18

Se n’era andata. Dopo aver girato tutta la casa come un pazzo, temendo il peggio, che fosse stata rapita o che fosse fuori con un amante, era stato Badcock a dirglielo. Sembrava che il resto della servitù fosse troppo spaventato all’idea di comunicargli che sua moglie l’aveva lasciato ed era tornata alla sua casa di campagna su una delle sue carrozze.

Che era tornata indietro senza di lei, naturalmente. Gray avrebbe licenziato il cocchiere sui due piedi, ma sapeva che il pover’uomo non avrebbe avuto alcuna possibilità di opporsi alla marchesa. In ogni caso Kate avrebbe trovato un altro mezzo per andarsene, una carrozza a noleggio o la diligenza. Gray rabbrividì all’idea del pericolo che avrebbe potuto correre.

E che cosa ne era di lei, adesso? Come poteva saperla al sicuro in una casa vuota e isolata, senza nemmeno Tom a curarsi di lei? Dannazione. La donna che aveva creduto tanto giudiziosa si era rivelata un’incosciente. Sarebbe dovuto andare subito ad Hargate e portarla indietro di peso.

Ma era troppo infuriato. Che cosa voleva ancora da lui?, si chiese. L’aveva sposata, le aveva dato il suo nome, la sua ricchezza, le sue attenzioni, mentre lei... Lei aveva distrutto l’autocontrollo che aveva raggiunto negli anni, facendo di lui uno schiavo dei propri istinti. Non le bastava? Che cosa avrebbe potuto darle di più, la sua anima?

Gray stringeva ancora in mano il bicchiere di brandy che Badcock gli aveva portato e che aveva bevuto tutto d’un fiato. Invece di allentare la presa, lo gettò nel camino, guardando con soddisfazione il vetro che andava in mille pezzi contro il parafuoco. Così andavano a finire gli sproloqui di Wycliffe sul vero amore! Sua moglie l’aveva lasciato e lui non si sarebbe abbassato a seguirla come un cagnolino!

Aveva del lavoro da fare. Era tornato in città per portare a termine degli affari lasciati in sospeso e invece aveva perso il suo tempo frequentando ricevimenti in compagnia di sua moglie. Non più. Doveva riprendere in mano innumerevoli questioni, non ultima la misteriosa scomparsa di Jasper Gillray. Gray piegò le labbra in una smorfia cinica. Non vedeva l’ora di sfogare la sua ira su un farabutto come lo zio di Kate.

Il sorriso gli morì sulle labbra. Quanto a lei... lui non ne aveva bisogno. Non aveva bisogno di nessuno. E adesso era il momento di provarlo! Era ora di liberarsi di quell’ossessione e mostrare a sua moglie che era padrone della sua vita e di se stesso!

Che andasse al diavolo, pensò. Ma non avvertiva affatto un senso di trionfo, solo un vuoto che si spalancava davanti a lui, minacciando di inghiottirlo.

Kate percorse lentamente le stanze silenziose di Hargate, allungando una mano a sfiorare un oggetto familiare o soffermandosi a guardare un vecchio ritratto, ma nemmeno la sua casa natale riusciva a sollevare il suo spirito. Non aveva provato quel senso di gioia che si aspettava, ritornando a casa, e non lo provava ora, mentre i suoi passi risuonavano lugubri nel corridoio.

Hargate non le era mai sembrata così grande e vuota, nemmeno quando erano rimasti solo lei, Lucy e Tom a mantenere viva l’illusione di una famiglia. Forse era proprio questa la differenza, si disse. Finché sei circondato dalle persone che ami, non importa quanto sia grande una casa o quanto siano vuote le tue tasche. Passandosi una mano sul volto, cercò di allontanare quei pensieri perché conducevano in una direzione pericolosa. Conducevano a Gray e lei non poteva permettersi di ricadere nelle sue illusioni.

Un suono proveniente dall’esterno le fece aprire la porta della cucina e subito un ammasso di pelo rossastro si infilò nella stanza sfregandosi contro le sue caviglie. Polifemo! Kate si chinò per prenderlo in braccio e stringerlo al petto. «Sei riuscito a mantenerti così grasso andando a caccia di topi?» gli chiese. Sedette su una sedia, tenendo il gatto in grembo e affondando il volto nella sua pelliccia, finché le lacrime che aveva trattenuto così a lungo le scoppiarono nel petto.

Il crepuscolo si stava stendendo tutt’intorno quando Kate finì di lavare i piatti, uno per sé e uno per Polifemo. Dopo aver mangiato, il gatto si era rannicchiato nel suo posto preferito, accanto al camino, e Kate lo guardò con invidia. La sua vecchia stanza le sarebbe sembrata fredda e solitaria quella notte, il letto grande e vuoto. Respirando a fondo, cercò di concentrare l’attenzione su qualcos’altro.

Il giorno dopo avrebbe fatto sapere a Lucy che era tornata, così avrebbe potuto raggiungerla e la casa non sarebbe sembrata così desolata, almeno fino alle sue nozze. Mentre pensava alla sorella, udì un nitrito di cavalli e si precipitò alla finestra. Una carrozza stava entrando nelle scuderie, ma non poteva essere Lucy, perché riconobbe lo stemma fin troppo familiare dei Wroth. Che Gray fosse venuto a cercarla?, si chiese.

Il cuore le batteva all’impazzata mentre cercava di prepararsi alla possibilità di un incontro con lui. Eccitazione, collera, amore e disperazione lottavano dentro di lei quando andò alla porta.

Ma non era Gray.

Kate provò una fitta di delusione vedendo Tom che usciva dalle stalle da solo. Naturale che Gray non si scomodasse per venire fino ad Hargate. Probabilmente si era sentito sollevato dalla sua partenza. Meglio così, si disse, mettendo da parte il pensiero del marito e sforzandosi di sorridere al vecchio servitore.

«Tom! Che cosa ci fai qui?»

«Non avrai creduto che ti avrei lasciata qui, tutta sola?» replicò lui. Il suo burbero affetto la commosse ma, benché la sua presenza le fosse di conforto, non voleva sentirsi un peso per nessuno.

«Oh, Tom, non è necessario che tu rimanga qui» protestò.

«Invece sì, e se pensi che non lo farò, ti sbagli, Katie. Sei una marchesa, adesso. Non puoi vivere qui come una fittavola!»

Lei si irrigidì. «Posso vivere dove e come voglio!»

«No, adesso che sei sposata!»

«Forse otterrò l’annullamento» dichiarò.

Tom imprecò a bassa voce. «Sei impazzita? Tu ami quell’uomo, Katie. Tutti possono rendersene conto, e anche lui ti ama.» Prima che lei potesse protestare, riprese: «Avresti dovuto vederlo! Perfino io ho provato pena per lui quando è tornato a casa e ha scoperto che te n’eri andata. Si comportava come un invasato, finché Badcock non ha avuto il coraggio di dirgli la verità».

«Il nostro matrimonio è stato un errore» affermò Kate, inflessibile.

Tom la guardò a lungo e poi scosse il capo. «Santo cielo, sei testarda quanto lui. Proprio una bella coppia, devo dire.» Con una smorfia di disgusto, la oltrepassò ed entrò in casa.

Lucy tardò due giorni a tornare a casa, due lunghi giorni in cui Kate si aggirò irrequieta per la tenuta, vestita con i suoi vecchi abiti da uomo, mentre lei e Tom erano ai ferri corti. La pace che aveva sperato di trovare ad Hargate era un’illusione, perché la famiglia che un tempo aveva conosciuto era divisa.

Finalmente Lucy arrivò nella carrozza del giudice, scortata da Rutledge. Vestita con un abito elegante e circondata dalle attenzioni del promesso sposo, fece il suo ingresso nella vecchia casa come una regina e riservò a Kate un saluto poco caloroso. Liberandosi subito del suo abbraccio, si guardò intorno accigliata, come se deprecasse l’assenza di servitù ad accoglierla.

«Archibold, ti dispiace aspettarmi in giardino?» disse al fidanzato. «Vorrei parlare in privato con mia sorella.»

Infastidita dal suo atteggiamento formale, Kate la seguì tuttavia nel salotto. Lucy agitava il ventaglio con aria da gran dama. «Dio, che caldo!» sospirò. «Immagino che tu non abbia qualcosa di fresco da bere. Una limonata, forse?»

Kate fece una risata amara. Benché la dispensa non fosse più così vuota come un tempo, non c’erano mai stati limoni ad Hargate. Evidentemente Lucy godeva di altre raffinatezze in casa del giudice, e dai suoi languidi movimenti Kate dedusse che era abituata a essere servita in tutto.

«Un po’ d’acqua, allora. Nelle mie condizioni, devo bere molto e non affaticarmi, Kate» disse prendendo posto sul divano e sistemando i cuscini dietro la schiena.

Seccata dal fatto di doverla servire, ma non vedendo altra scelta, Kate fece un cenno del capo. Non voleva ricorrere a Tom, che se ne stava tutto il tempo chiuso nelle scuderie, così andò lei stessa in cucina. Quando tornò da Lucy con il bicchiere in mano, lei la guardò imbronciata. «Non hai del ghiaccio?»

Kate si sforzò di mostrarsi paziente e le sorrise. «Non avevo voglia di andare in paese.»

«In casa del giudice non manca mai nulla. Devo dire che mi sento perfino viziata. Mi dispiacerà lasciare la famiglia del mio futuro marito, una volta che saremo sposati.»

Kate si trattenne dal ricordarle che il giudice Wortley si era approfittato di loro acquistando per una miseria i preziosi ricordi di famiglia, perché non voleva litigare con la sorella. «Mi dispiace che ti venga a mancare qualche comodità, ma sono così felice di averti di nuovo qui con me, Lucy» disse con uno slancio sincero.

Lucy la guardò con espressione stupita. «Qui? Con te? Che cosa vuoi dire?»

«Ora che sono tornata, non c’è ragione perché tu rimanga dai Wortley.»

«Non avrai intenzione di restare qui... così?» esclamò Lucy, inorridita. «Senza nemmeno un domestico?»

«Non è affatto diverso da prima» replicò Kate.

«Oh, sì che lo è!» protestò Lucy. «Io non ti capisco, Kate! Il giudice dice che Wroth è uno degli uomini più ricchi del paese. Puoi avere tutto quello che vuoi, dopo anni di rinunce e fatiche, e tu getti tutto questo per tornare qui! Non ti ho mai capita, ma questa è... è una vera follia!»

Rifiutandosi di parlare di Gray, Kate riportò la conversazione su Lucy. «Tu appartieni a questo posto» disse, fissando la sorella con uno sguardo che non ammetteva discussioni. Rimasero così a lungo, finché Lucy si alzò dal divano.

«E va bene, hai vinto tu, come sempre! Tornerò a stare qui, ma non alzerò un dito per aiutarti e, appena Archibold e io ci saremo sposati, me ne andrò!» Con un fruscio di seta, si voltò per raggiungere il promesso sposo, ma si fermò sulla soglia per lanciarle l’ultima frecciata. «Goditi la tua sofferenza, Kate!»

Gray stava soffrendo. Appoggiò la testa alla spalliera della poltrona ed emise un lungo sospiro. Non credeva che sarebbe stato così difficile sopravvivere senza di lei, e come accadeva a un uomo assuefatto all’oppio e privato della sua pipa, ogni giorno era per lui una lotta. Ogni ora. Aveva sperato di riconquistare la sanità mentale e il controllo di sé; ora si chiedeva se sarebbe mai tornato a essere l’uomo che era stato prima che Kate entrasse nella sua vita.

L’aveva cambiato irrimediabilmente.

E non certo in meglio, pensò con amarezza. Eppure, mentre contemplava la propria debolezza, cominciava a chiedersi se fosse poi un prezzo così alto da pagare per Kate, per la sua compagnia, il suo calore, la sua passione. Gli mancava, gli mancavano i suoi capelli lucidi come seta, i suoi occhi color ametista, la sua bocca, l’espressione del suo volto quando gridava il suo nome...

Dannazione, si stava struggendo per lei come un giovincello romantico! Diede un pugno alla scrivania, come se quel gesto violento potesse aiutarlo a ricomporre le sue facoltà mentali. Ne aveva bisogno, quel giorno. Aveva tenuto segreta la partenza di Kate per evitare che sorgessero altre voci intorno al suo matrimonio, ma qualcosa doveva essere trapelato perché aveva ricevuto un ambiguo messaggio da parte di Lady Parker, che gli chiedeva un colloquio privato a proposito di qualcosa che riguardava sua moglie.

Non poteva permettere che l’assenza di Kate lo rendesse vulnerabile di fronte all’opinione pubblica. Assumendo il solito portamento autorevole, Gray cancellò ogni traccia di debolezza mentre la porta del suo studio si apriva per fare entrare il maggiordomo.

«Lady Parker desidera vedervi, milord» annunciò con uno sguardo da cui trapelava la sua disapprovazione. Tutta la servitù si era affezionata a Kate durante la sua breve permanenza e dal giorno in cui se n’era andata, sembrava che tutti lo guardassero con aria di rimprovero.

Gray lanciò un’occhiata autoritaria al maggiordomo e fece un cenno del capo, inchinandosi leggermente alla donna che era entrata nella stanza.

«Vi ringrazio per avermi ricevuto in circostanze così poco ortodosse» esordì Lady Parker sedendo in poltrona e agitando il ventaglio. «La mia richiesta vi sarà sembrata insolita, ma vi assicuro che avevo dei validi motivi per vedervi.»

«Dovete dirmi qualcosa che riguarda mia moglie?» le chiese Gray, venendo subito al dunque.

«In un certo senso, sì» gli rispose con un viscido sorriso.

«In quale senso?»

«Be’, se volete che sia franca, lo sarò» disse Lady Parker, mettendo da parte ogni posa affettata. «Il fatto è che sono in possesso di alcune informazioni sul conto della marchesa e sono sicura che voi non desiderate che vengano rese pubbliche.»

Gray tenne a freno la collera che l’aveva assalito. Era abituato ad affrontare degli attacchi alla sua persona, ma quando c’era di mezzo Kate, la cosa cambiava completamente. «Quali informazioni?»

«Oh, come siete freddo!» La donna si chinò verso di lui con espressione avida. «Ne so abbastanza, ma non sono così folle da rivelarvi ogni cosa senza la promessa che sarò adeguatamente ricompensata per il mio disturbo.»

Gray rise e la fissò con uno sguardo fiero che la fece trasalire. «Non avrete un penny da me e nel caso in cui abbiate intenzione di mettere in moto la vostra lingua velenosa, lasciate che vi metta in guardia. Rovinerete solo voi stessa.» Aprì un cassetto della scrivania e ne estrasse un pacco di carte che gettò sul ripiano.

Lady Parker si portò una mano alla bocca riconoscendo le registrazioni dei propri debiti. «Come avete avuto quelle carte?»

«Credete di essere la prima persona che cerca di ricattarmi, madame?» le domandò Gray, inarcando un sopracciglio. «Se fossi in voi, ci ripenserei. Ho avuto la meglio su delinquenti più scaltri di voi e i vostri tentativi di spillarmi denaro non meritano nemmeno la mia attenzione. Potete essere contenta che non vi denunci.» Si alzò in piedi e concluse con sguardo duro: «Un altro avvertimento, madame: non fatevi più vedere in questa casa. Non voglio venire a sapere che avete infastidito mia moglie con i vostri sporchi trucchi».

Il lampo di terrore che le balenò nello sguardo gli trasmise un brivido lungo la spina dorsale. Prima ancora di aprire bocca, Gray aveva già intuito la verità.

«Avete già parlato con lei» disse lentamente.

L’accusa andò a segno perché Lady Parker si fece più piccola, come se temesse che volesse colpirla. Gray si trattenne solo grazie alla sua forza di volontà e al pensiero che quella ignobile creatura potesse essere responsabile della fuga di Kate.

Possibile che se ne fosse andata per questo?, si chiese. Per proteggerlo dai pettegolezzi? Dominando le emozioni che ribollivano in lui, andò alla porta e la spalancò. Avrebbe indagato più tardi le motivazioni di Kate, ora voleva solo liberarsi della sua aguzzina.

«Fuori di qui!» tuonò. «E se direte una sola parola su mia moglie, giuro che vi ridurrò a chiedere l’elemosina all’angolo delle strade!»

Kate lavò i piatti della colazione in silenzio. Cucinare per Tom e Lucy non le aveva dato lo stesso piacere di un tempo. Chiusa nel suo risentimento, la sorella passava poco tempo in casa, mentre Tom non sembrava apprezzare i suoi sforzi, ma la guardava con aria di rimprovero, prendendo le parti di Gray.

«Hai una nuova vita, adesso, Katie. È ora che ti stacchi dal passato. Tuo padre è morto e non ci sarà un altro conte, a meno che tu non ne generi uno!» le aveva detto, spingendo da parte la scodella.

Kate era arrossita e l’aveva guardato con durezza, allontanandolo dalla cucina e preferendo rigovernare da sola piuttosto che sentire le sue prediche. Tom non aveva idea di quello che c’era tra lei e Gray. Nessuno poteva saperlo! Nessuno sapeva che si addormentava ogni notte sfinita dalle lacrime, morendo dal desiderio che lui venisse a cercarla. Ma Gray non l’aveva fatto e non l’avrebbe fatto mai; semplicemente, non contava abbastanza per lui.

E lui invece contava così tanto per lei, che non poteva accontentarsi di meno.

Ricacciando indietro le lacrime in un sussulto di orgoglio, si concentrò sui compiti che l’avrebbero tenuta occupata per tutto il pomeriggio. Aveva appena deciso di dedicarsi al giardinaggio, quando udì il rumore di una carrozza. Scostando le tendine della finestra, vide che era quella del giudice Wortley che riportava Lucy a casa. Essendo domenica, era uscita dopo colazione per andare a messa e Kate aveva pensato che avrebbe preferito trascorrere il pomeriggio in casa dei Wortley.

Si asciugò le mani e andò all’ingresso principale, sicura che la sorella si sentisse troppo importante per usare quello della servitù. Infatti aveva appena raggiunto la porta, quando Lucy entrò, seguita da Rutledge e da un altro uomo. Vestita com’era in pantaloni da lavoro, Kate non si aspettava visite, ma ormai era troppo tardi per rifugiarsi di sopra perché Lucy la strinse fra le braccia con insolito slancio.

«Oh, Kate, è una catastrofe! Ed è tutta colpa di Wroth, che ha risvegliato le mie speranze solo per distruggerle così crudelmente!» esclamò, scoppiando a piangere sulla sua spalla.

«Che cosa è successo?» chiese Kate a Rutledge, sconcertata, ma lui si limitò a scuotere il capo.

«Vi dirò io che cosa è successo!» intervenne l’altro uomo, facendosi avanti. Kate lo guardò incuriosita: era piccolo e magro e, benché vestisse come un gentiluomo, i suoi abiti non erano della migliore qualità. Aveva due occhi porcini dallo sguardo avido e, nel complesso, corrispondeva alla sua idea di un ricattatore molto più di Lady Parker.

Lucy sollevò il capo e scoppiò in un nuovo pianto dirotto. «Si rifiuta di dare la sua approvazione alle nozze!»

«Che cosa?» Kate si rivolse allo sconosciuto. «Si può sapere chi credete di essere, Mr....?»

«Brown. Mr. Brown, per voi, e vengo da parte dell’uomo che amministra questa tenuta. È il tutore di questa giovane donna e lei non può sposarsi senza il suo consenso.»

Zio Jasper. Kate provò un tuffo al cuore, ma, benché la sua mente fosse travolta da un turbinio di pensieri, mantenne un atteggiamento altero. «Come possiamo essere certe che siate veramente quello che dite? Avete una lettera di presentazione?»

Brown fece una risata raccapricciante. «No, non ho nessuna lettera e non ne ho bisogno. Dov’è la sorella maggiore? Ho qualcosa anche per lei» aggiunse con un sorriso diabolico.

Kate lo guardò con freddezza. «Sono io» dichiarò, imitando il tono arrogante di Gray.

L’uomo rimase a bocca aperta e quindi scosse il capo. «Non cercate di ingannarmi. Sto cercando una delle figlie del conte, non una sgualdrina in abiti maschili.»

Per una volta, Kate si rammaricò del suo aspetto trasandato. A Londra aveva imparato che in certi ambienti l’apparenza era tutto. Non per questo depose il suo atteggiamento fiero. «Credete quello che vi piace. La vostra presenza non è più gradita.»

«Ve l’avevo detto che Kate vi avrebbe cacciato fuori di casa, miserabile individuo!» esclamò Lucy, sollevando il capo per lanciare un’occhiata di disprezzo a Brown.

Aggrottando la fronte, lui guardò prima l’una e poi l’altra. «Kate, dite?» La scrutò più attentamente e fece un sorriso soddisfatto. «Bene, bene. Così voi siete la figlia maggiore del conte.»

La confusione aveva attirato Tom, che scelse proprio quel momento per entrare nell’atrio. «Chi è quest’uomo, Katie?» domandò.

«Sostiene di essere stato inviato dal nostro tutore» gli rispose, sforzandosi di mantenere un tono imperturbabile.

«Non sono affari vostri, vecchio» disse Brown, liquidando il cocchiere con un’occhiata. «Sono qui solo per assicurarmi che le due ragazze si comportino bene fino all’arrivo di Jasper. Il che significa niente nozze» concluse con un sorriso maligno.

«Troppo tardi» replicò Kate. «Io sono già sposata e mio marito, il Marchese di Wroth, non apprezzerà questa interferenza.» Mantenne deliberatamente sul vago la sua minaccia perché la sua posizione era poco credibile, sola com’era in quella casa. Improvvisamente la sua fuga ad Hargate le sembrò infantile e avventata.

Brown scoppiò in una risata. «Bene. In questo caso faremo annullare il vostro matrimonio!»

Benché lei stessa avesse contemplato quella possibilità, sentirla esprimere ad alta voce le provocò una fitta al cuore.

Era troppo definitivo, troppo doloroso. Che Gray la amasse o meno, si rese conto che non poteva rinunciare a lui, né ora né mai. Quella scoperta le ridiede forza e sorrise a Brown con aria di superiorità.

«Non potete toccare Wroth. È uno degli uomini più potenti del paese.»

«Non minacciatemi» la mise in guardia lui, avanzando.

Kate rimase al suo posto, mentre Tom le faceva scudo con il proprio corpo. «Allontanatevi da Lady Wroth, infame, o chiamo il giudice e vi faccio mettere in galera! Fuori di qui!»

Il volto di Brown si contrasse in una smorfia oscena. «No, siete voi che ve ne andrete. Questa casa non appartiene più alle figlie del conte, e nemmeno a voi. Siete licenziato!»

Tom stava per scagliarsi su di lui, ma Kate lo trattenne per un braccio. Benché minuto e piccolo di statura, Brown aveva l’aria pericolosa e poteva essere armato. Non voleva che Tom rischiasse per loro. Oltretutto, non poteva fare nulla se Jasper avanzava le sue pretese su Hargate. C’era una sola persona che avrebbe potuto aiutarle. Avvicinandosi al cocchiere, gli sussurrò all’orecchio: «Corri a chiamare Wroth».

Tom la guardò stupito, quindi si ritirò, ancora riluttante, borbottando terribili maledizioni contro Brown se fosse accaduto qualcosa alle sue ragazze. Brown si limitò a ridere, mentre Lucy scoppiava nuovamente in lacrime e Rutledge si torceva le mani, impotente. Kate incontrò il suo sguardo sopra la testa di Lucy. Per quanto sapesse che Archibold era un codardo, era sicura che non avrebbe permesso che succedesse qualcosa alla fidanzata. Ma se fosse arrivato Jasper, che cosa avrebbe potuto fare il povero giovane da solo?

Con un brivido, si rese conto che tutte le loro speranze erano riposte in Gray. Ma sarebbe venuto in aiuto di una donna che l’aveva lasciato?