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Sarah fece un balzo: qualcosa di simile a uno scarafaggio – ma più grande e repellente – le era passato velocissimo su un piede. Dal soffitto roccioso gocciolava acqua sul pavimento di terra con un fastidioso, incessante ritmo. Catene arrugginite, dall’aspetto deprimente e minaccioso, pendevano dal muro; era lieta che i cavalieri gliele avessero risparmiate. Stracci sporchi e insanguinati erano ammassati in un angolo. Si fece piccola piccola, chiedendosi se un tempo fossero stati gli abiti di qualcuno. L’aria era satura di un odore putrido, ma persino quello era ben poco a confronto con gli strati di lerciume che ricoprivano le mura. Pile di escrementi torreggiavano nell’angolo opposto. Doveva uscire di lì, preferibilmente prima del prossimo impellente bisogno.

Una brezza le sferzò le spalle, facendola rabbrividire da capo a piedi. Avrebbe ucciso pur di recuperare il suo cappotto di pelle, ma era chiuso nel cofano della Jeep con tutta l’altra roba che le sarebbe stata utile, come coltellino multiuso e cric. Sospirò e si strofinò le braccia, nella speranza che la frizione le trasmettesse un po’ di calore. Un’enorme ragnatela penzolava nella luce soffusa di un angolo. Ma questa gente non ha mai sentito parlare di spolverate, deodoranti e insetticidi? E chi diamine usa più le celle sotterranee ormai? Non aveva mai preso neanche una multa in vita sua e adesso giaceva in quel remoto buco d’inferno. Si rilassò contro la parete di pietra ma balzò all’istante quando la melma viscida e fredda le inzuppò la camicia. Un’eventuale fuga non sembrava affatto imminente. Ovunque si trovasse, dubitava che persino Google Maps riuscisse a rilevare la sua posizione. Si passò le mani sui pantaloni e urlò: «Ehi voi, pazzoidi medievali, finirete tutti fritti sulla sedia elettrica. Inventerò il dannato aggeggio io stessa. Potreste almeno lasciarmi una bomboletta di Raid, no?»

Strinse le dita sudicie intorno alle sbarre di ferro bucherellato, gelido sotto le mani già intirizzite. Come ha fatto una spedizione su Bigfoot con trenta ricercatori a trasformarsi in sequestro di persona? Sono stata buttata qua giù da una sorta di fan di Re Artù! È impossibile... no? Non aveva risposte, ma era certa che fosse tutta colpa della caverna di Sabrino, lo stesso posto in cui era scomparsa sua sorella maggiore dieci anni prima durante una vacanza in campeggio.

Quella mattina, Sarah e sua sorella avevano deciso di fare una passeggiata. Liz era entrata nella caverna per prima. Era più grande di un anno intero, perciò si sarebbe accollata la responsabilità in caso di problemi. Sarah era stata sul punto di seguirla quando un gigantesco essere coperto di pelliccia era saltato fuori dal nulla e aveva tentato di afferrarla.

Scosse la testa, inspirando a fondo mentre ricordava la scena, quegli occhi gialli per sempre impressi nella mente. Non poté fare a meno di arricciare il naso al ricordo del fetore da puzzola che emanava da quel groviglio di peli marroni. La creatura l’aveva inseguita per il bosco ma, in qualche modo, lei era riuscita a tornare dai propri genitori. Sua sorella non era stata tanto fortunata e da allora non si era più vista. Nessuno aveva creduto alla sua storia, ma quel fatidico giorno era scattata la missione di Sarah: ritrovare sua sorella e provare al mondo intero che quanto aveva visto era vero.

Si massaggiò le tempie. Che quella cava sia una sorta di portale misterioso? Il cuore batteva all’impazzata e Sarah non riusciva ad arrestare il flusso di speranza che le scorreva nelle vene, anche se l’intera storia sembrava assurda. Il pensiero che sua sorella potesse essere ancora viva la spronava ad andare avanti, se solo fosse riuscita a trovare dei candelotti di dinamite per evadere da quella prigione.

All’improvviso, da sinistra le giunse il lontano cigolio di una porta, seguito dal rumore di passi che echeggiava nel corridoio.

Allungando il collo per dare un’occhiata, assottigliò lo sguardo nell’ombra danzante delle torce appese al muro. Si stava avvicinando una sagoma, con il volto celato dalla parziale oscurità. Una guardia? No... qualcuno di più minaccioso. Il mio aguzzino. Gli occhi blu di re Victor incrociarono i suoi, e il respiro le morì in gola. Era ancora nella stessa tenuta da cavaliere della tavola rotonda, eccetto che per un paio di particolari: un mantello di velluto rosso bordato di pelo nero e bianco che toccava quasi il pavimento e, per completare l’insieme, una corona d’oro ornata di gioielli. Le faccette delle gemme riflettevano la luce delle torce. Si pavoneggia, eh? Sarah avrebbe giurato che si era fatto un giro su eBay per quel costume.

«Dove cavolo ci troviamo?» sibilò lei, con sguardo truce.

Lui le rivolse un sorriso incantevole. «Fate ancora la sciocca, Altezza? Siamo a Tastia, come di certo già sapete.»

«Tastia? E su quale cartina si trova, questo posto?» Sbuffò e strinse le dita attorno alle sbarre arrugginite.

Lui si ammirò le unghie curate alla perfezione. «Il comportamento da stupida non vi si addice, milady.»

«Stupida? Non sono io quella che va in giro con indosso un ridicolo costume da Hallowen in questo periodo dell’anno.» Era indignata, ma riuscì a calmarsi con un profondo respiro. «Non sono più in California, vero?»

«California? Non conosco un simile luogo, e le vostre storie non vi serviranno a nulla, principessa Gloria. Nessuno ha mai udito parlare di questo posto che menzionate.»

Sarah fu colpita da un’improvvisa, dolorosa consapevolezza: la situazione in cui si trovava era reale. Nessuno mai, neanche l’attore più consumato, avrebbe rischiato una denuncia di rapimento per restare fedele alla parte. A giudicare dalla precedente espressione sul viso del re, era ovvio che ignorasse davvero l’esistenza di ricetrasmettitori e telecamere a immagini termiche. Non c’era da stupirsi che l’avesse prese per pazza quando aveva parlato di telefono cellulare e pronto intervento. Tutti i tasselli stavano andando al proprio posto, e il puzzle finale non le piaceva per niente. Indietreggiò di un passo, afferrandosi il petto quando il pensiero la folgorò: Ma certo, dobbiamo aver senz’altro attraversato una sorta di portale, probabilmente in quella stupida cava! La stessa usata dalle creature pelose – i Guardiani – per entrare nel nostro mondo, nel nostro tempo! Per forza nessuno aveva mai rinvenuto alcuno straccio di prova. Davanti a quella scoperta, pensò di essere prossima a rimettere sui costosi stivali di pelle del re.

«Perché vostro fratello è ancora vivo? Credevamo fosse morto anni fa.» Sarah non rispose e lui emise un lungo sospiro. «Manterrò il vostro segreto... per ora.»

«Non ho idea di cosa tu stia parlando.»

«La vostra famiglia ne ha finto la morte. Mi chiedo perché.»

«Non lo so. Forse dovresti chiederlo alla vera principessa.»

Re Victor piegò la testa di lato. «Di sicuro ci avrete pensato bene prima di attraversare il confine tastiano.»

Lei lo folgorò con lo sguardo, senza però dire nulla.

Lui proseguì: «Siamo in guerra da anni, Altezza. Perché rischiereste la vostra vita per venire qui?»

«Ho seguito Bigfoot nella cava... cioè, uno dei Guardiani. Come potevo sapere che mi avrebbe portata qui?» Fece un balzo al suono stridente di due enormi ratti che si contendevano una crosta di pane ammuffita.

Re Victor scosse la testa come se non ci capisse niente. «Confessate e basta. Siete venuta qui per avvisare vostro fratello della trappola che gli avevo teso. Ne è valso la pena? Charles è tornato a casa agli agi del suo caldo castello e voi siete qui, in una prigione fredda e umida, a fronteggiare una sorte alquanto dubbia.» Fece un passo indietro e allargò le mani in un gesto onnicomprensivo. «Suppongo qui sia tutto alla vostra altezza», disse toccandole la mano che stringeva la sbarra in una morsa letale.

«Come no! Tutte le comodità di un albergo a cinque stelle.» Ritrasse la mano lottando contro l’improvvisa attrazione che l’aveva assalita. Poteva anche essere il più bel tocco d’uomo che avesse mai visto, ma era pur sempre un nemico... e un sarcastico idiota. «Pensi sia divertente rapirmi e gettarmi in questa prigione?»

Lui arricciò le labbra in un sorriso. «Ma come, milady, dovreste ringraziarmi. Avrei potuto farvi mettere con i criminali comuni, ma temevo non ve la sareste passata troppo bene tra quegli scellerati. Le urla sono semplicemente orrende.»

«Beh, in quel caso, apprezzo la sistemazione da VIP», disse con aria di sufficienza. «Ratti e scarafaggi sono un vero tocco di classe», aggiunse fumante. A prescindere da ciò che pensava lui, quella cassa da morto in pietra non era la sua idea di soggiorno confortevole.

«Ho ricevuto un messaggio da vostro padre.» Re Victor incrociò le mani dietro la schiena e si dondolò sui talloni. Inarcò un sopracciglio, in attesa che Sarah reagisse a quella notizia che avrebbe dovuto essere importante per lei.

«Davvero? E allora, come sta il vecchio, caro papino? Sto provando a farmi un’idea di che faccia abbia ma, strano, non ci riesco. Forse è perché non l’ho mai neanche incontrato, il tizio!»

«Pensavo sareste stata curiosa di sapere cosa ha detto, visto che il vostro destino dipende dalla sua collaborazione.»

«Lasciami pensare un po’. Hm. No, non direi.» Un brivido le attraversò la schiena. Spostò immediatamente lo sguardo per evitare che lui notasse l’improvvisa presa di coscienza. Chiunque fosse la principessa Gloria, Sarah sperava che suo padre nutrisse un amore profondo per lei. Ne dipendeva la sua vita.

Lui si volse verso la guardia appena sopraggiunta. «Guardia, apri questa porta!»

L’uomo scattò sull’attenti. «Subito, milord.»

«Non ce n’è bisogno, Vic», disse Sarah, indietreggiando di qualche passo mentre uno sferragliare metallico le risuonava intorno. «Ti sento benissimo anche attraverso le sbarre.» Sbatté nervosa le palpebre, sperando che il messaggio gli giungesse forte e chiaro. La verità era che nella cavalcata verso quell’orrendo postaccio lui l’aveva stretta un po’ troppo, e aveva minacciato più volte di ucciderla.

La pesante porta si aprì e re Victor la raggiunse con due falcate. Incrociò il suo sguardo, gli occhi blu erano ridotti a due allarmanti fessure. «Vostro padre si è rifiutato di soddisfare le mie richieste. Temo resti un’unica cosa da fare perché comprenda la reale gravità della situazione.»

Quale che fosse, non sembrava buona. Sarah si sentì mancare l’aria, il cuore martellava. Ma perché non sono rimasta nascosta tra gli alberi? Magari a forza di chiacchiere sarebbe riuscita a ribaltare la situazione a suo favore. Dicono sempre che la verità rende liberi, rifletté. «Senti, come ho già detto, io non sono Gloria. Il mio nome è Sarah.» A giudicare dallo sguardo era chiaro che non credesse a una sola delle parole appena pronunciate.

Si avvicinò a lei e con il respiro caldo che le accarezzava la guancia disse: «Sono dolente, principessa, ma non ho altra scelta.»

Sarah si sentì sprofondare. Non era roba da cervelloni: stava progettando di ucciderla per vendicarsi del rivale. L’aveva detto lui. «Ma certo che hai altre scelte. Se sei il re fai anche le regole... o forse non sei così potente?» disse sforzandosi di controllare il tremore nella voce.

«Vostro padre deve pagare per le proprie colpe e trasgressioni e, in un modo o nell’altro, lo farà... presto, molto presto.» Le allontanò una ciocca ribelle dagli occhi, ma lei distolse lo sguardo. Il respiro bollente le colpì la guancia mentre continuava: «Penso che estenderò l’invito anche a lui. Qualcuno verserà lacrime amare. Ve lo assicuro.»

«Siete tutti matti e molto bisognosi di cure.»

«Non siate così triste. Potrebbe anche piacervi.»

Che razza di malato degenere! A chi piacerebbe farsi tagliare la testa da un tizio incappucciato e con un’enorme accetta? Altro che nobile! Di re, dei miei stivali, ha soltanto l’ultima sillaba di de-ge-ne-re...

«Sono impaziente di vedere l’espressione di vostro padre», disse lui ridacchiando.

Sarah lo respinse, al pensiero della propria esecuzione le si era stretto lo stomaco. Sarà veloce o lunga e dolorosa? «Sei un  folle! Come puoi ordinare l’esecuzione di un’innocente? Per forza il padre di Gloria ce l’ha con te.»

«Esecuzione? Principessa, io non intendo uccidervi.»

«Disse il ragno alla mosca...»

«Ragno? Mosca? Perdonatemi, ma non capisco cosa c’entrino gli insetti in questa faccenda.» Victor scosse la testa. «Ho in mente cose... molto più piacevoli», disse stringendola forte contro di sé.

Il significato di quelle parole la lasciò senza respiro. Non vorrà di certo... Lo spinse con forza. «Lasciami andare!»

«Sapete cosa farebbe ribollire il sangue a vostro padre ancor più della vista di quella graziosa testolina che rotola?»

Non aveva bisogno di sentire le parole, le bastava il largo sorriso sul viso di lui. Si dimenò nella sua morsa, lottando per restare lucida e zittire la voce che le urlava nella testa. «Non ne ho la minima idea.»

«Che io, il nemico più odiato, mi unisca a sua figlia.»

Nonostante si fosse aspettata di sentire proprio quelle parole, Sarah spalancò la bocca. «Coosa?»

«Matrimonio o esecuzione. L’uno o l’altro distruggeranno vostro padre. E io sono incline al primo.» 

«Penso tu sia caduto da cavallo urtando la testa una volta di troppo. Scommetto che è la proposta di matrimonio peggiore di tutti i tempi. Ma giusto per curiosità: quand’è il grande giorno? Mi serve tempo per trovare una cosa vecchia e una blu.»

«Al tramonto.»

«Oggi?! Che ne è stato del corteggiamento, della galanteria? Non so niente delle tue cattive abitudini, tipo se lasci il water scoperchiato...» Scrutò la stanza, in cerca di parole. «E se russassi come una motosega o avessi qualche disturbo psicologico che ti impedisce di riempire la vaschetta del ghiaccio?»

Lui sollevò le sopracciglia. «Water scoperchiato? Ghiaccio? Perdonatemi, ma credo siate stata voi a cadere da cavallo. Forse, dopotutto, dovremmo portarvi dal guaritore.»

Mi gira i miei stessi insulti. Ma che creativo! Lo guardò fisso, ma lui mantenne un’espressione confusa. «Forse dovresti essere tu a farti esaminare e curare con farmaci psichiatrici.»

«Pensavo di discutere la selezione dei vini più tardi.» Re Victor le sistemò un’altra ciocca ribelle dietro l’orecchio, un gesto ridicolo quanto il precedente. «O magari le decorazioni floreali. Che ne pensate, mia cara?»

«Penso che se mai riuscirò a mettere le mani su quella Gloria ne farò carne da macello.»

«Carne? Se è questo che desiderate, manderò i cuochi a controllare le gabbie con la cacciagione. Sì! Banchetteremo con arrosto di quaglie, tortore, pernici e brasato di pavone. E naturalmente, se così preferite, il beccaio ha a disposizione teste di vitello e pesce a volontà.»

«Sto per rimettere.» Deglutì la bile che le era salita in gola. «Non voglio far parte del vostro mondo delirante.»

«Di sicuro saranno stati i vostri cavalieri a insegnarvi come reggere questa finzione di cattivo gusto», disse re Victor. «Sono impressionato – davvero – ma crollerete. Per il momento, basta con questi giochi. Occupiamoci della domanda che brama ardentemente di sfuggire alle mie labbra: principessa Gloria, volete essere mia sposa?»

Sarah lo spinse da parte. “Non esiste proprio, amico. Pedala.»

Lui fece un largo sorriso, rivelando due file di denti bianchissimi. «Mi rendo conto che vi occorre un po’ di tempo per riflettere sulla decisione. Forse un altro piccolo soggiorno qui dentro vi aiuterà a vedere le cose sotto un’altra luce.»

«Sei fuori di testa!» urlò, indietreggiando di un passo e stringendo le mani a pugno quasi fosse davvero capace di battersi con lui.

Con una sola mossa Victor la inchiodò alla fredda parete di cemento, a braccia tese, con i polsi stretti nella morsa delle sue mani. «Fossi in voi terrei a freno la lingua», le sibilò all’orecchio. «Ho avuto fin troppa pazienza sinora. Nessuno mi parla a questo modo – nessuno – e se non siete in grado di controllare quello sferzante serpente, ve lo farò rimuovere.»

Il cuore batteva forte e Sarah fece un profondo respiro. «Idem con patate, caro! Nessuno mi parla come te

Lui abbassò la testa e strinse gli occhi. «Siete irriverente, chiara progenie di vostro padre.»

Sarah non aveva idea di chi stesse parlando, ma non poté resistere alla tentazione di punzecchiarlo. «Immagino di essere del suo stesso stampo.»

«E magari è proprio per questo che non vi rivuole.»

Lei si scaldò ancor di più: l’aveva punta sul vivo. Come si permette di indagare nelle mie faccende private? «Il mio vero padre non mi abbandonerebbe mai, schizzato che non sei altro.»

«Forse dovreste mostrarvi cordiale nei miei confronti. Avete anche solo una vaga idea del potere che detengo su di voi?» La sfumatura pericolosa nel suo tono di voce non passò inosservata. «Io decido se permettervi di mangiare una briciola di pane o bere una goccia d’acqua, se lasciarvi vedere la luce del giorno o se farvi arrivare a domani.»

Nessun uomo, re o meno, l’aveva mai trattata a quel modo. Strinse i pugni, di nuovo, e si incollò alla parete per mettere qualche altro centimetro di spazio tra sé e re Victor. «Sì sì, capito. Vita e morte sono nelle tue mani.» Il suo sguardo si posò sulla porta aperta della cella proprio mentre il re allentava la presa. Trattenne il fiato, percependo una possibilità di fuga. Senza pensarci due volte, si girò e scattò verso la libertà, ma dopo neanche un passo sentì la morsa di lui sul braccio. «Lasciami andare!» ringhiò.

Re Victor la girò verso di sé e lei gli colpì ripetutamente il torace con i pugni. «Toglimi le mani di dosso, bruto!», l’urlo echeggiò nella cella.

«Dove credete di andare? Vi suggerisco di risparmiare le energie per la nostra notte di nozze.» La tirò a sé. «Avrò bisogno di fissare un appuntamento con il fabbro.»

Ma che spiritoso, si è ricordato del mio commento sulla cintura di castità... Idiota! «Te lo sogni.»

«So che non state più nella pelle al pensiero ma, calmatevi, principessa. Abbiamo tutta una vita da trascorrere insieme.»

Sarah si dimenava tra le sue braccia e lui ridacchiava. Era evidente che si stesse godendo ogni attimo. «Il padre di questa Gloria si è rifiutato di soddisfare le tue richieste. Non gli importa neanche se sua figlia muore. Quindi cosa proveresti uccidendomi?»

«Avete ragione. Sarà meglio attenersi alla prima alternativa. A vostro padre potrà non importare se siete morta, ma si struggerà di rabbia sapendo che ho procreato i suoi nipoti, e macchiato così la sua preziosa linea di discendenza. Volete sei, otto o dieci figli, principessa? Non ci sarà vendetta migliore del tip tap di quei piedini con lo stesso sangue di vostro padre.»

«Se mi prendi così – e ricordati che non sono la persona che credi – al tuo pool genetico servirà una tonnellata di cloro. Non sono una blasonata.»

«Cloro?»

«Non importa.» Scosse la testa. «Quanti figli hai appena detto che vuoi? Ti sembro forse una macchina sfornabambini?»

«Speriamo solo che non ereditino la vostra bocca insolente. Ho soprasseduto finora, ma una volta scambiate le nostre promesse, controllerete quella vostra lingua... o io la controllerò per voi.»

Lei sollevò un sopracciglio. «E se non la controllo? Se dico tutto ciò che mi va, che tu voglia ascoltarlo o no?»

«Fidatevi, la risposta non vi piacerebbe.»

Lo guardò torva, con gli occhi che lanciavano saette. «Che farai? Mi getterai in una prigione e butterai la chiave?»

«Fatemi sapere quando posso mandare a chiamare il prete. Dovremo comunicargli se prepararsi per una cerimonia nuziale o un’estrema unzione. Questa, mia cara, è una scelta vostra.»

Sarah sollevò il mento in segno di sfida. «Non ti sposerò mai. Mai... neanche se dal cielo cadessero milioni di stelle.»

«Mai?» ripeté lui, accarezzandole lo zigomo con un dito.

Lei rimase senza fiato ma lo allontanò da sé. «Mai.» Mise nel tono quanta più convinzione possibile ma, per qualche ragione, quella protesta si udì a malapena.

«Lo vedremo», disse re Victor con un sorrisetto. «Buona permanenza. E se sentiste troppo freddo, ricordate che il mio letto è bello caldo e vi aspetta.» Con un’ultima occhiata oltre la spalla, chiuse la porta della cella con lo stivale, intrappolandola in quello spazio angusto.