19

«Mi sto divertendo così tanto» disse Rebecca mentre passeggiava con Eva in una strada della City costeggiata di negozi di stampe e librerie. «È bello passare un pomeriggio insieme, tu e io, libere di andare dove vogliamo.»

«È vero, ma devo confessarti una cosa sulla nostra meta: non siamo libere di andare dove vogliamo perché ci siamo perse.»

Rebecca la guardò stupita, poi scoppiarono a ridere entrambe. «È una situazione disperata o recuperabile?» le chiese Rebecca, dopo aver ripreso fiato.

«Dato che non so cosa risponderti, suppongo che sia una situazione disperata. Avevamo stabilito di andare alla casa d'aste di Mr. Christie. Si dice che le aste lì siano molto frequenti e che spesso la sua galleria sia piena di opere in vendita.»

Rebecca guardò il cielo. «Comincia a scurire. Faremo meglio a trovarla in fretta.»

Eva tastò la borsetta e sentì il peso e il tintinnio delle monete che conteneva. La cosa bella di avere del denaro era che si potevano risolvere problemi come quello. «Ho visto delle vetture posteggiate nell'ultimo isolato. Ne prenderemo una. Il cocchiere saprà come arrivare da Mr. Christie.»

Mezz'ora dopo Eva e Rebecca entrarono nella casa d'aste, una grande stanza quadrata con il soffitto rialzato. Al centro del soffitto c'era una sezione quadrata ancora più alta rispetto al resto, con delle finestre orizzontali che proiettavano la luce sui dipinti appesi alle pareti.

«Guarda quanti colori!» esclamò Rebecca, osservando le opere vicino alla porta. «Non sono tutte di grandi maestri, vero? Questo qui, per esempio, non è affatto migliore dei tuoi paesaggi, anzi... secondo me non ci si avvicina neanche.»

Eva era d'accordo con lei, anche se nessuna delle due era un'esperta di arte. Le fu di grande conforto notare che, sebbene le sue opere non potessero competere con i dipinti migliori di quella stanza, non avrebbero nemmeno sfigurato lì in mezzo.

Altri clienti si aggiravano per la casa d'aste, osservando le opere. Di tanto in tanto Eva e Rebecca si fermavano ad ammirare quelle che le colpivano di più. Eva stava studiando un effetto particolare ottenuto con il pennello quando Rebecca le strinse un braccio.

«Eva, laggiù! Quello non è...?»

Lei si voltò e guardò nella direzione indicatale dalla sorella. Sulla parete antistante la porta, proprio al centro, era appesa una natura morta. Impossibile non vederla. Eva scorse con lo sguardo il calice, il piatto di porcellana e la frutta matura.

Il suo cuore batteva così forte che lo sentiva rimbombare nella testa. Conosceva quella composizione molto, molto bene. L'aveva dipinta con le sue mani quattro mesi prima, nella biblioteca di casa.

«Non può essere» mormorò.

Si avvicinarono per osservare meglio il dipinto. Un'artista non può non riconoscere la proprio mano ed Eva era sicura che quell'opera fosse sua.

Venne assalita dalla nausea. «Non capisco.»

«Davvero?» Rebecca si guardò intorno con sospetto, poi si avvicinò a un uomo in piedi in un angolo. Gli disse qualcosa e indicò la natura morta della sorella. Lui aprì un opuscolo e le mostrò una pagina.

Rebecca tornò da Eva con l'opuscolo in mano. «Come avrai immaginato, il tuo nome non compare in questo elenco. Secondo la casa d'aste, questa è un'opera di Cuyp, un pittore olandese vissuto duecento anni fa.»

Eva lesse con attenzione la pagina dell'opuscolo. «Oh, evidentemente sono meglio di quanto pensavo come copista...»

«Tutto qui quello che hai da dire? Eva, Mr. Stevenson ti ha raggirato. Quando ti ha dato tutti quei soldi, mi sono insospettita e avevo ragione. Lui ti paga pochi scellini e poi rivende le tue copie per somme molto più alte. Quell'uomo mi ha detto che probabilmente questa natura morta verrà battuta – immagino voglia dire venduta – a trecento sterline.»

Trecento sterline? Eva non riusciva a crederci. Quando cominciò a realizzare cosa stava succedendo, sentì lo stomaco torcersi per l'ansia.

«Rebecca, lo venderanno a un prezzo così alto solo perché credono sia di Cuyp e non mio.»

«Ma l'hai dipinto tu. Dovresti guadagnarci molto più di dieci scellini.»

A Rebecca sfuggiva il problema principale, ovvero la questione morale. Se se ne fossero andate senza dire niente, qualcuno avrebbe acquistato quella copia credendola un originale.

«Ce ne sono altri?» chiese Eva, osservando le pareti della stanza.

«Io non ne vedo nessuno.»

«Forse è finito qui per errore.»

«Ah!»

Quell'Ah! riecheggiò nei suoi pensieri. Cara Mary Moser, vi scrivo per ringraziarvi di avermi ricevuto e avermi dato molti consigli. Purtroppo in questo momento mi trovo nella prigione di Newgate in attesa di giudizio, con l'accusa di furto e frode. Sono coinvolta in un traffico di riproduzioni di capolavori spacciate per originali...

Eva si avvicinò all'uomo in piedi nell'angolo. Lui la salutò con cortesia, ma spostò subito lo sguardo su Rebecca, che li stava raggiungendo.

«Mi spiace, ma devo avvisarvi che è stato commesso un grave errore» annunciò Eva, indicando il suo dipinto e poi l'opuscolo. «Quell'opera non è di Cuyp.»

«Siamo certi che sia sua ed è anche una delle migliori, a mio parere, signorina.»

«No, non lo è. Sono assolutamente certa di quello che dico perché ho dipinto io quel quadro.»

Lui le rivolse un sorriso educato e nei suoi occhi si accese uno sguardo divertito. «Sì, certo, signorina.»

E quello fu tutto. Non aggiunse altro. Non le credeva, ma non voleva offenderla dandole della bugiarda, così si limitò a sorridere. Eva non poté far altro che starsene lì come una sciocca, confermando così l'opinione dell'uomo sul suo conto.

Alla fine prese Rebecca sottobraccio e si spostò al centro della stanza. Che fare?

«Quell'uomo non crede che sia stata tu a dipingerlo solo perché sei una donna» le disse Rebecca.

«No, la pensa così perché è convinto che sia un'opera di Cuyp.» Eva osservò attentamente il quadro. «In effetti, fa molta figura qui, con questa luce. Molto meglio che nella nostra biblioteca.» Venne presa da un disdicevole moto d'orgoglio.

«Forse se lo dicessi a Mr. Fitzallen, lui saprebbe come convincerli.»

«E cosa potrei dirgli? Che gli eventi hanno assunto una piega inimmaginabile? Che ho preso dei dipinti da casa sua senza il suo permesso, li ho riprodotti, ho venduto le copie a Birmingham e poi ho scoperto che qui a Londra li vendono spacciandoli per originali? Perché mai dovrebbe credere che non sono complice di questi traffici e che non ho realizzato le copie a questo scopo?»

«Perché siete amici e tu gli starai dicendo solo la verità.»

«Il magistrato che si occuperebbe del mio caso non sarebbe mio amico. Non capisci che è tutto contro di me? Ho realizzato quelle copie in segreto. Nessuno lo sa a parte te e questo renderà la mia posizione ancor più sospetta.»

«Credi che anche gli altri tuoi dipinti arrivati a Londra vengano venduti come originali altrove?» le chiese Rebecca.

La sola idea le scatenò un'ondata di nausea.

Rebecca la abbracciò per confortarla. «A parte questo dipinto, non sappiamo nulla di certo. Probabilmente verrà acquistato da una persona che ha una collezione enorme con molti altri falsi. Nessuno scoprirà mai la verità, soprattutto se gli originali restano chiusi in quella soffitta. Non parlare mai a Mr. Fitzallen dei dipinti nascosti in casa sua.»

Si avviarono verso la porta, ma, prima di uscire, Eva lanciò un'ultima occhiata al quadro. Era così ben illuminato che sembrava splendere di luce propria. Il calice era talmente realistico che dava l'impressione di potersi rompere.

Sebbene fosse molto preoccupata per ciò che aveva scoperto, non poté fare a meno di provare orgoglio. Forse Jasmine Neville aveva ragione quando diceva che alle donne si insegnava a non nutrire troppe ambizioni. Forse lei, Eva Russell, aveva più talento di quanto credesse e non doveva puntare solo a migliorare per se stessa, ma a diventare una pittrice eccellente.

Almeno di una cosa era certa: se Mr. Christie aveva catalogato un suo dipinto come un'opera di Cuyp, voleva dire che non era affatto una copista mediocre, ma maledettamente brava.

Appena uscito da Londra, Gareth spronò il cavallo e partì al galoppo. La velocità gli diede un po' di sollievo dalla tensione che lo opprimeva. Aveva alle spalle un'altra notte inquieta, passata a lottare contro la tentazione di raggiungere le stanze di Eva.

Non credeva che il loro rapporto sarebbe diventato tanto importante per lui. Eva era nell'età in cui le donne divengono curiose e lui aveva deciso di soddisfare la sua curiosità. Il fatto che lei avesse deciso di voltare le spalle al piacere prima del previsto non avrebbe dovuto turbarlo tanto.

Riflettendoci meglio, si era pentito di aver fatto invitare Eva al ballo dei DeVere. Aveva organizzato quella serata pregustando la gioia di Eva per quel dono e immaginando la sua meraviglia di fronte a un evento del genere. Non aveva pensato che altri uomini avrebbero tentato di attirare la sua attenzione, non perché lei non ne fosse degna, ma perché, malgrado tutto, lui la considerava ancora sua.

Gli apprezzamenti di Whitmere su Eva gli avevano fatto capire che quel mondo poteva esercitare un grande fascino su di lei. Al ballo avrebbe conosciuto moltissimi lord, tutti nobili con proprietà e titoli di ogni sorta. Già, non doveva sottovalutare il potere seduttivo dei titoli nobiliari. Non c'era modo di competere con un'attrattiva del genere.

Immaginò i rampolli delle famiglie aristocratiche mettersi in fila per chiederle di ballare, in cerca del suo favore. In quella sala da ballo, la sua condizione di figlio illegittimo gli sarebbe pesata come mai prima di allora. E non poteva certo allontanarli tutti come aveva fatto con Whitmere.

Non aveva mai invidiato i fratelli in vita sua, almeno mai come in quel momento. Ora, invece, era così amareggiato da arrivare quasi a maledire la propria nascita. Quei sentimenti gli scatenarono un senso di colpa che aggravò il suo malumore. Per tutta la vita aveva sperato di poter considerare Lance e Ives dei veri fratelli, se non agli occhi della legge, almeno moralmente. Quel giorno Lance aveva fatto un grande passo in quella direzione. A volte dimentico che sei un figlio bastardo, aveva detto. Quelle parole lo indussero a fermare il cavallo e a immergersi nei suoi pensieri ancora di più.

Dannazione, a volte era un vero idiota. Solo uno sciocco sprecava la vita ad amareggiarsi per ciò che sarebbe potuto essere. Inoltre la sua condizione non lo aveva fatto sprofondare nella povertà o nell'anonimato. Anche se era un bastardo, tutti sapevano chi era suo padre e, dopo la morte di Percy, il legame con i fratelli si era perfino intensificato. Girò il cavallo e rientrò in città a passo tranquillo. Raggiunse Langley House e domandò se Miss Russell era tornata; il maggiordomo lo informò che si trovava in giardino.

Gareth attraversò la casa e si affacciò alla finestra del retro. Eva era seduta su una panchina e gli parve che stesse disegnando.

La immaginò nel giardino della sua casa, a Langdon's End. Costretta a lavori umili per necessità, l'artista che era in lei aveva trovato gioia e non mortificazione nella fatica fisica. E lo stesso valeva per la nobildonna che era in lei. Prendendosi cura di quel giardino, si era salvata dall'amarezza e dal disincanto.

Aprì la porta e la raggiunse.

Eva si voltò non appena sentì i suoi passi. Quando lo vide, sul suo volto comparve un'espressione di sollievo. «Ah, sei tu.»

«Aspettavi forse qualcun altro?» Si sedette al suo fianco e inclinò la testa per vedere che cosa stesse disegnando.

«Sì, Mr. Geraldson. Ha mandato un biglietto per informarmi che vuole incontrarmi qui prima di cena.»

«Il segretario di Lance?»

«So che sembra strano, ma...» Lei appoggiò l'album da disegno sulla panchina, tra di loro. «Questa mattina mi è stato recapitato un invito per un ballo che si terrà martedì prossimo. Credo che fosse diretto a mia sorella...»

«No, era per te.»

«Sei stato tu a organizzare tutto? Per regalarmi una serata indimenticabile?»

«Proprio così. E anche per viverla in prima persona. Ti accompagnerò io, se sei d'accordo. Spero che tu abbia accettato.»

«Ancora no. Non sono preparata per un evento del genere. Nemmeno il guardaroba di Sarah basterà a rendermi presentabile. Tuttavia, quando sono rientrata, Mr. Geraldson mi ha mandato a dire che vuole incontrarmi per parlare del ballo dei DeVere. Anche il duca parteciperà?»

«No, i miei fratelli non ci saranno perché sono in lutto stretto. Credo che Mr. Geraldson voglia offrirti in dono un abito da sera nuovo. Mio fratello teme che tu possa rifiutare l'invito perché non hai l'abito adatto.»

«Un gesto molto generoso da parte sua, considerando che l'ho visto solo una volta in tutta la mia vita e per pochi minuti.»

«Lance ha un grande cuore. Non mi sorprenderebbe se Mr. Geraldson ti proponesse di ordinare un abito e di mandare a lui il conto.»

«Non so se è il caso di accettare.»

«Ecco che ricominci con gli scrupoli inutili, eh?»

Eva si mise a ridere, poi annuì.

«Aylesbury non sarà al ballo, non danzerà con te e non si comporterà come se tu fossi in debito con lui a causa dell'abito. In un certo senso non è nemmeno un regalo suo, Eva. Prendilo come un presente da parte del casato di Aylesbury.»

Eva ci pensò su e parve convincersi. «Tu sì che sai come tentare una donna, Gareth.»

«Lo spero. In ogni caso, la scelta sta a te. Io sarò orgoglioso di averti al fianco, qualunque cosa indosserai.» Una parte di lui, la stessa che lo aveva spinto a una cavalcata selvaggia per placare la rabbia, sperava che Eva rifiutasse l'abito. Se avesse indossato abiti modesti e fuori moda, metà degli uomini della sua fila immaginaria sarebbe scomparsa.

«Ci penserò» disse lei, distogliendo lo sguardo. «Dimmi, Gareth, tutti i duchi hanno dei segretari come Mr. Geraldson, che si occupano di questioni tediose o sconvenienti come questa al loro posto?»

«Immagino di sì. In ogni caso, un abito è cosa di poco conto e, considerando le circostanze, non ti causerà problemi. Certo, se un uomo ti offrisse una carrozza, una casa e denaro in quantità per i gioielli, faresti bene a sospettare che stia tentando di comprarti» osservò Gareth in tono scherzoso.

Eva rise, ma il suo sguardo si fece serio.

«È così che fecero con tua madre? Il Mr. Geraldson di allora le sottopose una proposta?»

«Sì, andò così, ma mio padre avrebbe fatto meglio a incontrarla di persona. Il suo segretario non era all'altezza di una donna come mia madre. Lei era consapevole del proprio valore e gli strappò un accordo molto vantaggioso.» Immaginò Eva che rimuginava su quelle parole. Curiosa com'era, probabilmente trovava affascinante quel bizzarro protocollo.

«Hai passato una bella giornata?» le chiese lei, cambiando discorso. «Io sì. Be', almeno la prima parte. Ho fatto visita a Mary Moser, la pittrice. Miss Neville mi ha fornito una lettera di presentazione per lei. Non trovi incredibile che mi abbia ricevuto?»

«Non sapevo che vivesse ancora a Londra.»

«Temo che sia molto malata, ma almeno è riuscita a sostenere una conversazione. Abbiamo parlato di arte e mi ha dato dei consigli preziosi, come aveva fatto anni fa, rispondendo alla mia lettera. Ora ho capito che anche allora aveva ragione.»

«Che genere di consigli? Cose come lavorare sodo, disegnare tutti i giorni e tenere puliti i pennelli?»

Lei gli lanciò un'occhiata divertita. «Oh, no, suggerimenti molto più interessanti. Mi ha detto che devo disegnare dal vivo. Sai cosa significa?» gli chiese, una luce maliziosa negli occhi.

«Certo. Forse tua sorella accetterà di...»

«Oh, no, lei non va bene. Devo disegnare il corpo maschile, altrimenti non raggiungerò mai il massimo del mio potenziale.» Incrociò le braccia e si afferrò il mento con aria pensierosa. «Devo trovare qualcuno a cui chiederlo e capire come convincerlo. Che ne dici di Erasmus? Qualche moneta dovrebbe bastare con lui.»

«Oppure Mr. Trevor, l'architetto. Sono sicuro che sarebbe felice di farlo ed entrare nelle tue grazie.»

«Per ottenere la mia proprietà?»

«Per ottenere qualcosa di molto più indecente.»

«Chi, Mr. Trevor? Che sciocchezza! E poi non c'è nulla di indecente nel disegno dal vivo, sarà come guardare una statua, una fontana o un vaso. Il vero artista studia la forma e non si lascia andare a fantasie sensuali mentre lavora.»

«Come fai a saperlo se non ci hai mai provato?» Gareth non credeva affatto che i pittori non si eccitassero alla vista delle modelle nude. Non smettevano certo di essere uomini solo perché stavano dipingendo.

«Lo so e basta. Ho disegnato dal vivo molte altre cose e in quei momenti si è totalmente concentrati sul proprio lavoro.»

«Che altro ti ha detto Mary Moser?»

«Mi ha ricordato che il matrimonio e l'arte non vanno d'accordo. Me lo aveva già scritto quando ero solo una ragazzina, ma io non le avevo creduto. Ero sicura che per me sarebbe stato diverso. Poi, però, dovendomi prendermi cura di mio fratello, mi sono dedicata sempre meno all'arte e alla fine ho smesso del tutto perché avevo troppo da fare. Non trovavo il tempo per me stessa. Con il matrimonio accade lo stesso: il dovere annulla qualunque ambizione.» Non sembrava affatto triste per ciò che stava dicendo. «Chi avrebbe mai detto che restare sola avrebbe favorito i miei progetti?»

La convinzione con cui Eva aveva accolto la sentenza di Mary Moser lo turbava per ragioni che non riusciva a comprendere. «Forse il matrimonio potrebbe essere diverso, proprio come pensavi da ragazzina. Con l'uomo giusto potrebbe funzionare.»

«Spero che non vorrai suggerire di nuovo Mr. Trevor.»

«Per l'amor del cielo! Probabilmente ti ritroveresti con dieci figli e senza servitù, accanto a un marito invidioso del tuo talento. No, dovrebbe essere un uomo che conosce le tue ambizioni e le accetta.»

«Sembri quasi serio, Gareth. Non mi aspettavo tanto sentimentalismo da un cinico disincantato come te.»

Era vero, sembrava proprio un sentimentale.

«Di uomini come quello che hai descritto ce ne sono pochissimi» continuò Eva. «Inoltre, se anche ne incontrassi uno, dovrebbe essere abbastanza ricco da potermi dispensare dai tipici doveri di una moglie.» Sollevò il volto verso il sole. «E perfino così... Se ci pensi bene, le donne più libere sono quelle come tua madre. Lei non aveva doveri se non quello di rendere felice tuo padre e comunque non ogni giorno della sua vita.»

Che mente brillante! Naturalmente aveva ragione. Per una donna in cerca di sicurezza e indipendenza, diventare l'amante di un uomo ricco era la soluzione ideale, ma Gareth non glielo avrebbe certo detto. Non dopo che il dannato Conte di Whitmere aveva dichiarato la sua intenzione di trovare compagnia mentre parlava di Eva.

«Non credo che una vita del genere ti renderebbe felice» obiettò. «Sei troppo rigida e hai paura di correre rischi. Potrebbero capitarti incidenti di percorso come è successo a mia madre con me.»

Eva gli strinse una mano. «Non credo che una madre possa mai pentirsi di un incidente come te.»

Vennero interrotti da un leggero colpo di tosse alle loro spalle. Gareth lasciò subito la mano di Eva e si voltò verso Mr. Geraldson, che era rimasto in attesa a una certa distanza per non essere indiscreto.

Anche Eva si voltò. «Credi che mi tratterà con sufficienza o che mi parlerà dell'abito come se fosse un'elemosina?»

«Nessuna delle due ipotesi. Sarà corretto e formale e le sue parole esprimeranno solo rispetto.» Gareth si alzò.

«Sono ancora indecisa sul da farsi.»

Se l'avesse lasciata decidere da sola, l'orgoglio le avrebbe imposto di rifiutare. Così Gareth avrebbe ottenuto quello che voleva, ma il ballo sarebbe stato meno divertente per Eva. «Allora deciderò io per te» le rispose. «Accetta l'abito e presentati al ballo in grande stile.»