23

Sì, quello era il posto giusto.

Eva stese la coperta in cima alla collinetta e si sistemò comodamente su di essa. Davanti ai suoi occhi si estendeva il lago; il sole cominciava a calare, proiettando lunghe ombre sulla superficie irregolare dell'acqua. Sulla riva più vicina si affacciava una fila di case. Il paese, infatti, si era ingrandito tanto da arrivare fin lì, ma lei decise che non avrebbe ritratto le case nel dipinto.

Aprì l'album e lo sfogliò per trovare la prima pagina bianca disponibile. Presto avrebbe dovuto comprarne uno nuovo.

Quando raggiunse il ritratto di Gareth si fermò per un istante. Come previsto, i pochi tratti con cui aveva abbozzato il suo volto bastavano a farle rivivere ciò che aveva provato contemplandolo nella luce soffusa di quella stanza. Una fitta di nostalgia le strinse il cuore al ricordo di quel giorno. Quando invece ripensava alla sera del ballo, provava una grande tristezza.

Chissà se Gareth era tornato ad Albany Lodge? Quando era stata al paese, non aveva incontrato né Erasmus né Harold, perciò forse il loro padrone era rientrato. Tuttavia, non era passato a farle visita. Del resto, considerando cosa gli aveva detto l'ultima volta che si erano visti, non poteva biasimarlo.

Era meglio così. Non potevano essere amici. Non se sentiva le farfalle nello stomaco ogni volta che lo vedeva. Non se il desiderio di averlo fisicamente offuscava il timore per la propria reputazione. Se Gareth la voleva ancora, lei avrebbe ceduto volentieri alle sue profferte e forse lo avrebbe perfino incoraggiato. Così, con il tempo, tutti avrebbero saputo che erano amanti, lei sarebbe diventata un'emarginata, Rebecca non avrebbe mai trovato marito e...

Finalmente trovò una pagina bianca. Iniziò ad abbozzare il paesaggio, stando attenta a pianificare con cura la struttura del dipinto.

Il tempo passò in fretta. Soltanto quando il sole le arrivò dritto negli occhi, Eva si rese conto di essere lì già da parecchio. Tornò alla realtà e osservò la pagina. Aveva raffigurato bene la prospettiva generale, la forma e l'ombreggiatura degli alberi sulla riva sinistra. Inoltre, aveva ritratto in dettaglio l'albero più vicino, i cui rami facevano da cornice alla parte superiore della veduta.

«Straordinario. Diventerà un dipinto?»

Si guardò alle spalle. Dietro di lei, Gareth stava sbirciando il suo album. Di nuovo le farfalle nello stomaco. Impazzite. Eva provò una tale emozione che per un attimo non riuscì a parlare.

«Sì» rispose. «Ecco perché è ancora approssimativo.»

«Vuoi dire che è un bozzetto, non la versione finale.»

«Esatto.» Fece per alzarsi e Gareth le tese la mano per aiutarla. Eva si sforzò di non fare troppo caso a quel breve contatto fisico, ma fu tutto inutile. «Che cosa ci fai qui?»

«Sono passato a farti visita e tua sorella mi ha detto dov'eri, così ho deciso di darti un passaggio per il ritorno.»

«Non mi sembra una buona idea attraversare il paese a cavallo con te.»

«Non andremo a cavallo. Vieni.»

La portò sulla strada che costeggiava il lago, dove li attendeva una bella carrozza con tiro a due.

«Dovevo sbrigare delle faccende per cui mi serviva la carrozza» le spiegò. «Lance ne ha almeno quattro ora, così ne ho presa in prestito una.»

Si fermò e si voltò verso di lei.

«Prima di proseguire, voglio dirti una cosa, Eva. Mia madre era figlia di un maggiordomo e sarebbe diventata anche lei una domestica, se mio padre non l'avesse aiutata. Comunque, ha condotto un'esistenza molto dignitosa. Conosceva a malapena mio padre. Era solo un duca che ogni tanto le dedicava qualche ora, ma mia madre ha accettato ciò che lui le offriva perché era l'unico modo per avere delle certezze e dare ai suoi figli una vita migliore. Ecco perché non vedo niente di scandaloso in questo genere di accordi.»

«Sì, me l'hai già detto. Ho capito.»

Gareth distolse lo sguardo e si appoggiò le mani sui fianchi in una posa contrariata. «Non sono felice di ciò che ti ha proposto Whitmere, se proprio vuoi saperlo. Non l'ho incoraggiato in alcun modo, anzi, tutto il contrario, ma tu mi hai fatto promettere che la nostra storia sarebbe finita presto, perciò non avevo alcun diritto di interferire.»

«Certo, non devi spiegarmi niente. Non avrei dovuto accusarti in quel modo né reagire in maniera tanto emotiva. Ero stanca e mi sentivo in imbarazzo. Non pensiamoci più.»

Gareth l'accompagnò alla carrozza e l'aiutò a salire. Mentre percorrevano le vie di Langdon's End, Eva guardò fuori dal finestrino. Sembrava tutto diverso dal sedile di una carrozza elegante.

Quando raggiunsero la strada che collegava le loro proprietà, la carrozza non svoltò a sinistra, verso casa di Eva, ma si diresse verso Albany Lodge.

«Non preoccuparti, non ho intenzioni disonorevoli. Voglio solo mostrarti una cosa.»

Nonostante tutto il suo corpo vibrasse di gioia, Eva era convinta che Gareth non volesse sedurla. Era impossibile non notare che quel giorno si comportava in maniera insolitamente distaccata.

«Ci sono delle novità? Hai finito di riparare il tetto?»

«Non ti costringerei a venire da me per questo. È una cosa molto più interessante. Mentre ero a Londra, ho comprato delle opere d'arte. Le pareti di Albany Lodge sono troppo spoglie, non trovi? Ho deciso di comprare dei dipinti adatti a esaltarne la bellezza, opere degne del sangue che mi scorre nelle vene. Ti piaceranno. Potresti venire a studiarli, magari. Se sarai gentile con me, forse ti permetterò di copiarli come fanno gli studenti dell'accademia con le opere dei grandi maestri.»

Eva provò un vago senso di sospetto.

«Per farlo dovrei passare molto tempo ad Albany Lodge.»

«È una casa molto grande, non mi darai alcun disturbo. Se temi che la gente possa spettegolare su di noi, puoi portare con te tua sorella o un'amica.»

Non aveva pensato affatto ai pettegolezzi. Sperava tanto di cogliere negli occhi di Gareth una luce maliziosa che indicasse un secondo fine dietro quell'invito, un desiderio di restare solo con lei ancora una volta.

Arrivati ad Albany Lodge, Gareth l'aiutò scendere dalla carrozza. «I dipinti sono in biblioteca. Vai, io ti raggiungo tra un minuto» disse, poi andò dal cocchiere.

Eva entrò in casa e raggiunse la biblioteca. Quando entrò, rimase pietrificata.

Di fronte ai suoi occhi, appoggiati sulle poltrone, sulle mensole e contro le pareti, c'erano i dipinti che Gareth aveva riportato da Londra.

I suoi dipinti.

Eva si spostò dall'uno all'altro, smarrita, sperando di essersi sbagliata, ma sapendo già che non era possibile. Alla fine si fermò al centro della stanza, circondata dalle sue opere e incapace di formulare un pensiero coerente. Gareth sapeva tutto. Doveva essere così per forza. Non poteva trattarsi di una coincidenza. A meno che non avesse incontrato l'uomo che aveva comprato i suoi quadri da Mr. Stevenson e...

«Sono belli, vero?»

Eva si girò di scatto. Gareth era fermo sulla soglia e la fissava intensamente con aria severa.

Per la prima volta da quando lo conosceva, ebbe quasi paura di lui.

«Li ho presi quasi tutti a Londra, da un certo Mr. Zwilliger. Mi ha detto che sono opere di grandi maestri come Gainsborough e Cuyp.» Indicò i tre bambini davanti alla fontana e la natura morta che Eva aveva visto da Christie's. «Laggiù c'è un Carracci. Sono tutte opere di artisti di grande fama. Ho fatto un vero affare.»

«Avrai speso una fortuna.»

«Oh, no, sarebbe stato molto stupido da parte mia, perché sono tutti falsi.» Gareth si fece avanti. «Non è così, Eva?»

Lei si sentì morire. Sì, sapeva tutto. Aveva capito cosa era successo e sospettava il peggio.

«Non era mia intenzione creare dei falsi. Non credevo che qualcuno potesse scambiarli per originali. Non sono così brava.»

«Sei molto brava, invece. Non è affatto facile capire che sono copie.»

«Li ho dipinti solo per fare esercizio e guadagnare qualche scellino. Realizzavo delle copie, poi le portavo a un tale di Birmingham, che provava a venderle e mi dava metà dei guadagni. Non ho mai detto che erano capolavori di grandi maestri e nemmeno lui, credo. Le spacciavo per opere mie e lui diceva ai suoi clienti che erano dipinte nello stile di un grande maestro, ma non originali. Tuttavia, non posso biasimarti se sospetti che io abbia organizzato una truffa in collaborazione con Mr. Zwilliger. Temo di non poterti dimostrare il contrario.»

Gareth buttò il soprabito su una poltrona e si accomodò sul divano. «Vieni, siediti qui, accanto a me. Voglio assicurarmi che non ci siano malintesi tra noi.»

Eva obbedì, schiacciata dal disgusto per se stessa.

«Eva, davvero non sapevi che queste opere venissero spacciate per originali? Non lo hai mai sospettato?»

«Non erano fatti abbastanza bene per essere credibili. Li ho sempre visti accanto agli originali e mi sembrava ovvio che mancasse qualcosa nei miei.» Esitò qualche secondo, poi continuò: «Ho visto una delle mie riproduzioni alla casa d'aste di Londra, dove l'avevano attribuita a Cuyp. Ho detto loro che ero stata io a dipingerla, ma l'inserviente mi ha trattata come se fossi una pazza. E sì, in effetti a quel punto ho cominciato a sospettare che si fosse verificato un equivoco».

«Equivoco non è il termine giusto. Il colpevole ha agito di proposito. Qualcuno ha deciso di spacciare i tuoi dipinti per originali, sapendo benissimo che non lo erano.»

Eva abbassò gli occhi, troppo imbarazzata per guardarlo. Non voleva sapere cosa stesse pensando. Poteva tentare di discolparsi ammettendo di essersi comportata da sciocca ingenua. E per fortuna che doveva essere una donna brillante! E poi una simile affermazione avrebbe portato solo altre domande, le cui risposte avrebbero peggiorato le cose.

Si chiese se Sarah fosse disposta ad accogliere Rebecca in casa sua, nel caso lei venisse arrestata. Sì, probabilmente sarebbe finita in carcere. La falsificazione era un reato grave. Forse l'avrebbero spedita in una colonia penale. Chissà se la falsificazione di opere d'arte veniva punita come quella dei documenti? Sapeva di uomini che erano stati impiccati per quello. Il solo pensiero la fece rabbrividire.

«Eva, possiamo rimandare le spiegazioni su come questi quadri sono arrivati a Londra, ma devi dirmi subito dove si trovano gli originali.»

Lei lo guardò stupita. «Come, non lo sai? Credevo di sì, altrimenti perché hai comprato proprio queste copie?»

«Perché è molto tempo che cerco gli originali e queste riproduzioni potrebbero aiutarmi a trovarli.»

Le venne quasi da ridere, ma l'espressione scura di Gareth la dissuase dal farlo.

«Come mai hai copiato proprio queste opere, Eva?»

«Perché erano le uniche che avevo a disposizione! Gli originali sono tutti qui, Gareth, nel tuo solaio.»

Accidenti.

I dipinti erano sotto il suo naso fin dall'inizio e non se ne era accorto. Si sentiva un idiota.

Ovvio, nasconderli lì era la scelta più logica. Quella residenza era un rudere in rovina. Chi avrebbe mai sospettato che contenesse opere di valore?

Gareth seguì Eva sulle scale fino al piano della servitù. Era salito lassù solo due o tre volte per controllare i danni del tetto. Le ali nuove, invece, erano in condizioni migliori, perciò nessuno aveva controllato il solaio.

Eva lo portò in fondo al corridoio dove, seminascosta in un angolo, c'era una porticina che conduceva a una rampa di scale ripide. Da lì si accedeva alla soffitta, sovrastante una delle ali laterali annesse all'edificio centrale. Appoggiate alle pareti c'erano decine di dipinti coperti con dei teli.

Eva si avvicinò alla prima fila e la scoprì, rivelando il Gainsborough dei bambini di fronte alla fontana.

«Sono questi che ho copiato» gli disse, indicando le opere allineate dietro il Gainsborough e un altro gruppo di quadri piccoli lì a fianco.

Gareth si chinò e li esaminò. C'erano tutti gli originali delle copie al pianoterra. Eva ne aveva realizzate anche altre che, però, Zwilliger non aveva acquistato.

«Utilizzavo solo i più piccoli.»

«Non credo che al giudice interessi la grandezza delle opere.»

Eva chinò la testa. «Volevo dire soltanto che gli altri erano troppo grandi per essere spostati.»

Gareth tolse il telo da una fila di quadri più grandi, poi li sollevò uno a uno per studiare il soggetto. Le Nain, Claude, Poussin, Vasari... Man mano che li esaminava, li spuntava mentalmente dalla lista dei dipinti scomparsi.

Non perse tempo a visionare il resto. Contò le opere. Trentuno. Non abbastanza, ne mancava qualcuna.

Lei rimase in silenzio con le braccia strette intorno al corpo e il capo chino.

«Perché non mi hai detto niente di questa soffitta, Eva?»

«Non è ovvio? Li ho presi senza il tuo permesso. Ne stavo portando a casa uno anche il giorno del nostro primo incontro» rispose lei, indicando il Gainsborough.

«Ma li hai restituiti tutti.»

«Se ti avessi detto la verità, mi avresti ritenuto capace di rubare. Perché avresti dovuto credere che li avevo restituiti tutti? Sono scomparse moltissime cose da questa casa.»

Gareth capì che a mortificare Eva non era tanto il suo giudizio, quanto la vergogna per ciò che aveva fatto. Nella sua testa, era come se avesse rubato quelle opere.

«Hai preso qualcos'altro? Che so, ne hai tenuto uno oppure...»

«Le sedie. Ho preso delle sedie e le ho vendute, come ho fatto anche con i miei mobili» ammise la giovane in tono affranto. «Erano di ottima qualità, molto pesanti. Mi ci è voluta un'ora l'una per portarle a casa perché ero costretta a fermarmi per riposare ogni cinque minuti. Alcune avevano perfino delle incisioni...»

«Ti perdono per le sedie. Forse ci faranno delle domande su questi dipinti, ma noi non diremo niente.»

«Grazie... ma d'ora in poi mi considererai una ladra, vero?»

Gareth coprì le opere. «Non sei tu il colpevole che sto cercando. Queste opere non sono mie. Sono state portate qui anni fa e, da qualche settimana, io e mio fratello stiamo indagando sulla loro scomparsa. Devo scrivere subito a Ives per dirgli che ho trovato un terzo dei dipinti smarriti.»

Finalmente Eva sollevò la testa e guardò i quadri. «Non sembrerà un po' singolare che siano state rinvenute proprio a casa tua, Gareth?»

Singolare era un eufemismo. In effetti, la svolta che avevano preso gli eventi dava adito a speculazioni di ogni genere, tutte in suo sfavore.

Ricordò il sollievo di Ives quando gli aveva detto di poter dimostrare che si trovava all'estero il giorno della morte di Percy. Purtroppo, non poteva fare altrettanto con la scomparsa dei dipinti.

Le potenziali conseguenze di quella scoperta si affollarono nella sua mente.

Dannazione, dannazione, dannazione. Stava per scoprire se Ives lo considerava davvero suo fratello.

«Mi credi? Sei convinto che quando ho copiato quelle opere non avevo intenzione di spacciarle per originali?» gli chiese Eva quando tornarono in biblioteca.

«È ovvio.»

«Non c'è niente di ovvio in questa situazione, Gareth. Non posso dimostrare niente.»

Sembrava ancora imbarazzata e molto infelice. Gareth mise da parte le proprie preoccupazioni e si concentrò su quelle della donna. «Non tutte le copie sono state acquistate da Zwilliger. Che ne è stato delle altre?»

«Mr. Stevenson le ha vendute a dei clienti di Birmingham.»

«Se necessario, parleremo con queste persone e scopriremo se pensano di aver comprato degli originali o meno. In ogni caso, per me è chiaro che sia tu sia Stevenson avete agito in buona fede. È stato Zwilliger ad aver architettato la truffa quando è entrato nel negozio di Stevenson.»

«Per te è chiaro?»

«È evidente che sei sinceramente allarmata per questa situazione, e lo stesso vale per Stevenson. Zwilliger, invece, ha solo recitato la parte della vittima incredula.»

Per un attimo gli occhi di Eva assunsero un'aria divertita. «Forse anch'io sto recitando.»

Che commento meravigliosamente ingenuo! «Dopo tutto quello che abbiamo condiviso, non puoi più nascondermi niente.»

Eva sorrise, ma con aria tesa, quasi triste. «Invece riesco a nasconderti molte cose senza difficoltà, Gareth.» Contemplò a lungo le proprie copie, poi distolse lo sguardo. «Ora vado. Probabilmente Rebecca si starà chiedendo che fine ho fatto.»

«La carrozza ci attende. Ho detto al cocchiere di riportarti a casa.»

Durante il breve tragitto, lei non disse una parola. Il suo atteggiamento e quel silenzio prolungato lo dissuasero dal tentare di abbracciarla e consolarla.

Non gli permise nemmeno di aiutarla a scendere. Fece tutto da sola, anche se un po' goffamente.

«Ti ringrazio per avermi ascoltato e non aver pensato subito al peggio, Gareth.»

«Non potrei mai pensare il peggio di te, Eva.»

«Forse è così, ma non puoi essere certo della mia onestà. E non potrai più fidarti di me come prima, non è vero?»

Si voltò e andò verso casa.

Gareth aspettò un po' prima di dire al cocchiere di ripartire. Si chiese se dovesse seguirla, infischiandosene del suo atteggiamento distante. Aveva lasciato Londra senza dirle delle cose molto importanti. Dopo le scoperte di quel giorno, forse sarebbe passato molto tempo prima che ricapitasse l'occasione di parlarle sinceramente. Tuttavia, poteva almeno rassicurarla più di quanto non avesse fatto fino a quel momento.

Aprì lo sportello. Non aveva idea di come ci si prendesse cura di una donna, perciò si sentiva goffo e inesperto, ma Eva meritava un trattamento migliore di quello che lui le aveva riservato quel giorno.

All'improvviso la voce di Eva ruppe il silenzio: stava gridando il suo nome. Si affacciò dalla porta per un istante con aria sconvolta. Lo chiamò di nuovo, urlando disperata, poi scomparve in casa.

Gareth saltò giù dalla carrozza e corse da lei.