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Grayson sollevò un sopracciglio con aria di riprovazione mentre Tom irrompeva nella stanza con il vassoio della colazione. Il vecchio era il peggior servitore che avesse mai visto; ora, per esempio, aveva posato il vassoio senza alcun riguardo per il tè, che era traboccato dalla tazza. Era evidente che non era abituato a servire a tavola.

Grayson si domandò se Kate e i suoi compagni non lo stessero nascondendo agli altri abitanti della casa, perché non aveva ancora visto una cameriera o una domestica. Decise che avrebbe indagato in seguito; adesso era affamato. Tom gli porse il vassoio con aria riluttante, come se gli invidiasse ogni boccone, poi fece un passo indietro ma, invece di uscire, si piazzò ai piedi del letto.

Grayson sistemò il vassoio sulle ginocchia e fissò il cocchiere che lo guardava con espressione torva. «C’è qualcos’altro, Tom?» chiese.

«Sì, milord.» Il vecchio pronunciò la parola con un tono che lasciava capire come dubitasse della vera identità del suo interlocutore. «Kate è ancora ingenua, ma non voglio che debba soffrire per questo. Vi avverto che vi tengo d’occhio.»

«Lo state facendo anche adesso?» chiese imperturbabile Grayson.

«Certo» grugnì Tom. «E penso che forse siete Wroth e forse no.»

«E forse voi siete un servitore incompetente o un sicario che ha fallito il suo compito» disse Wroth, senza alzare gli occhi dal cibo.

Quando sollevò lo sguardo, Tom era impallidito visibilmente.

Il vecchio scivolò fuori della stanza con un’espressione imbronciata che mise di buon umore Grayson.

Quando ebbe finito di mangiare, posò il vassoio sul pavimento, rammaricandosi di non avere a disposizione la sua servitù e il cuoco francese che aveva assunto per la tenuta di campagna. Benché mangiabile, la colazione era stata semplice e scarsa, niente a che vedere con i cibi raffinati che si sarebbe aspettato in una casa signorile come quella. Questo pensiero lo riportò alle tessere del puzzle che tentava di risolvere.

Cercando di alzarsi lentamente, avvertì una fitta alla spalla e la colazione gli si rivoltò nello stomaco. Evidentemente non si era ancora ripreso del tutto, ma strinse i denti e riuscì a mettersi in piedi. Era stanco di essere confinato a letto.

E per di più doveva fare delle indagini, non solo per soddisfare la sua curiosità, ma anche per proteggere se stesso. Anche se la sua ospite era attraente e gentile, Grayson aveva solo la sua parola che non avevano intenzione di fargli del male. Voleva assicurarsi che fossero veramente in buona fede prima di chiudere di nuovo gli occhi.

Ancora una volta sistemò i cuscini sotto le coperte in modo che formassero la sagoma di un corpo, poi raggiunse la porta e l’aprì. Di fronte a lui si stendeva un lungo corridoio, con tappeti eleganti anche se un po’ consunti. Il silenzio era quasi palpabile. Quella quiete parlava da sola perché Grayson non aveva mai visto una casa di campagna dove la servitù non fosse affaccendata e gli ospiti non fossero impegnati a giocare a carte o a divertirsi.

Lì invece non si udiva alcun suono mentre ispezionava le stanze del piano superiore. Le prime in cui entrò sembravano disabitate da tempo e il sottile strato di polvere che ricopriva i mobili faceva pensare a una carenza di servitù. Quando finalmente trovò una stanza che sembrava abitata, Grayson rimase impressionato dal disordine che vi regnava. Abiti, cappelli e guanti erano sparpagliati tutt’intorno e l’arredamento era costituito da un’accozzaglia di mobili che sembravano provenire da altre stanze.

Grayson raccolse dalla spalliera di un sofà un vestito di seta azzurra e sentì un intenso profumo di gardenia. Non era di Kate. Lasciò ricadere l’indumento dove l’aveva trovato e si guardò attorno. Un grande specchio era appoggiato al ripiano di una toeletta, ingombro di boccette di profumo e di una quantità di altri oggetti femminili. Probabilmente appartenevano a Lucy, pensò, ricordando la giovane donna dai capelli chiari e dalla voce stridula. Oltre al disordine non c’era niente di particolare in quella camera.

Una porta comunicante conduceva in un’altra stanza che era ovviamente quella di Kate. Grayson lo capì all’istante perché rifletteva alla perfezione l’immagine che si era fatto di lei. Pulita e ordinata, senza le guarnizioni romantiche e i cuscini di pizzo della sorella, conteneva poco più che un letto, una toeletta e un armadio, uno scrittoio intarsiato e una sedia. Lo specchio posato sulla toeletta era piccolo e faceva parte di un completo in avorio che comprendeva spazzola e pettine. Non c’erano profumi. Grayson si chiese se quella leggera fragranza di menta che aveva trovato così invitante non fosse l’aroma naturale della misteriosa Kate.

Cacciò subito quel pensiero dalla mente e si accinse a ispezionare la stanza. Aprì i cassetti e l’armadio, ma non trovò nulla di insolito, eccetto un misero guardaroba che comprendeva anche qualche abito maschile come quello che lei aveva addosso nel suo studio. Incredibilmente fu preso da una strana agitazione alla possibilità che un marito o un altro uomo potesse vivere lì con Kate.

Scosse la testa e la stanza prese a girargli intorno. Grayson raggiunse il letto e fece qualche respiro profondo. No, si disse quando si fu ripreso: era sicuro che la ragazza non era mai stata baciata prima. E in effetti, a parte le camicie e i pantaloni, non c’erano altri segni della presenza di un uomo, il che poneva la questione di dove vivesse Tom.

Si rese conto che la soluzione del puzzle doveva attendere perché, anche se le vertigini erano passate, non voleva mettere a dura prova la sua resistenza. Perciò si rialzò e tornò nella sua stanza cercando di non fare rumore.

La camera che occupava era più grande e confortevole rispetto alle altre e Grayson si chiese perché nessuna delle due ragazze la usasse.

Forse erano delle parenti povere che non avevano diritto di scegliere, oppure l’occupante di quella stanza era assente. Aveva anche notato che alle pareti dovevano essere stati appesi dei quadri ora mancanti. Forse il proprietario della casa era in difficoltà finanziarie; questo avrebbe spiegato la mancanza di domestici, ma non il motivo per cui le due sorelle vivevano lì.

Un dolore alla testa, unito a quello alla spalla, lo indusse a stendersi sul letto. Aveva bisogno di recuperare le forze, e subito. Contrariato per la propria debolezza, chiuse gli occhi. Se non altro non aveva trovato niente di sospetto nelle stanze del piano superiore. Questo confermava la sua sensazione che Kate, la sorella e il loro rozzo compagno fossero innocui come dicevano. Per di più l’istinto gli suggeriva che Tom non sarebbe stato così ansioso di mandarlo via se avesse avuto un motivo per tenerlo prigioniero.

Sì, probabilmente le due giovani donne e il vecchio non erano pericolosi, salvo il fatto che erano penetrati in casa sua e gli avevano sparato. Sospettava che il suo sequestro fosse un’idea di Kate desiderosa di farsi perdonare l’incidente.

Grayson si svegliò udendo un rumore sordo che sembrava provenire dalla sua testa e gli pulsava nella spalla, nella gola secca e nelle orecchie, assordandolo. Aprì gli occhi e li mise a fuoco su un uomo anziano. Era uno dei suoi stallieri? No, scosse la testa e deglutì quando riconobbe le sopracciglia folte e brizzolate di Tom.

Il vecchio lo guardava con aria di disapprovazione. «Se pensate di fare la scena rimanendo a letto, vi dico subito che non ingannerete nessuno» disse con voce alta e sgradevole. «E io non sono qui per servirvi, che siate un marchese o no. Ecco la vostra camicia» aggiunse gettandogliela in malo modo ai piedi del letto. «È stata lavata e rammendata il meglio possibile, così vi potrete vestire per la cena. Noi ceniamo presto: cercate di scendere per le sette.» Con uno sguardo torvo, si tirò su i pantaloni e se ne andò.

Grayson batté le palpebre. Perfino quelle gli dolevano. Dannazione, non ricordava di essere mai stato così male. Con un gemito si mise a sedere e raccolse la camicia. Una volta era la più elegante che si potesse comprare, adesso aveva una nuova cucitura lungo la spalla. Grayson rabbrividì al pensiero di quanto fosse stato vicino a esalare l’ultimo respiro.

Lo sforzo per infilare l’indumento dalla testa e allacciare i polsi gli fece venire le vertigini e lo lasciò ansimante. Che cosa gli succedeva? Sporgendosi in avanti, cercò di infilarsi gli stivali da solo, ma rimase senza fiato per la fatica.

Si guardò attorno cercando il panciotto e la giacca, ma non c’erano. Probabilmente quegli indumenti non erano ancora asciutti e, anche se non era abituato a cenare in maniche di camicia, pensò che era sempre meglio che cenare a letto. Il dolore alla spalla e alla testa era così intenso da fargli passare l’appetito, ma la cortesia, se non la curiosità, richiedeva la sua presenza, così aprì la porta e s’incamminò lungo il corridoio.

La scala principale conduceva a un atrio piastrellato dove non incontrò né maggiordomo né camerieri. Si fermò per riprendere fiato e, guardando il soffitto affrescato, fu colto da uno strano senso di familiarità. Era già stato in quel posto, oppure quel déjà vu era dovuto solo al ricordo confuso della notte prima, quando a tratti si riprendeva dallo stato di incoscienza?, si chiese.

Senza domestici che gli indicassero la strada, fu obbligato a seguire il suono delle voci lungo una galleria affiancata da colonne.

I suoi passi vacillarono e di nuovo si chiese se avesse già percorso quel corridoio, anche se era sicuro di non averlo fatto la notte prima. La strana sensazione persisteva, creando intorno a lui un misterioso senso di irrealtà.

Continuò anche quando raggiunse l’ampia sala da pranzo dove lo attendeva quella strana combriccola di rapitori: Kate, dolce e innocente come un angelo; sua sorella, petulante e scontrosa, e l’onnipresente Tom, che sarebbe parso molto più a proprio agio in una stalla che circondato da fini porcellane e cristalli.

«Milord» lo salutò Kate. «Siete un po’ pallido. Forse non avreste dovuto alzarvi.»

Grayson la vide avvicinarsi come in un sogno: gli occhi dolcissimi che lo guardavano preoccupati, le mani tese verso di lui.

Forse gli avrebbe accarezzato ancora la fronte, pensò, frastornato. Kate si fermò davanti a lui con i riccioli scuri che splendevano alla luce della candela. Grayson avrebbe voluto toccarli.

«State bene?» gli chiese.

Grayson cercò di fare un inchino, ma fu preso dalle vertigini. «No» riuscì a dire, prima che tutto diventasse buio.

Per la seconda volta in due giorni, Kate guardava inorridita il marchese svenuto ai suoi piedi. Si inginocchiò per posargli una mano sulla fronte e ricevette la conferma dei suoi timori.

«Scotta! Tom, portalo di nuovo di sopra!»

«Insomma, Kate!» esclamò Lucy, disgustata. «Non avresti dovuto portarlo qui. Guardalo!»

Kate lo fece e le si strinse il cuore vedendolo ancora privo di sensi, con il bel volto pallido ed esangue, gli occhi chiusi e il corpo distrutto dalla febbre. «Me ne occuperò io» mormorò.

«Oh, benissimo. Ti terrò da parte la cena» promise Lucy. «Ma potrei mangiare la sua parte. Non ha senso sprecarla.»

«No, certo che no» replicò Kate, abituata al comportamento freddo della sorella. Era uno dei difetti di Lucy quello di dare importanza solo ai propri desideri, ma Kate conosceva le privazioni che aveva sofferto negli ultimi anni ed era disposta a perdonarla se desiderava qualcosa di più per sé e per il bambino che portava in grembo.

«L’avrei lasciato di sopra, se avessi saputo che mi sarebbe toccato riportarlo in spalla» brontolò il cocchiere, sollevando il corpo del marchese.

«Non avresti dovuto lasciarlo scendere» lo rimproverò Kate. «Era meglio che andassi io, invece di lasciarmi convincere da te.»

«Te l’ho già detto, è sconveniente che tu accudisca un gentiluomo!»

Kate gli rispose con una smorfia mentre lo seguiva. «Come se adesso avesse importanza!» Era l’unica in quella casa ad avere un po’ di buon senso? Il Marchese di Wroth era ferito e malato per colpa sua e nessuno sembrava preoccuparsene minimamente; anzi, gli altri apparivano infastiditi.

Arrivato nella stanza al piano superiore, Tom lasciò cadere Grayson sul letto senza cerimonie. «Immagino che adesso dovrò togliergli gli stivali.»

«Sì, e anche la camicia.» Kate si sforzava di mantenere la calma, lottando contro il panico crescente. Doveva avere la mente lucida se voleva salvarlo e non voleva nemmeno mettere in dubbio che ci sarebbe riuscita. Anche se lei e la sorella vivevano appartate in campagna da tanto tempo, aveva già sentito il nome di Wroth. Ricco, potente, pericoloso. Queste erano le parole che venivano usate per descriverlo e se Kate non ci aveva fatto caso quando era spinta dalla sete di vendetta, adesso le ritornavano alla mente per tormentarla, facendole balenare l’immagine di una folla inferocita che la chiamava assassina.

Cacciò quel pensiero e, rimboccandosi le maniche, si mise al lavoro. «Va’ a prendere il libro dei medicamenti della mamma, per favore» disse a Tom, mentre sedeva accanto al marchese per controllare la fasciatura. «E guarda se c’è dell’alcool in casa: ci dovrebbe essere del brandy in cantina. E porta un secchio di acqua dalla sorgente, così sarà bella gelata.»

Visto che Tom esitava, gli lanciò un’occhiata inquisitrice. «È sconveniente» brontolò il vecchio con espressione caparbia.

Per poco Kate non scoppiò in una risata isterica.

«Sconveniente? Che importanza può avere, ormai? Lucy è incinta di un uomo che si è spacciato per un altro e noi non sappiamo nemmeno chi sia!»

«Be’, questo non...»

Kate lo interruppe con un’occhiata tagliente. «Non abbiamo altra scelta, Tom. Lo sai bene.»

Si fissarono a lungo in una sfida di sguardi, finché Tom abbassò gli occhi e borbottò una delle sue imprecazioni. «Non è giusto» disse, testardo. Poi sollevò lo sguardo e aggiunse in tono più mite: «Me ne occuperò io».

«No» replicò Kate con fermezza. Gli aveva già affidato Wroth una volta e lui aveva fallito, non sapeva se di proposito o per errore. Questo aveva solo confermato la lezione che aveva imparato tanto tempo prima: l’unico modo per essere sicura che qualcosa venisse fatta per bene era farla lei stessa.

Attese finché non udì i passi di Tom che si allontanavano, poi si mise al lavoro. Sotto il colorito innaturale che arrossava le guance di Wroth, Kate intravedeva la forza e la bellezza del suo volto. Quell’uomo elegante e sicuro di sé l’aveva baciata, pensò, ancora stupita al ricordo.

Non sapeva perché l’avesse fatto. Forse era convinto che fosse una cameriera facile da sedurre, o forse pensava che una giovane di buona famiglia non andasse in giro vestita con abiti maschili. Qualunque fosse la sua motivazione, Kate era segretamente eccitata dall’interesse che le aveva dimostrato. Nella lotta quotidiana in cui si era trasformata la sua vita, non avrebbe mai pensato di conoscere l’oscuro mondo dei sensi in cui si era sentita trasportare fra le sue braccia. Avrebbe portato dentro di sé quel piccolo miracolo per tutta la vita.

Sbuffando a quei pensieri sentimentali, si chinò sul malato riportando la sua attenzione su di lui.

Era responsabile della sua salute e, se oltre a sottrarsi a un’accusa di omicidio, aveva altre ragioni per salvargli la vita, non si soffermò a indagarle.

Kate aprì gli occhi assonnati e li puntò sul letto, rischiarato dalla luce delle candele. Wroth si era liberato dalle coperte e si agitava senza posa. Tutto quello che poteva fare lei era applicargli degli impacchi di acqua fredda. All’inizio gli aveva bagnato solo la fronte e il viso, ma quando la febbre era salita, aveva cominciato a mettergli delle pezze bagnate anche sulle braccia e sul petto. Questo sembrava avergli dato un momentaneo sollievo, ma adesso si stava agitando ancora più di prima. Kate guardò i pantaloni che lo coprivano.

Tom non avrebbe approvato.

Lucy ne sarebbe stata scandalizzata.

Che andassero al diavolo, pensò Kate, determinata. Avrebbe fatto tutto il possibile per salvare la vita a quell’uomo e se era necessario che gli togliesse i pantaloni, erano solo affari suoi.

Ammucchiò le coperte ai piedi del letto e si accinse all’impresa. Sapeva come fare perché indossava spesso abiti maschili, ma un conto era vestire se stessa e un altro spogliare il marchese.

Le sue dita annasparono sul bacino di Wroth riuscendo alla fine a slacciargli i pantaloni. Afferrò la stoffa sui fianchi e tirò con forza.

Non aveva mai visto un uomo nudo e si sentì avvampare mentre il sangue le pulsava alle tempie. Cercò di distogliere lo sguardo dalle sue parti intime e respirò a fondo, mentre finiva di sfilargli l’indumento dalle caviglie.

Wroth gemette e rotolò su un fianco, ma anche così non era molto meglio, perché la vista delle sue cosce asciutte e muscolose era altrettanto conturbante.

«Maledizione» mormorò tra sé Kate, arrossendo di nuovo. Scostandosi dal letto, gettò a terra i pantaloni e riempì la ciotola con l’acqua della sorgente che Tom le aveva portato.

Era un bene che il vecchio cocchiere non potesse vederla in quel momento, pensò. Non solo aveva spogliato un uomo, ma aveva provato un brivido di eccitazione alla vista del suo corpo nudo. Un brivido sottile che le faceva tremare leggermente le mani mentre posava la pezzuola bagnata sulla schiena di Wroth, lontano dalla benda che copriva la ferita.

Appena sfiorò la pelle che copriva quei muscoli scattanti, il tremito si trasformò in una sorta di languore addolcendo e rallentando i suoi gesti. Se gli impacchi avevano l’effetto di abbassare la temperatura del marchese, sembrava che facessero salire la sua. Le sconosciute sensazioni che provava erano così irresistibili, che Kate indugiò e fece scorrere le dita sulla pelle levigata seguendo il disegno dei muscoli guizzanti. Non c’era niente di male, dopotutto, si disse: stava facendo qualcosa di necessario e Wroth non avrebbe ricordato nulla al risveglio.

Era così bello, pensò mentre gli bagnava le cosce, coperte da una sottile peluria. Chissà come sarebbe stato avere un simile uomo al fianco... Quel pensiero la colse di sorpresa, facendole cadere di mano la pezzuola. La recuperò tra le lenzuola e con gesto nervoso la gettò nella ciotola, incurante degli spruzzi.

Che follia, si disse. Un conto era ammirare il suo corpo e curare le sue ferite, ma non voleva che ci fossero altri legami tra quell’uomo e lei. Era già abbastanza che gli avesse sparato, facendola sentire responsabile della sua vita, e ancor peggio che l’avesse baciata. No, decisamente non c’era spazio per altri sentimenti riguardo il Marchese di Wroth.

Mentre lo guardava, lui sembrò uscire dal suo letargo e si girò sulla schiena. Sollevò un braccio e gemette come se protestasse per l’interruzione degli impacchi, quindi colpì la testiera del letto con un pugno.

«Fermo, fermo» mormorò Kate. «Non muovetevi, Wroth!» Come aveva detto che si chiamava? Grayson Wescott. «Grayson, ssh...» gli sussurrò, chinandosi su di lui per riportargli il braccio lungo il fianco. A un tratto si trovò imprigionata contro il suo petto. Seppure infermo, aveva una forza impressionante e troppo tardi Kate si ricordò della sottile aura di pericolo che lo circondava.

«Oh!» gridò, sentendo le dita del marchese insinuarsi tra i suoi capelli. Cercò di divincolarsi, ma era prigioniera della sua stretta. Una sensazione di calore la assalì insieme all’odore fresco delle lenzuola pulite e a un inconfondibile aroma maschile. Kate si sentiva stordita, disorientata, mentre stava sospesa a pochi centimetri dal suo volto. Poi Wroth mosse le palpebre e aprì gli occhi, ancora febbricitanti ma sorprendentemente lucidi. Era sveglio? Kate era così stupita che riusciva solo a fissare quelle pozze grigie, trattenendo il respiro.

Lentamente sentì le sue dita stringersi attorno ai suoi capelli. «Vuoi provare ancora a uccidermi, piccola?» disse con voce chiara.