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Grayson stringeva fra le dita quei riccioli morbidi come seta e si domandava se stesse sognando. Lei l’aveva accarezzato di nuovo, non solo sulla fronte, e questa volta non c’era niente di materno nel suo tocco. Eppure ora lo stava guardando con un misto di innocenza e terrore.

No, non era un sogno, ma un incubo. Un incubo che cominciava con calde, sensuali carezze, e finiva con un dolore martellante alla testa e il volto spaventato di una giovane donna.

Grayson si lasciò ricadere sui cuscini e la udì scivolare via.

Fu di ritorno in un attimo, forzandolo a bere un po’ di tè freddo. Grayson spinse via la bevanda, si girò e nascose il volto in un cuscino che aveva lo stesso profumo di quella donna.

L’oscurità lo avvolse di nuovo e lui vi sprofondò, grato di perdersi nell’oblio.

Tom entrò in cucina, stupito di non sentire il consueto profumo di pane fresco. Di solito Kate si alzava presto e a quell’ora c’era sempre qualcosa di pronto per colazione.Quel giorno, invece, la cucina era deserta e il forno non era nemmeno stato acceso. Dov’era Kate?, si chiese.

Improvvisamente ricordò di averla lasciata in camera di Wroth, la sera prima, e si affrettò lungo la scala della servitù salendo gli scalini il più rapidamente possibile. Non si fermò nemmeno davanti alla stanza di Kate, ma si diresse subito verso quella che era stata la camera del padre delle ragazze ed entrò senza curarsi di bussare.

I suoi timori, vaghi e confusi, si dissolsero appena la vide. Dormiva in una poltrona di fianco al letto, raggomitolata come un gattino, i riccioli scuri arruffati e il bel viso rilassato.

Tom sorrise a quella vista, ma poi si rabbuiò in volto guardando l’uomo che giaceva prono sul letto, a malapena coperto dalle lenzuola. La sua schiena era una massa di muscoli d’acciaio. Non aveva per niente l’aria di un marchese.

Tom si ripropose di fare un salto a Londra e cercare di raccogliere qualche informazione sul vero Wroth. Sì, decise grattandosi il mento, sarebbe partito subito dopo la colazione. Ma nel frattempo il suo stomaco reclamava e, dato che non voleva disturbare Kate, uscì dalla stanza chiudendo silenziosamente la porta dietro di sé.

In pochi minuti fu in cucina, accese il fuoco nell’ampio camino e affettò il pane del giorno prima. A Lucy piaceva così, con burro e marmellata, e se non l’avesse trovato, avrebbero subito tutti le conseguenze del suo malumore.

Aveva appena versato il tè, quando lei entrò in cucina. Indossava un abito della madre che aveva rimodernato.

Tom non si intendeva di moda, ma Lucy appariva sempre incantevole, anche se a volte rovinava l’effetto con i suoi atteggiamenti petulanti.

«Dov’è Kate?» domandò subito.

«Di sopra, sta curando il ferito.»

Lucy si accigliò. «Non avrei mai pensato che quell’uomo diventasse per lei più importante della sua famiglia. Vedi come ci trascura?»

Tom sorrise fra sé all’idea di essere incluso tra i membri della loro nobile stirpe, ma tenne per sé il proprio divertimento e si limitò a metterle davanti un piatto con pane tostato, burro e marmellata.

Lucy lo ricompensò con un sorriso luminoso.

«Che Dio ti benedica, Tom!»

Lui liquidò il complimento con un cenno della mano e sedette a tavola. Aveva fatto del suo meglio nel cucinare le uova che aveva raccolto nel pollaio, ma non erano così gustose come quelle di Kate. I suoi pensieri tornarono a lei.

«Ha di nuovo quell’aria da cucciolo ferito» mormorò tra i denti.

«Chi?» chiese Lucy con aria distratta.

«Katie, naturalmente!»

Lucy lo guardò indignata. «Katie non sarà una bellezza, ma non ha mai avuto l’aria di un cane!»

«Non lei! Volevo dire che ha la stessa espressione che le ho visto quando ha portato a casa uno di quei cagnacci feriti, l’uccellino con l’ala spezzata o quel gatto con un occhio solo.» Tom alzò le spalle e si guardò attorno, aspettandosi di veder comparire l’ultimo animale che aveva nominato. Quel demonio era famoso perché rubava il cibo dal piatto appena il proprietario voltava gli occhi.

Assicuratosi che il gatto non fosse in agguato, ritornò a Lucy. «La conosci, sai che non può fare a meno di raccogliere una creatura che ha bisogno d’aiuto.»

Lucy si fece pensosa e corrugò la fronte. «Be’, in un certo senso è la stessa cosa per il marchese, dato che è ferito. Ma quando sarà guarito se ne andrà per la sua strada» disse, alzando la mano in un languido gesto.

«Temo che non sarà così facile, Lucy.»

«Perché no?»

Tom posò la forchetta. «Ricordi come è rimasta male quando il piccione è volato via? E quando è sparito quell’agnellino zoppo? Be’, come credi che la prenderà, quando se ne andrà il marchese?»

«Ne sarà felice, come tutti noi!» esclamò Lucy, senza nascondere la propria antipatia per il gentiluomo. «Non è proprio il caso di ospitare uno sconosciuto nella stanza di papà. Appena si sarà ripreso, Kate lo manderà via.»

Tom scosse il capo. «No, dammi retta, un uomo è una cosa diversa da un cane o da un uccello. E se si affezionasse a lui? Che cosa accadrebbe, allora, alla sua partenza?»

«Non so che cosa tu voglia insinuare, Tom.» Evidentemente annoiata da una conversazione che non verteva su di lei, Lucy scostò il piatto vuoto e si alzò da tavola. «Ma mi rifiuto di preoccuparmi per Kate. Mia sorella sa sempre quello che sta facendo.»

Tom non era d’accordo con lei. Come al solito, Lucy non riusciva a vedere al di là del suo naso e rifiutava di farsi carico dei problemi che non la riguardavano di persona. Lui, invece, intuiva che i problemi stavano per esplodere. Se lo sentiva nelle ossa. L’aveva capito nel momento stesso in cui aveva posato gli occhi sul marchese.

«Qualsiasi cosa si prepari, non ne verrà niente di buono, te lo dico io» borbottò tra sé accingendosi a lavare i piatti della colazione. «Proprio niente di buono.»

Kate riprese a fare gli impacchi. Mentre passava la pezzuola bagnata sul corpo febbricitante di Wroth, cercava di non pensare ai muscoli che sentiva al tocco, ma era uno sforzo vano. Di tanto in tanto gettava un occhio al volto del marchese, nel caso ritornasse in sé.

Era così intenta nel suo compito che quando la porta si aprì, sobbalzò. Posò la pezzuola e si girò a salutare Tom, che la guardava accigliato dalla soglia. Il vecchio cocchiere fece qualche passo avanti per osservare la scena e poi scosse la testa con aria di disapprovazione.

«Santo cielo, Katie, lascia che gli metta una camicia da notte. Non è decoroso che se ne stia mezzo nudo mentre lo accudisci.»

Kate controllò rapidamente che le coperte fossero ben rimboccate intorno ai fianchi di Grayson. Aveva lavato e steso i suoi pantaloni, ma naturalmente Tom non li aveva visti, altrimenti avrebbe avuto ben altri motivi per recriminare.

«E chi lo curerà, se non lo faccio io?» domandò, impassibile.

Tom guardò nuovamente la schiena abbronzata di Grayson e borbottò qualcosa tra sé, poi si voltò verso Kate. «Lo farò io» si offrì, cupo.

«Posso immaginare come lo faresti!» replicò Kate. «Inonderesti d’acqua lui e il materasso. No, Tom. La responsabilità è mia e sarò io ad accudirlo.»

Tom cedette, seppure riluttante. «Be’, se puoi staccarti per un momento da lui, avrei qualcosa da discutere con te.»

Kate riconobbe fin troppo bene il tono burbero che portava brutte notizie. Il suo spirito, già duramente provato, ebbe un attimo di cedimento. Che cos’altro avrebbe dovuto affrontare?, si chiese angosciata.

Respirò a fondo e annuì lentamente. Poi, con un ultimo sguardo all’uomo steso sul letto, seguì Tom in corridoio.

Lucy li aspettava in salotto. Era sua abitudine preparare del tè in occasione di queste piccole riunioni, come se si trattasse di una visita di cortesia. E questo era tutto il contributo che dava all’andamento della casa.

Quando fu seduta, Kate ricevette la sua tazza e il piattino e nascose un sorriso vedendo i rozzi tentativi di Tom per tenere in equilibrio la fine porcellana. Ringraziò Lucy e, senza por tempo in mezzo, si voltò verso Tom che aveva indetto quella riunione.

«Stamani sono andato a Londra» esordì il vecchio con espressione truce.

A queste parole Kate si sentì assalire dal panico. Perché era andato senza dirglielo? E che cosa aveva saputo?

Era ricercata? Assassina! Le dita le tremavano mentre cercava di recuperare il controllo. Aveva bisogno di tutte le sue forze, adesso più di prima, si disse, respirando a fondo e preparandosi ad ascoltare il cocchiere.

«Ho gironzolato un po’ intorno alla casa del nostro uomo e posso dirvi una cosa: è proprio Wroth.»

Quella dichiarazione colse Kate di sorpresa. Certo che quell’uomo era Wroth! Lei non aveva mai avuto dubbi, fin dal momento in cui lo aveva fronteggiato nel suo studio.

«Non è vero!» protestò Lucy. Kate si voltò verso la sorella che scuoteva indignata i riccioli biondi. «Ve l’ho già detto! Quel vecchio orribile non è il mio Wroth!»

Povera Lucy. Per una volta Kate vide, al di là della sua maschera altezzosa, la donna ferita che si rifiutava di accettare la verità. Se almeno avesse sparato al vero colpevole invece che a un innocente, rimpianse fra sé.

«Il gentiluomo che si trova nella camera di vostro padre è Wroth, Lucy, e devi accettarlo anche tu» riprese Tom in tono più dolce. «Ho chiesto un po’ in giro e qualcuno comincia a chiedersi dove sia andato. Benché sia già successo altre volte che sparisse per una notte o due, i suoi domestici sono preoccupati perché non manda notizie da due giorni. L’ultima volta è stato visto mentre rientrava da un ricevimento.»

«Questo non prova niente!» esclamò Lucy.

Tom la mise a tacere con uno sguardo e riprese: «Ha mandato avanti la carrozza ed è rientrato a piedi. Qualcuno teme che sia stato assalito da un borsaiolo, ma la maggior parte dei domestici ride all’idea di un ladro che osi attaccare Wroth. A quanto pare il nostro marchese ha fama di essere uno che sa sempre cavarsela da solo». Tom si interruppe per lanciare uno sguardo significativo a Kate.

Lei arrossì. Indubbiamente Grayson era pericoloso e Tom non sapeva ancora quanto. «Continua» disse con calma.

«Poi ci sono i guanti. Un paio di domestici pensa che sia effettivamente rientrato, quella sera, perché i suoi guanti erano in casa, ma nessuno sa con sicurezza se era quello il paio che indossava. Sembra che ci sia un po’ di confusione, perché la servitù aveva la serata libera dopo aver fatto una festicciola. Era il suo compleanno, capite.»

Il suo compleanno! Kate reagì all’impulso di chiudere gli occhi a quella notizia. «Quanti anni ha?» chiese invece.

«Trentadue» rispose Tom, leggermente sorpreso da quella domanda.

Trentadue. Kate guardò la pioggia che batteva sui vetri della finestra. Aveva esattamente dieci anni più di lei e molta più esperienza. Ma non era vecchio. No, non così vecchio come sosteneva Lucy. «Be’, almeno nessuno sospetta di noi.»

«No, per quello che ho potuto scoprire.»

Kate annuì, sollevata da quella notizia confortante.

«Ma non capisco» protestò Lucy. «Vi ho detto che quell’uomo non è Wroth! Perché continuate a pretendere che lo sia?»

Tom si voltò verso di lei con un’espressione tenera sul vecchio volto rugoso. «Ho visto il suo ritratto, Lucy. È Wroth, il che significa che il tuo innamorato ha mentito.»

«Come può essere...?» La voce di Lucy salì di tono prima di incrinarsi e Kate si sentì stringere il cuore. Anche se a volte trovava fastidiosa la petulanza di Lucy, non sopportava di vederla così vulnerabile.

«Non so, Lucy» cercò di confortarla. «Possiamo solo sospettare le sue ragioni. Che volesse nascondere la sua identità o fingere di essere quello che non era, comunque il tuo uomo ha mentito sul suo nome.»

«No!» Lucy si alzò, portandosi una mano alla gola. «No! È ricco, famoso e potente, e tornerà da me. Vedrete! Vedrete tutti e due!» promise, prima di abbandonare la stanza in lacrime.

Kate la guardò uscire, poi si girò verso Tom che scuoteva mestamente il capo. Kate sapeva che avrebbe dovuto seguire la sorella, ma non aveva il coraggio di farlo. Aveva delle preoccupazioni più urgenti della delusione di Lucy. Il vero Wroth era gravemente ferito e doveva tornare da lui, anche se era riluttante ad ammettere che si sentiva più legata a quell’uomo che alle persone del suo stesso sangue.

Grayson si agitò ancora per tre giorni, in preda a una febbre che Kate non riusciva a domare. Ormai trascurava tutti i suoi compiti, lasciandoli a Lucy e a Tom, e abbandonava raramente il capezzale del marchese. Lo forzava a bere, gli faceva impacchi di acqua fredda e cercava di alleviargli il dolore come meglio poteva, ma ora, mentre la sera calava sul quinto giorno da quando aveva scavalcato il davanzale del suo studio, Kate dovette ammettere di sentirsi esausta, fisicamente ed emotivamente.

La seconda sensazione era insolita per lei. Tra le due sorelle, era Lucy quella emotiva e sensibile, facilmente preda di sbalzi d’umore che la portavano ad alternare l’eccitazione alla disperazione più profonda.

Kate invece era quella più calma e controllata. Forte e affabile, era quella su cui si poteva contare per risolvere i problemi e affrontare le questioni pratiche. Gli ultimi anni erano stati difficili, ma lei ce l’aveva sempre fatta... fino a quel momento. Anche la sua folle idea di affrontare Grayson era sembrata logica, al momento. Avevano bisogno di denaro e il padre del bambino doveva aiutarli. Forse Kate aveva provato una piccola soddisfazione all’idea di intimidire quell’uomo, ma non aveva mai avuto intenzione di ferirlo.

Ma i piani così accuratamente predisposti erano andati a monte.

Non solo aveva sbagliato uomo, ma l’aveva anche ferito. E ora che non era nemmeno in grado di aiutarlo, si sentiva schiacciata dalla disperazione.

Kate si disse che il dolore che provava per lui derivava dai sensi di colpa. In fondo, se non fosse stato per lei, Wroth non sarebbe stato lì a soffrire. Ma c’era qualcosa di più. Nonostante lo conoscesse da poco e avesse scambiato solo qualche parola con lui, provava per il Marchese di Wroth un sentimento che andava oltre il senso di responsabilità e il turbamento dei sensi che le provocava. Le sembrava di averlo aspettato per tutta la vita.

E questo la spaventava a morte.

Se fosse sopravvissuto, l’elegante, potente Grayson non sarebbe entrato nella sua vita se non per distruggerla. Kate rabbrividì. Ipersensibile. Quante volte aveva usato quell’espressione per descrivere Lucy? E adesso le calzava a pennello: si era ridotta a un fascio di nervi, debole e impotente.

Lottò contro le lacrime che le salivano agli occhi, irritata con se stessa. Non aveva più pianto da quando era morta sua madre, parecchi anni prima. Niente l’aveva fatta piangere da allora e non avrebbe iniziato adesso. Ma quando si voltò a guardare il bel volto di Grayson, pallido e tirato, e il suo corpo esanime, chinò il capo e pianse.

Pianse tutte le lacrime che non aveva versato in passato, pianse per tutte le speranze e i sogni svaniti e per l’uomo davanti a lei, che contava molto più di qualsiasi altra cosa nella sua vita. Piangeva in silenzio, le lacrime scivolavano lungo il suo viso e le chiudevano la gola, e sarebbe andata avanti così all’infinito, se non avesse avvertito uno strano calore sotto la guancia.

Inorridita, si rese conto di aver posato il capo sul petto di Wroth, bagnandolo con le sue lacrime. Ma era riluttante a staccarsi da quel senso di sicurezza e protezione che emanava, nonostante il suo fisico fosse debilitato dalla febbre. Indugiò ancora un istante, sognando che il Marchese di Wroth la sostenesse con la sua forza tenendola stretta a sé. Il contatto con il suo corpo era dolce e rassicurante e il suo odore inconfondibile le penetrò le narici, suscitando un desiderio mai provato.

«È una nuova tortura?»

Kate alzò la testa così bruscamente che la vista le si annebbiò. Non osava muoversi mentre metteva a fuoco il volto di Grayson, con gli occhi chiari e un sopracciglio inarcato in tono interrogativo. Arrossì e sedette sulla poltrona posta vicino al letto.

«Stavo... stavo ascoltando il battito del vostro cuore. Siete stato molto malato.»

«Be’, non sono ancora morto» disse in tono asciutto e Kate si chiese come potesse mantenere quella freddezza dopo essere stato tanto malato per giorni. Non c’era niente che lo spaventasse? Aveva mai dubitato della sua forza nelle lunghe, silenziose ore notturne? «Forse è meglio che controlliate di nuovo. Mi sembra che abbia accelerato in modo allarmante.»

Kate lo guardò con sospetto, chiedendosi se stesse ridendo di lei. Cercò di sembrare distaccata e gli posò la mano sulla fronte. Era fresca. Finalmente fresca.

«La febbre è calata!»

«Meno male» mormorò Wroth. Sembrava appoggiarsi alla sua mano e Kate non resistette al desiderio di scostargli un ciuffo di capelli dalla fronte. Per un lungo momento i loro sguardi rimasero avvinti e Kate provò ancora quella sensazione di calore che sentiva quando lo toccava. Le penetrava nelle ossa, le toglieva la volontà, mentre fissava rapita quegli occhi grigi pieni di saggezza ed esperienza.

Di colpo allontanò la mano e distolse lo sguardo. «Prendete un po’ della tisana che vi ho preparato» disse. «È un ricostituente che ho ricavato dalle ricette di mia madre.»

Lui la guardò con aria scettica, ma bevve ugualmente un sorso dalla tazza che gli porgeva. Osservando le sue labbra, Kate ricordò quando le aveva posate sulle sue e sentì tremare la mano che reggeva la tazza.

Che cosa le stava succedendo?, pensò. Non era mai stata così fragile e insicura.

«Basta. Questo è tutto quello che posso fare al momento.»

Wroth aveva appoggiato la testa ai cuscini e aveva chiuso gli occhi, ma il vago sorriso che gli aleggiava sulle labbra le fece dubitare che ci fosse un secondo significato nelle sue parole.

La sottile minaccia era sempre presente, distruggendo il piacere della sua guarigione, perché la sua presenza portava una moltitudine di problemi. Una delle cose che Kate aveva sentito dire del potente marchese era che non lo si doveva ostacolare mai. La sua vendetta era rapida e sicura. Spietato, l’avevano definito, e Kate rabbrividì al pensiero che potesse scatenare su di lei quella forza che la attirava in modo così irresistibile.

Che cosa avrebbe fatto quell’uomo a chi aveva avuto la temerarietà di sparargli, anche se per errore? E come poteva difendere se stessa e la sua famiglia, quando si fosse rimesso in piedi?