20

La settimana passò in un lampo. Fra le uscite in città e le visite in sartoria, a Eva non rimase molto tempo per disegnare.

Madame Tissot, la rinomata modista consigliatale da Mr. Geraldson, di solito impiegava diverse settimane per confezionare un abito da ballo. Per un duca, però, fece un'eccezione. Tre delle sue cucitrici si misero subito al lavoro non appena Eva scelse la stoffa e lo stile. Ogni giorno, quando andava in sartoria per le prove, vedeva nuovi progressi.

Sarah e Rebecca insistevano per accompagnarla ogni volta ed erano più elettrizzate di lei per ciò che stava succedendo. Presto Eva capì che avrebbero partecipato tutte al ballo: lei fisicamente e le altre con il pensiero.

In quei giorni non vide spesso Gareth. Una sera lui le accompagnò a teatro e suo fratello, Lord Ywain, si unì alla comitiva. Un altro giorno organizzò per loro una visita alla splendida biblioteca di un marchese di sua conoscenza e alla galleria privata di un conte. Una sera, invece, andarono tutti insieme ai Vauxhall Gardens e si sedettero a mangiare del prosciutto prima di passeggiare per i giardini e assistere a spettacoli e fuochi d'artificio. Gli altri giorni, però, incontravano Gareth solo per cena.

Finalmente, la sera prima del ballo, Eva riuscì a trovare un po' di tempo per sé. Di ritorno dalla sartoria di Madame Tissot, dopo la prova finale dell'abito, fece qualche acquisto insieme a Sarah e Rebecca e ritornò a casa. Rientrata nel suo appartamento, aprì le tende e lasciò che la luce inondasse la stanza.

Radunò diversi oggetti a formare una natura morta su un tavolo vicino alla finestra, illuminato da sinistra, poi si mise a disegnare.

Presto si immerse totalmente nell'osservazione e nei movimenti ipnotici della matita sulla carta.

«È arrivato?»

Alzò lo sguardo. Gareth era in piedi accanto a lei.

«Intendo l'abito... È qui? Speravo di poterlo vedere» aggiunse.

«Me lo consegneranno domani.»

«Perciò dovrò aspettare fino a domani sera.» Si avvicinò e inclinò la testa per osservare il disegno.

«Sto solo ritraendo quella natura morta, niente di complicato, ma è pur sempre un esercizio utile.»

«Sì, lo credo anch'io.»

Gareth rimase a osservarla alle sue spalle. Eva sentiva intensamente la sua presenza, il suo calore, la sua energia... Quando andavano in città insieme non erano mai soli e questo indeboliva l'effetto della sua vicinanza e la distraeva. Ma lì, nel silenzio, Eva sentì l'aria addensarsi di parole non dette e di desideri soffocati. Si chiese se anche lui lo percepisse.

Forse per Gareth era tutto diverso a Londra, perché si trovava nel suo ambiente. Lì aveva molti amici che lo salutavano per strada e al parco. Gli uomini lo fermavano per chiacchierare e le donne gli sorridevano. Il suo fascino era in grado di aprire molte porte, perfino per lei. In effetti, Eva dubitava fortemente che tutti i visitatori di Londra potessero vedere la collezione privata di un conte o sfogliare gli inestimabili manoscritti di un marchese.

Fece del suo meglio per concentrarsi sul disegno, ma la vicinanza di Gareth era un vero tormento. «Non ti ho ancora ringraziato per l'abito.»

«Non te l'ho regalato io.»

«L'ho accettato solo grazie a te. È stato davvero elettrizzante farmi confezionare un vestito elegante senza dovermi preoccupare del prezzo. Sei molto gentile a fare tutto questo per me.»

«Vederti con quell'abito sarà un vero piacere, Eva. Mi spiace solo che non possa fartene dono io.»

Certo, perché un simile gesto avrebbe avuto implicazioni sconvenienti, sebbene entrambi sapessero di essere andati ben oltre quei limiti in privato. Le norme sociali rendevano tutto così complicato...

Eva appoggiò la matita e chiuse l'album da disegno. Non sopportava di starsene ferma lì con Gareth così vicino.

Lui si allontanò immediatamente.

«C'è ancora tempo per una passeggiata al parco» disse, avvicinandosi alla porta. «Vuoi unirti a me?»

«Aspetta» lo fermò Eva. Le parole le uscirono di bocca quasi senza che se ne accorgesse. «Ti prego, non andartene.»

Lui si guardò la mano appoggiata sulla maniglia. «Questa richiesta mi coglie alla sprovvista, Eva.»

«Lo so, ma non voglio che te ne vada. Se lo fai, resterò qui da sola a pensare e ricordare...» Eva si alzò e appoggiò l'album sulla poltrona.

«Cosa vuoi da me?» le chiese lui in tono esasperato.

«Non lo so, ma non mi va di passeggiare con te in mezzo alla gente. Ormai condivido sempre la tua compagnia con altre persone. Quando eravamo a Langdon's End passavamo più tempo insieme.»

Gareth si voltò a guardarla. «Allora eravamo amanti. Qui siamo solo amici ed è così che si fa: ci si vede spesso, ma sempre in compagnia di altri.»

Eva lo raggiunse. «Dev'essere per forza così? Non potremo trovare dei momenti solo per noi come è successo in giardino la settimana scorsa? La mia vita è più vuota quando non sei con me e solo vagamente soddisfacente se siamo in compagnia di altri.»

«Più povera? Più povera?» Gareth tornò al centro della stanza. «Eva, mi hai fatto promettere che non ti avrei sedotto più e io ho mantenuto la parola, ma quando ti ho vicina perdo la testa. Hai idea di cosa ho passato in questi giorni? Non mi manca solo la tua compagnia, dannazione. Ti desidero da morire! La voglia di te mi fa impazzire, ma intanto recito la parte del bravo vicino e padrone di casa, perciò non chiedermi di starti accanto in privato e di intrattenerti per rendere la tua vita meno povera

«Non devi intrattenermi. Io voglio solo...» Allungò una mano e la poggiò sul suo petto. Calore. Voleva il suo calore. Chiuse gli occhi e assaporò a fondo quel contatto.

«Eva, se fai così non resisterò a lungo. Ti prenderò e al diavolo l'onore. Togli la mano e allontanati.»

Lei aprì gli occhi e guardò la mano. «Non posso toglierla. È incollata.» La fece scivolare sul suo petto, sotto il soprabito. «Oh, guarda, si muove ancora. Forse è solo troppo pesante per essere sollevata.» Continuò ad accarezzarlo, salendo sulla spalla e tastando i muscoli che davano una forma così attraente al suo corpo.

Lui sopportò in silenzio, mostrandosi più stoico di quanto Eva credesse. Ma non aveva mandato al diavolo l'onore? Eva si avvicinò ancora di più, inspirando a fondo il suo profumo. Accostò le labbra al mento di Gareth, sperando di tentarlo, poi fece scorrere la mano verso il basso e lui contrasse i muscoli per la tensione. Eva scese sempre più giù e, quando raggiunse i pantaloni, strinse tra le dita l'erezione che premeva contro la stoffa.

«Maledizione, Eva.» Gareth le infilò le dita fra i capelli e le reclinò il volto, poi le diede un bacio carico di desiderio.

La giovane sentì la sua erezione crescere e pulsare tra le dita. Lo strinse con l'altro braccio e scese fino a toccare i muscoli potenti del fondoschiena.

Venne assalita da un'eccitazione incandescente, amplificata dalla gioia del ritorno a un luogo familiare.

Solo un'altra volta... Non è poi così grave.

Si avvinghiarono l'uno all'altro, vinti dalla passione, scambiandosi baci disperati e carezze impazienti. Eva voleva di più. Doveva sentirlo più vicino. Gli tolse il soprabito e lo fece cadere sul pavimento. I suoi stessi abiti le davano fastidio. Voleva sentire il corpo di Gareth su di sé, pelle contro pelle. Provò a liberare un braccio per slacciarsi il vestito.

«Non c'è tempo» la fermò lui, poi la spinse, facendola cadere all'indietro sul letto, e le si inginocchiò di fronte. «Vieni qui. Più vicino» le disse, sollevandole la gonna.

Eva aveva capito cosa voleva fare. «No.»

«Sì.»

«Griderò.»

«Copriti la bocca.» La spostò lui stesso, trascinandola verso il bordo del letto e sollevandole i fianchi.

Eva non provò a opporsi. Non voleva più resistere. Allargò le gambe e attese il primo bacio senza neanche respirare. Tutto il suo corpo fremeva di impazienza, pulsava, smaniava. Quando infine il bacio arrivò, dalle sue labbra sfuggì un gemito di sollievo, poi di stupore per l'intensità di quelle sensazioni che spazzavano via la lucidità. I suoi gemiti si trasformarono in un mugolio implorante. Utilizzò l'ultimo briciolo di buonsenso che le restava per costringersi a tapparsi la bocca con una mano.

Da quel momento in poi non emise più suoni udibili, ma trattenerli dentro di sé la rese ancor più impaziente e frenetica. Sentiva il piacere crescere sempre più, tanto che i suoi occhi si riempirono di lacrime. Perfino quando raggiunse l'apice, soffocò il grido che implorava di uscire dalla sua gola, prolungando così quel meraviglioso delirio erotico.

Lentamente tornò al mondo reale e aprì gli occhi. Gareth era in piedi di fronte a lei con lo sguardo acceso e la dominava con la potenza del suo sesso eccitato. Eva si tirò su e si sfilò del tutto la biancheria, poi toccò l'erezione di Gareth.

«Baciami. Capisci che intendo?»

Per un attimo Eva rimase interdetta, poi capì e alzò lo sguardo.

Lui la afferrò e la fece girare. «Lascia stare, ormai sono troppo eccitato.» Non le fece altre richieste. La spostò come voleva, mettendola carponi di fronte a sé, poi le sollevò la gonna. La fece attendere ancora, accarezzandole il fondoschiena per qualche istante. «Desiderarti così tanto è un vero inferno» disse, poi le infilò il membro tra le cosce senza penetrarla, sfregando il suo punto più sensibile. Eva strinse i denti e cercò di controllare il brivido di desiderio che la scuoteva. «Quando sarai al ballo, mentre danzi, ripensa a come ti sei sentita in questo momento. Ricordati del bastardo che sa farti piangere di piacere.»

Entrò in lei lentamente, giocando con le sue sensazioni fino a farla davvero piangere di desiderio. Eva dovette premere il volto sulle lenzuola per soffocare i mugolii. Poi, di colpo, tutta la gentilezza svanì e Gareth la prese con forza, come non aveva mai fatto prima, fino a portarla di nuovo all'apice del piacere, un terremoto di sensazioni mozzafiato.

Alla fine Eva crollò sul letto, ma Gareth no. Dei rumori squarciarono il velo di torpore che l'aveva avvolta. Vide che Gareth stava chiudendo a chiave la porta. Fatto questo, tornò indietro e si sedette sul letto.

«Maledetti stivali» borbottò, togliendoli, poi si sfilò la camicia e i pantaloni e slacciò l'abito di Eva.

Finalmente nudi, uno accanto all'altro, vennero travolti di nuovo dalla passione.

Gareth si abbandonò sul letto quando gli spasmi violenti del piacere si furono placati. Fece un respiro profondo e aprì gli occhi. Sulla parete più vicina si allungavano le ombre scure della sera. Fuori il cielo aveva i colori del tramonto ed era attraversato da lunghe scie infuocate. La finestra era come una cornice che racchiudeva un bellissimo dipinto.

Al suo fianco, anche Eva stava osservando quello spettacolo, come se volesse imprimerselo nella memoria.

Gareth si mise a pancia in giù e la circondò con un braccio. Eva si voltò a guardarlo, così vicina che i loro nasi si sfioravano.

«Mi hai costretto a sedurti di nuovo» gli disse. «Non è giusto. Dovresti essere tu a sedurre me.»

«Io non infrango mai le promesse, a meno che non mi costringano a farlo, come oggi.»

«Ma dovresti essere tu il cattivo tra noi due, considerando la tua reputazione.»

«Nessuno ha mai detto che io sia una canaglia senza rispetto delle donne.»

«No, ma è vero che sei irresistibile. Immagino di essere l'ennesima donna che te lo dimostra.»

«Non dare la colpa a me se sai di non dover prendere quello che vuoi, ma decidi di prenderlo lo stesso.»

Lei si voltò e guardò di nuovo fuori dalla finestra. «È bello stare qui sdraiati, ma penso che presto dovremo andarcene.»

Gareth stava così bene che non aveva nessuna voglia di spostarsi. «Manca ancora parecchio all'ora di cena.»

Nel silenzio, lui cominciò ad assopirsi, ma, quando stava per cedere al sonno, Eva parlò di nuovo. «Sono un po' preoccupata per domani sera. Ogni ora che passa divento sempre più nervosa. Nonostante l'abito, forse non sono adatta a un evento così elegante.»

Temeva di non andare bene. Questo gli riportò alla mente quando Whitmere aveva dichiarato apertamente che Eva andava benissimo per lui.

«Io proprio non so cosa vedi quando ti guardi allo specchio, Eva. Di certo non ciò che vedo io fin dal giorno in cui ti ho quasi investita con il cavallo.»

«E cosa hai visto quel giorno, oltre a una zitella arrabbiata in una pozzanghera?»

«Ho visto una donna sicura di sé e abbastanza determinata da rimproverare uno sconosciuto. Una bellissima donna con gli occhi di tanti colori. Una donna coraggiosa, che non mentiva a se stessa anche se qualche pensiero sconveniente si stava insinuando nella sua testa, durante la discussione.»

«In teoria non avresti dovuto notare anche questo. Credevo di essere stata molto brava a nasconderlo.»

«Forse ci saresti riuscita se non avessi provato anch'io le stesse emozioni. Tuttavia, quando due persone provano una forte attrazione sessuale, è impossibile fingere che non sia così.»

Eva gli diede un bacio. «Ed è impossibile anche ignorarla, a quanto pare. Trovo ingiusto doverci rinunciare.»

Nella sua mente, Gareth cominciò a formulare delle rassicurazioni per convincerla che non avrebbe più ceduto, ma la stanchezza lo indusse a restare in silenzio. La stanchezza e la consapevolezza che sarebbe stata una bugia.

La luce grigia che entrava dalla finestra metteva in risalto il profilo di Gareth. La stanza era inondata da ombre sottili, appena visibili, che avrebbe potuto riprodurre sulla carta con un lieve tocco di carboncino.

Eva si sedette sulla poltrona che aveva spostato ai piedi del letto per godere di una prospettiva migliore. Gareth era sdraiato a pancia in giù, nudo, con un braccio disteso sul letto. Riprodusse la sua sagoma sull'album da disegno, poi cercò di renderla realistica.

Studiò a lungo il suo volto e, ogni istante che passava, lo vedeva sempre meno con gli occhi di un'artista e più con gli occhi di una donna. Ripensò all'espressione severa e sensuale di quel volto nell'estasi del piacere, anche se in quel momento era calmo, quasi tenero. Rivide la sua gentilezza e la luce divertita di quegli occhi quando lui la prendeva in giro.

Abbassò lo sguardo e si rese conto che non disegnava nulla già da un po'. Presto la luce sarebbe svanita e lei avrebbe dovuto svegliarlo. Completò la testa, ma non in dettaglio. Disegnò quel tanto che bastava a farle ricordare quanto era bello in quel momento, poi si spostò sulle spalle, cercando di riprodurre la complessità dei giochi di luci e ombre sui suoi muscoli forti.

Riuscì a disegnare le spalle e gran parte della schiena, ma poi la luce divenne troppo debole. Appoggiò l'album sul tavolo, accanto alla natura morta, e andò a svegliare Gareth.

«Devi andare. La cena verrà servita tra meno di un'ora.»

Lui si tirò su, si stropicciò gli occhi e prese i propri abiti. Dieci minuti dopo era di nuovo lo stesso uomo che era entrato in quella stanza ore prima. Elegante. Sicuro. Sconvolgente.

La sera seguente, al ballo, sarebbe stato ancora più affascinante e lei sarebbe entrata in quella sala dandogli il braccio. Gareth le aveva fatto dono di una serata che non avrebbe mai dimenticato e che poche donne avevano il privilegio di sperimentare.

Ma non avrebbe mai dimenticato nemmeno il momento che stava vivendo ora, mentre lo guardava allacciarsi i polsini della camicia, sopraffatta dall'emozione.

Lui lo aveva chiamato desiderio. Un'attrazione selvaggia e irresistibile, ma comunque semplice attrazione sessuale. Un sentimento passeggero e non l'amore di cui parlavano i poeti. Quella era solo un'illusione creata per nobilitare in qualche modo gli impulsi erotici più bassi.

Forse aveva ragione Gareth. Lei non aveva sufficiente esperienza per controbattere né per controllare ciò che le stava accadendo.

Ah, il cuore umano era una vera maledizione. Non conosceva ragione né disciplina. Ti spingeva ad amare ciò che poteva distruggerti e non sapeva distinguere tra gioia e dolore.

L'indomani mattina, dopo una conversazione del tutto infruttuosa con Clifford, Gareth cavalcò fino a Ramsgate con Ives per parlare con il titolare della ditta di trasporti che si era occupata dei dipinti. Sembrava un uomo abbastanza onesto e sia Gareth sia Ives si convinsero che non era coinvolto nella sparizione delle opere.

Quando rientrarono in casa, a pomeriggio inoltrato, tutto taceva. I preparativi per il ballo erano già in corso. Probabilmente Eva sarebbe uscita dalle stanze di Sarah solo all'arrivo della carrozza, quella sera.

Gareth, invece, non poteva ancora andare a prepararsi. Il maggiordomo gli aveva detto che Lance voleva vederlo. Salì al piano di sopra e trovò il fratello nelle sue stanze. Si stava facendo bello per la serata. Nel vestibolo c'era anche un altro uomo che stava bevendo un bicchiere di vino con aria impaziente. Gareth lo conosceva. Era il Visconte Demmiwood. Lui e Lance erano stati grandi amici finché il visconte non si era sposato e non aveva abbandonato le sue abitudini più sconsiderate.

Il tempo era stato impietoso con il visconte. Mentre Lance sembrava un giovane un po' cresciuto, Demmiwood aveva l'aria di un vecchio che portava bene gli anni. Sotto il gilet si scorgeva una pancia abbondante e i riccioli biondi che gli coprivano la fronte non riuscivano a nascondere la stempiatura.

Osservandolo, Gareth notò che aveva il volto imperlato di sudore e non faceva altro che agitare le gambe, segno che era molto teso.

Lance interruppe il valletto che lo stava radendo per salutare Gareth. «Conosci Demmiwood. È venuto da me per raccontarmi una storia incredibile. Gli ho detto che doveva riferirla anche a te e a Ives, ma il lacchè non ha trovato Ives nei suoi appartamenti.»

«Eravamo entrambi fuori città, ma dovrebbe essere tornato ormai. Mandalo a chiamare di nuovo.»

«Non c'è tempo» intervenne Demmiwood. «Devo andare a prepararmi per il ballo dei DeVere.»

«E lo stesso vale per Gareth» disse Lance. «Non c'è tempo da perdere. Raccontagli tutto, Demmiwood.»

Il visconte appoggiò il bicchiere e Gareth si voltò verso di lui.

«Due giorni fa un commerciante d'arte che spesso riesce a procurarsi opere di grande valore mi ha chiesto di farmi visita, dicendo che aveva qualcosa di molto speciale, un pezzo introvabile. Era piuttosto misterioso al riguardo, come se temesse che altri potessero intromettersi se mi avesse rivelato i dettagli dell'affare. Ecco perché ho immaginato che si trattasse di un Gainsborough. Come mio padre prima di me, anch'io sono un appassionato del suo lavoro. Tuttavia, ritratti a parte, è piuttosto difficile reperire le sue opere.»

«Perciò eravate interessato alla sua proposta.»

«Certo che sì. Non ho l'occhio infallibile di mio padre, ma tutti sanno che sono un esperto.»

In realtà, Demmiwood era considerato da tutti un bersaglio facile. Londra intera sapeva che strappargli cifre esorbitanti per una crosta era un gioco da ragazzi. Negli anni aveva messo insieme la più grande collezione di opere d'arte scadenti d'Inghilterra. Una volta Gareth era stato quasi sul punto di accollargli gli avanzi peggiori di una delle collezioni di cui si era occupato e non l'aveva fatto solo per rispetto dell'amicizia che un tempo aveva legato il visconte e Lance.

«Così ho accettato di incontrarlo e lui mi ha portato questo.» Demmiwood si abbassò e prese in mano un piccolo dipinto con la cornice dorata. «"È un Gainsborough" mi ha detto quell'uomo. In altre circostanze ne sarei stato entusiasta, ma appena ho visto questo dipinto ho capito che qualcosa non andava.»

«Di certo è un falso, fatto molto bene, ma pur sempre un falso.»

«Te l'avevo detto che Gareth è infallibile» commentò Lance. «L'ha capito a quindici passi di distanza.»

«Non solo è un falso» rispose Demmiwood, sempre più agitato. «Ma è una copia. L'originale era appeso nella galleria di casa mia. Quest'uomo è mio padre» disse, indicando uno dei soggetti del dipinto. «È un ritratto di lui e dei suoi fratelli quando erano ragazzi.»

Gareth si avvicinò, prese il dipinto e andò alla finestra per esaminarlo sotto la luce.

«È davvero il colmo trovarsi a trattare l'acquisto della copia di un tuo dipinto!» esclamò Demmiwood.

«Avete accusato il commerciante di frode?»

«No, ho trattenuto la collera e gli ho chiesto di lasciarmi l'opera per qualche giorno. Non volevo fargli capire che avevo scoperto il suo gioco, rischiando così di metterlo in fuga.»

«Avete fatto benissimo. Prima avete detto che questo dipinto era appeso nella vostra galleria...»

«La residenza principale di Demmiwood è sulla costa, in Sussex» gli spiegò Lance con un'occhiata eloquente. «Gareth sa tutto sui dipinti scomparsi, Demmiwood.»

«Allora non vi sorprenderà sapere che questo dipinto era tra di essi. Venne impacchettato e mandato in un luogo sicuro. O almeno così credevamo e invece ora... questo» disse Demmiwood, indicando l'opera tra le mani di Gareth.

Questi sfiorò un angolo del dipinto con il pollice. Era ancora un po' appiccicoso. Era stato realizzato di recente, al massimo qualche mese prima.

Chiunque avesse dipinto la copia aveva avuto a disposizione l'originale fino a poco tempo prima. Era la prima volta che il colpevole della scomparsa dei dipinti commetteva un errore e forse sarebbe bastato a incastrarlo.

«Quando dovete restituire questa copia al commerciante?»

«Il termine è domani. O gli restituisco l'opera o la pago. Ho riflettuto a lungo sulla possibilità di costringerlo a dirmi dove si trova l'originale, ma sono giunto alla conclusione che non ammetterebbe mai di aver commesso un reato né mi darebbe informazioni compromettenti.»

Gareth appoggiò il dipinto. «Ditemi il nome di quest'uomo, per favore, e lasciate qui il dipinto, per ora, nel caso dovesse servirmi.»

Demmiwood fece come gli aveva chiesto e Gareth tornò nella propria stanza, dove scrisse a Ives per informarlo che l'indomani mattina sarebbero andati a far visita a un commerciante d'arte. Lesse per un paio d'ore, finché il valletto che si occupava di lui a Langley House non lo raggiunse per aiutarlo a vestirsi. Alle dieci in punto uscì dalla sua stanza, scese al piano di sotto e si versò uno sherry in attesa di Eva.

Non dovette aspettare a lungo. Pochi minuti dopo sentì un brusio animato sulle scale. Seguirono delle risatine femminili e qualche mormorio, poi qualcuno disse: «Su, a testa alta». Gareth tornò nel salone principale e alzò lo sguardo verso la scalinata. Intravide della stoffa rosa pallido e il baluginio di qualche lustrino, poi vide i capelli rossi di Sarah e il bel volto giovane di Rebecca.

Attraversarono il pianerottolo e scesero. Dietro di loro comparve Eva, radiosa come non mai in un abito di seta color cipria, ricoperto di minuscole perline e pizzo pregiatissimo. I bei boccoli castani erano raccolti e ornati da due piume abbinate al vestito e intorno alle spalle indossava una stola morbida. Sembrava quasi una visione fluttuante mentre scendeva le scale per raggiungerlo.

Bellissima. Nobile. Regale. Sapeva di essere meravigliosa ed emanava una luce nuova. Gareth le diede il braccio. «Siete splendida, Miss Russell.»

Mentre lei saliva sulla carrozza, Gareth notò un dettaglio inaspettato. Tra i suoi boccoli, quasi nascosta dal copricapo, c'era una macchia di colore che spiccava sui toni candidi della sua mise, così come poche violette riescono a mettere in risalto un intero giardino di fiori bianchi. Eva si era infilata tra i capelli un piccolo fiocco per ravvivare l'insieme e aggiungere una nota imprevista. Era un nastro color lavanda.