvio» disse Ives. «Tuttavia, in un nobile slancio di generosità, potresti farlo tu.»