Grayson chiuse gli occhi, improvvisamente esausto per il solo sforzo di aver bevuto quella tisana amarissima. Era molto stanco, ma non voleva addormentarsi in presenza di Kate. Sarebbe stato un segno di debolezza, e lui non si era mai mostrato debole.
Esalò un lungo respiro, in attesa di un rumore che gli dicesse che se n’era andata. Non c’era ragione che rimanesse, dato che era evidente che non correva un immediato pericolo di vita. Ma lei non se ne andava.
La udì sistemarsi nella poltrona accanto al letto e avvertì il suo profumo, che sapeva leggermente di menta.
Poteva mandarla via. Era abituato a impartire ordini, ma scoprì che non si sentiva minacciato dalla sua presenza, anche se era stata lei a sparargli.
Le credeva per quanto riguardava l’errore d’identità, ma ancor più credeva al sincero dispiacere che aveva letto nei suoi occhi stupendi. Come poteva non fidarsi di una donna che aveva pianto sul suo petto? Le sue non erano le lacrime capricciose di una donna che finge di essere disperata, ma erano piene di sentimento e rivelavano un dolore profondo e sincero. Grayson avrebbe voluto curare le sue ferite, alleviare le sue sofferenze e risolvere tutti i suoi problemi, ma riusciva a malapena a stare seduto.
Con un senso di frustrazione, socchiuse gli occhi per osservarla. Lo stava guardando anche lei. Non sembrava che avesse paura. Anzi, Grayson aveva la sensazione che non fossero molte le cose che la spaventavano, ma nei suoi occhi incredibili c’era una strana fiamma. Se non era paura, che cos’era? Passione, forse?
Quell’idea gli riportò alla mente i sogni che aveva fatto mentre era in stato di incoscienza, soffusi di un erotismo mai conosciuto prima. La freschezza data dalle carezze di lei e il calore del desiderio si confondevano nel ricordo ma, guardando di nuovo Kate, così pura e modesta in un vecchio abito di mussola, capì che non potevano avere basi reali.
Eppure... un fremito al ventre gli ricordò che era completamente nudo. Si chiese chi gli avesse tolto i pantaloni e si fosse preso cura di lui. Doveva essere stata lei. «Siete stata voi a curarmi?»
Kate annuì. Arrossì lievemente, ma sostenne il suo sguardo. Quella donna non si sarebbe mai tirata indietro di fronte a una sfida, pensò Grayson, vagamente eccitato.
«Perché?»
«Non c’era nessun altro» gli rispose con calma.
Il mistero che la circondava risvegliò la sua curiosità. Chi era quella giovane donna dall’aria seria e dal tocco di una cortigiana? Un fantasma della sua mente, forse, creato per sfuggire al senso di tedio che lo tormentava? Era molto diversa da Charlotte, con il suo fisico esile che ricordava quello di un adolescente, ma riluceva di una purezza che gli attraversava l’anima. Emanava forza, onestà e intelligenza.
Grayson respirò profondamente e chiuse gli occhi per cancellare quelle fantasie. Evidentemente non aveva ancora riacquistato tutte le sue facoltà mentali. Aveva bisogno di riposo e, anche se non si era mai addormentato in presenza di un’altra persona, decise che per quell’unica volta si sarebbe lasciato andare.
Kate udì un rumore sordo provenire dalla camera del padre. Tenendo in equilibrio il vassoio con una mano, aprì la porta con il cuore in gola. Con suo sollievo, Grayson non era disteso sul pavimento, ma era seduto sul bordo del letto, con l’evidente intenzione di alzarsi.
«Che cosa state facendo?» gridò Kate, affrettandosi ad appoggiare la colazione sul tavolo vicino.
«Non posso rimanere in questo letto un minuto di più» replicò lui in un tono arrogante che la sfidava a contraddirlo.
Lei non si lasciò intimidire. «Non potete alzarvi! Fino a ieri eravate consumato dalla febbre!»
«E oggi non lo sono» replicò, cocciuto.
«Dovete prima riacquistare le forze. Ecco, vi ho portato qualcosa da mangiare.»
«Un’altra tisana?» domandò Grayson, storcendo la bocca.
«No. Pane, latte e un po’ di stufato.»
«Latte?»
«Sì, latte.» Kate si portò le mani ai fianchi e gli lanciò un’occhiata sarcastica. «Preferireste del brandy o dello champagne?»
«Di certo non berrò del latte. Non sono un poppante!»
Kate notò che era molto alto, perché la camicia da notte che era appartenuta a suo padre gli arrivava a malapena alle ginocchia, lasciando scoperti i polpacci muscolosi e i piedi nudi. All’improvviso arrossì, ricordando di aver toccato quei piedi e averne accarezzato le dita.
Con uno sforzo riportò l’attenzione al volto di Grayson, sicura di leggere una luce ironica nei suoi occhi, ma il suo sguardo non sembrava affatto divertito. Attraverso il grigio chiaro dell’iride traspariva un fuoco profondo, che le trasmise un languido calore in tutto il corpo. Kate si allontanò bruscamente da quello sguardo così affascinante e si occupò del vassoio.
«Non potete tenermi qui per sempre.» Le parole di Wroth penetrarono in lei come la lama di un coltello, facendole quasi mancare il respiro. Era naturale che volesse andarsene, l’aveva sempre saputo, ma l’impazienza nella sua voce la ferì. Dopo tutto aveva passato quasi una settimana a curarlo, assistendolo in ogni sua necessità e preoccupandosi che potesse morire. Si diede della stupida per i sentimenti che provava per quel gentiluomo arrogante. Invece di rispondergli, si limitò a fissare il bicchiere di latte, con il desiderio di cacciarglielo in gola.
«Dannazione, devo usare il vaso da notte!»
Solo allora Kate si girò verso di lui. «E chi credete che ci abbia pensato quando stavate male?»
Il volto di Grayson si contrasse in una maschera dura, mentre i suoi occhi mandavano lampi di collera. Kate fece un passo indietro, improvvisamente conscia di tutta la forza e di tutto il potere che emanava. Quell’uomo non era tipo da chiedere aiuto o apprezzarlo quando gli veniva dato, indipendentemente dalle circostanze, e lei si pentì della sua risposta avventata.
Quando Grayson parlò di nuovo, la sua voce era tagliente come una lama. «Volete farmi di nuovo l’onore... o vezzeggiate solo gli uomini privi di sensi?»
Kate si sentì il volto in fiamme e si scostò violentemente dal tavolo, facendo traballare il vassoio della colazione. Si diresse alla porta più presto che poté maledicendo le gonne che la intralciavano. Voleva tornare ai suoi vecchi pantaloni e alla vecchia vita, prima della comparsa di Grayson e di tutte le complicazioni che aveva portato.
«Rompetevi pure il muso!» esclamò, sulla soglia. «Ho finito di aiutarvi!» L’aspro rimprovero non lo scalfì minimamente. Grayson si limitò ad aggrottare la fronte; anche così, vestito solo con una vecchia camicia da notte, aveva un’aria altezzosa e sicura di sé che la faceva infuriare.
Kate si rifugiò di corsa in camera sua, dove sostituì il vestito con un paio di vecchi pantaloni, una camicia e un morbido panciotto. Aveva finito di fare la cameriera per quell’individuo odioso e arrogante!
Si diresse in cucina e cominciò a preparare il pane, sfogando la sua collera sull’impasto. Se Grayson stava abbastanza bene da alzarsi, allora poteva anche andarsene quel pomeriggio stesso, si disse, ignorando il dolore che sentiva nel cuore. Batté la pasta sul tavolo con tanta violenza da far sussultare Polifemo, il gatto con un occhio solo, che la osservava dal suo posto vicino al focolare.
Allora si fermò, sbigottita dalla propria reazione. Lei era quella calma e affidabile, quella che non perdeva mai il controllo! Di colpo, tutta la sua collera svanì. Era stata una sciocca a lasciarsi trascinare dall’atteggiamento irritante di Grayson e dalla sua ingratitudine per le cure che gli aveva prodigato.
Ora che stava bene, era meglio che si liberasse di lui al più presto. Forse Tom avrebbe potuto riportarlo a Londra quella sera stessa, rifletté. L’oscurità avrebbe impedito a Wroth di individuare la località dove era situata la loro casa; in questo modo non sarebbe mai riuscito collegare loro tre ad Hargate. Kate si accigliò. Anche se sembrava logico farlo, temeva che non sarebbe servito a nulla bendare l’astuto marchese. Era sicura che sarebbe riuscito a ritrovare la strada con il fiuto, se avesse voluto.
Cercò di reagire allo scoraggiamento che l’aveva assalita. Con tutta probabilità, il marchese non desiderava altro che andarsene. E, se fossero stati fortunati, una volta partito avrebbe rinunciato a perseguirli.
Più tardi, gli portò il pranzo solo perché sapeva che Lucy non lo avrebbe fatto e Tom... Be’, dal modo in cui si comportava Tom, come un cane che marca il suo territorio, pensava che fosse più semplice farlo lei stessa. Preparò fette di pane fresco, pasticcio di carne e torta di ciliege. Cucinare le aveva fatto bene. Si sentiva meglio di quanto si sentisse da giorni ed era decisa a non permettere a Grayson di guastarle quello stato d’animo.
Quando entrò nella camera lui era a letto, ma non dormiva, perché Kate incontrò il suo sguardo chiaro e penetrante.
«Ecco il vostro pranzo» gli disse posando il vassoio sul letto. «Quando avrete finito, sono sicura che Tom sarà felice di riportarvi a Londra.» Ecco, l’aveva detto, e adesso l’avrebbe visto saltare di gioia. Si allontanò dal letto e gli voltò le spalle per non assistere alla sua felicità.
«Io non vado da nessuna parte.»
Kate sussultò e lo guardò da sopra la spalla. Lui la stava osservando con la solita compostezza. «Vi ho detto che non intendo andarmene finché non avrò stanato quell’impostore che si è servito del mio nome.»
Sì, aveva detto così, ma era stato prima... Kate abbassò lo sguardo sui resti della colazione. «Ma avete anche detto che non volevate... essere tenuto qui per sempre.»
«Volevo dire bloccato a letto.»
L’intensità della sua voce le penetrò nelle ossa, risvegliando uno strano calore. Kate si voltò a guardarlo. Sulle sue labbra aleggiava un leggero sorriso, ma non c’era traccia del solito disprezzo. «Non sopporto di essere confinato a letto o in questa stanza» riprese. «Non sono mai stato malato prima d’ora e non posso dire che mi piaccia.»
Kate capì che era il suo modo di farle le sue scuse e decise che le avrebbe accettate. Nascondendo il piacere che provava, prese il bicchiere vuoto della colazione. «Che cosa avete fatto del latte?»
Lui sollevò un sopracciglio. «Voi cosa pensate?»
Kate si mise una mano sul fianco. «Immagino che l’abbiate gettato dalla finestra.»
Le sue labbra si incresparono. «Che scarsa opinione avete di me! L’ho bevuto, invece.»
«Che cosa?»
«L’ho bevuto. Avevo sete e avevo paura che non mi avreste portato nient’altro finché non l’avessi finito.»
«Che scarsa opinione avete di me» gli fece eco Kate. Grayson sorrise e l’effetto fu sbalorditivo. Perfino Lucy non avrebbe potuto negare la bellezza di quell’uomo quando mostrava quei denti bianchissimi.
Kate lo fissò affascinata, poi lo vide abbassare lo sguardo.
«Che cosa diavolo indossate?» le chiese.
Lei arrossì, ricordandosi dei pantaloni. Quando li aveva indossati era infuriata e fuori di sé. Adesso temeva il suo disprezzo. «Ho dei lavori da fare» rispose bruscamente.
«Che tipo di lavori?»
«Mi tengo occupata» replicò.
«Non è una risposta.»
«Non importa. Con questi sono più comoda. Mi piacciono.» Nonostante si sentisse il volto in fiamme, mantenne il mento alzato e non abbassò lo sguardo.
«Piacciono anche a me.» La sua voce si era fatta più calda e pastosa, mentre il suo sguardo la accarezzava con evidente piacere. Kate deglutì a fatica, imbarazzata da quell’attento esame. «Mi sorprende che vostro padre vi permetta di indossarli» aggiunse Grayson.
«Mio padre è morto.»
«Vostro fratello, allora.»
«Non ho fratelli.»
«Dovete avere un tutore.»
Kate si irrigidì. «Sì, ce l’ho, ma non si interessa a come vesto.» Per quello che importava a suo zio, sarebbero potute andare in giro vestite di stracci, ma Kate aveva già detto troppo. Riconobbe un lampo d’interesse negli occhi di Grayson e si ripropose di tenere la bocca chiusa. Lui stava cercando di carpirle delle informazioni. «Mangiate il vostro pranzo» disse in tono sgarbato.
«Solo se mi fate compagnia.»
«Ho già pranzato.»
«Allora rimanete con me. Mi sto annoiando a morte. Avete delle carte da gioco? Forse potremmo giocare.»
Sembrava così fiducioso che Kate non ebbe il coraggio di dirgli di no. «Va bene, me le procurerò.»
«Avete anche dei libri?»
Kate annuì. «Che cosa desiderate leggere?»
«Scegliete voi per me.» Anche se parlava in tono indifferente, Kate sentiva che niente in lui era casuale. Calcolato, sarebbe stata una descrizione più calzante, perché dietro il suo atteggiamento distaccato lavorava una mente acuta come poche. Forse stava cercando ancora di indagare, ma che cosa avrebbe potuto scoprire dai volumi della biblioteca di suo padre?
Doveva assicurarsi che non ci fossero nomi o annotazioni personali che avrebbero potuto aiutarlo a capire dove si trovava. Kate sorrise fra sé della sua astuzia. Si sarebbe divertita a incrociare la spada con il marchese, a patto che non venisse versato del sangue.
Mentre Kate si girava per andarsene, Grayson la studiò con attenzione. Aveva una figura esile, ma non sembrava per niente un ragazzo, come aveva pensato all’inizio. Aveva visto il suo seno tendersi sotto la stoffa dell’abito che indossava al mattino e gli era piaciuto. Adesso il seno era coperto dalla camicia e dal panciotto e quella vista gli mancava. I pantaloni, in compenso, mettevano in risalto le gambe snelle e i morbidi fianchi.
Grayson si trovò a desiderare che si trattenesse nella stanza e lo raggiungesse nel letto. «Dannazione» imprecò, sorpreso dalla forza della sua reazione. Evidentemente da troppo tempo non godeva delle grazie di una donna.
Si appoggiò ai cuscini e cercò di ricordare quando e a chi era stato legato l’ultima volta. Clarice? Lady Ann? Aveva lasciato l’ultima amante quando era iniziata quella strana noia e da allora non l’aveva più sostituita, ma si era accontentato di sporadici incontri con alcune focose gentildonne. I loro corpi senza volto si confondevano nel ricordo, ma nessuna di loro l’aveva stuzzicato quanto la snella figura di quella ragazza.
Per di più era anche intelligente. Coraggiosa e intelligente, senza gli atteggiamenti affettati delle nobildonne londinesi. Grayson si chiese se l’eccitazione che risvegliava in lui fosse dovuta al fatto di essere confinato a letto da giorni, praticamente nudo, ma, cosa molto strana, sperava che non fosse così.
Kate tornò con una pila di libri che posò accanto al letto. Mentre si chinava, Grayson ne approfittò per osservare i suoi capelli. Erano di un castano scuro, ricco, lucente, fresco, invitante. Sorrise fra sé, chiedendosi come avrebbe reagito quella fanciulla dall’aria seria se avesse intuito i suoi pensieri. Avrebbe respinto le sue avances oppure... Grayson ricordò che si era come risvegliata fra le sue braccia, quando l’aveva stretta a sé qualche giorno prima.
Sì, pensò con un sorriso, la piccola era piena di passione. La stessa passione che l’aveva spinta ad affrontarlo con una pistola per vendicare la sorella; la stessa che l’aveva spinta a prendersi cura di lui con tanta dedizione. Per la prima volta nella sua vita, Grayson si trovò di fronte alla possibilità di desiderare qualcosa che nemmeno lui, il ricco e potente Marchese di Wroth, poteva avere. Il solo modo di sapere se quella ragazza era disponibile o meno, era scoprirne al più presto l’identità, decise.
Anche se non sapeva nulla di lei, era sicuro che fosse ancora vergine e, nonostante il suo strano abbigliamento, sembrava di buona famiglia. Normalmente questo l’avrebbe tenuto lontano, perché non era abituato a sedurre le giovani vergini, soprattutto se appartenenti a famiglie di un certo rango. Se invece fosse stata una governante o una domestica, lui avrebbe potuto corteggiarla senza rimorso e farne la sua amante. A questo pensiero, un intenso calore si diffuse nel suo corpo.
In quel momento Kate sollevò lo sguardo e i suoi occhi viola fissarono quelli di Grayson. Per un attimo parve sconvolta dal desiderio che vi lesse, ma si riprese subito. Si raddrizzò prontamente e gettò un mazzo di carte sulle coperte.
Grayson sorrise con apprezzamento divertito. Sì, quella giovane donna sapeva che cos’era la passione, ma sapeva anche tenerla a bada, pensò. «Piquet?» chiese cominciando a mescolare le carte con abilità.
Lei lo guardò come abbagliata e Grayson sorrise, compiaciuto della sua reazione. Era certo che si sentisse attratta da lui. Non faceva la svenevole come la maggior parte delle altre donne, ma arrossiva irritata quando la sorprendeva ad ammirarlo. Una reazione incantevole.
«Giochiamo qualche ghinea?» chiese.
«No.»
«Penny?»
«No, non gioco denaro.» Kate lo guardò con aria di sfida. «Non approvo il gioco d’azzardo.»
Grayson sorrise a quella pretesa di correttezza, perché aveva già saputo quello che voleva. Era ovvio che non aveva denaro. Ma qual era la sua storia? «Devo preoccuparmi che il vostro tutore non approvi?» domandò, raccogliendo le sue carte.
Innocente com’era, Kate ignorò la sottile sfumatura che una donna più esperta avrebbe raccolto per flirtare, ma si limitò a guardarlo con espressione seria.
«Tom pensa che saremmo imprudenti se vi dicessimo qualcosa di più.»
Aveva facilmente indovinato le sue intenzioni.
Grayson si sentì orgoglioso di lei e allo stesso tempo sfidato come non gli capitava da anni.
«Tom?» chiese in tono sprezzante. «Vi fidate del suo giudizio?»
Kate esitò un istante prima di fissarlo con quello sguardo chiaro e diretto che lo faceva impazzire. «Forse no, ma come faccio a sapere che non vogliate denunciarmi e vedermi impiccata?»
La domanda lo sbalordì a tal punto che scoppiò in una risata, ma Kate rimase seria. «Non crederete davvero che voglia vedervi impiccata!» esclamò, incredulo. Lei non disse nulla.
Grayson si sentì stranamente colpito e irritato dalla sua sfiducia. «Vi assicuro che non ho alcun desiderio di spegnere la vostra straordinaria esistenza.»
Questo sembrò metterla in imbarazzo. «Ma... io vi ho sparato.»
«Mi sembra di ricordare che è stato un incidente» replicò Grayson.
Kate arrossì e annuì in silenzio. Quell’atteggiamento calmo e coraggioso lo irritava. Non si fidava di lui! Considerando che era stata lei a ficcargli un proiettile in corpo e a portarlo lì, la cosa aveva dell’incredibile.
Grayson la studiò a lungo, chiedendosi come potesse conquistarsi la sua fiducia.
Dannazione, avrebbe voluto prenderla fra le braccia e dissolvere tutti i dubbi che lo tormentavano nel fuoco che ardeva tra loro!
Ma non poteva toccarla senza sapere nemmeno chi fosse, e lei sembrava intenzionata a non dirglielo. Abituato com’era a ottenere sempre tutto quello che voleva, per la prima volta si sentì frustrato.
«Molto bene» disse, fingendo indifferenza. «Credete quello che volete, ma vi siete già sbagliata una volta sul mio conto.»
Grayson scorse un lampo di sorpresa nei suoi occhi meravigliosi. Sì, quella giovane donna sarebbe stata un avversario stimolante, si disse compiaciuto, ma alla fine lui avrebbe raggiunto il suo scopo.
Nei circoli politici era famoso per la sua risolutezza e la sua tenacia. Alcuni lo definivano spietato, ma la verità era che non sopportava gli sciocchi e le perdite di tempo. E se a volte era stato costretto a scendere a compromessi, non cedeva mai. Quella ragazzina non sapeva ancora con chi aveva a che fare.
Una volta finito con lei, Grayson non le avrebbe strappato solo il suo nome, ma anche goduto della passione che ardeva in lei. E finalmente l’avrebbe fatta sua, anima e corpo.