Dall’altro lato della stretta porta di legno, consumata dal tempo, Sarah non aveva idea di cosa l’aspettasse all’interno dell’osteria. Entrò nell’ampio ingresso, calpestando sporcizia sotto gli stivali, e si fermò a osservare i soffitti a volta e lo spazio affollato. Innumerevoli tavoli guardavano verso il bancone annerito. Risa scroscianti e conversazioni risuonavano nell’aria. Fiamme guizzavano dai bracci dei candelieri appesi alle pareti di pietra. Sarah aveva sempre pensato alle cene a lume di candela come a occasioni romantiche, ma la vista di un uomo grasso con capelli unti che addentava un gigantesco cosciotto le fece cambiare subito idea. Il profumo delizioso di pane appena sfornato e manzo arrosto le invase le narici, facendole brontolare lo stomaco nonostante l’atmosfera malsana e tutt’altro che raffinata.
Jules ordinò il loro cibo al bancone e Sarah e Frank passarono accanto a lunghi tavoli occupati da avventori che sembravano appena arrivati da Hollywood. Non indossavano completi di lusso come gli invitati nella sala da ballo di Victor. Le donne vestivano abiti lunghi e semplici, mentre gli uomini portavano brache di lana dall’aspetto pruriginoso con casacca o farsetto e mantelli con cinture semplici.
Una donna alta li fece sedere a un tavolo di legno nero, con panche lunghe coperte con pellicce di animali. Portava due trecce, una su ciascun lato, avvolte intorno alla testa a mo’ di fascia e assicurate in qualche modo, sembrava una lattaia. Sarah sorrise a una donna che le sedette accanto sulla panca, osservandone le rughe profonde che solcavano la fronte e il viso.
La donna restituì il sorriso, scoprendo denti gialli e storti. «Non ordinate il pavone, milady. È duro come cuoio e sa di sandali.»
Come... mangiano pavoni? Pensavo servissero solo a mettere in mostra le loro belle piume allo zoo! Preferirei mangiare sandali! Sarah fece un sorriso affettato. «Grazie. Lo terrò presente.»
La vecchia donna si avvicinò e le diede dei colpetti affettuosi sulla mano mentre brontolava: «Spero che non vi piaccia neanche la carne scura, mia cara. Qui il piccione è troppo salato.»
«Terrò presente anche questo», disse Sarah, provando ribrezzo all’idea di mangiare un volatile tanto sudicio e contaminato che lascia piume ed escrementi ovunque vada.
Frank lanciò un’occhiata alla donna. «E la zuppa di coda di drago com’è?»
«Smettila», lo ammonì Sarah ridendo, mentre gli occhi vagavano tutt’intorno. «Guarda com’è affollato qui. Dev’essere un posto in.»
«Già, è senz’altro il centro dell’animazione medievale. Manca soltanto il lanciatore di fiamme... e magari il buffone.» Frank si sedette accanto a Jules e sorrise. «Spero che queste pellicce non abbiano le pulci.»
«Grazie, Frank», disse Sarah. «Adesso avrò prurito dappertutto.»
«Tranquilla, cara» disse la vecchia. «Sono state trattate con assenzio, che a pulci e falene non piace per niente.»
«Assenzio?» Sarah si alzò di scatto e agitò una mano, cercando di attirare l’attenzione del personale. «Cameriera... uh, cioè, donna, non abbiamo bisogno di panche di lusso. Quelle dure vanno benissimo.»
«Rilassati», disse Frank. «È una specie di pianta o erba.»
Sarah sedette. «Lo sapevo.» Ridacchiò.
Poco dopo, una signora con un abito di velluto rosso e un corpetto nero allacciato portò le bevande in boccali di legno, un abbondante piatto di verdura cruda, frutta, una pagnotta e una sorta di brasato di manzo su una base di prugne e semi di cedro.
Jules strappò una coscia dorata e l’addentò come un senzatetto affamato. «Spero vi piaccia l’anatra. Mangiate, bevete e divertitevi.»
Sarah rise e si guardò intorno alla ricerca di piatti, tovaglioli o posate. «Ehm... ci sarebbero degli utensili o dovremmo mangiare come cavernicoli?»
«Utensili? Perché credi che Dio ci abbia provvisto di mani?» chiese Jules tra un boccone e l’altro.
Frank allungò una mano verso un pezzo di carne. «La forchetta qui è ancora a secoli di distanza dal cassetto delle posate, Sarah. Dacci dentro come dice lui. Siamo seduti su pelle d’animale, perdiana. Non credo che le buone maniere siano così importanti qui.»
«Se non dispiace a te, allora neanche a me. Sta’ solo attento a non pulirti le mani sporche di grasso sul mio mantello.» Addentò un cosciotto e fece una risatina quando il cibo rimase infilato tra i denti. Infine, riuscì a ingoiarlo e mise da parte la carne.
«Non ti piace?» chiese Frank.
«Beh, tanto per cominciare è fredda.»
«Magari te la mettono nel microonde per un paio di secondi.» Frank staccò un pezzo di pane e lo intinse nel grasso della carne.
«Immagino sia il caso di dire: o mangi questa minestra, o salti dalla finestra.» Sarah rise ficcandosi una prugna in bocca.
«Farai meglio ad abituartici. Non vorrai sopravvivere di sedano e prugne, Altezza.»
«Che cos’è, questo microonde di cui parlate?» chiese Jules.
Sarah incrocio lo sguardo di Frank. «Spiegaglielo tu.»
«Ecco, vedi, è una specie di scatola, e... beh, immagino tu penseresti che sia magica o che so io, ma ci metti dentro il cibo e lei te lo cuoce a tutta velocità.» Frank morse la pera, in segno conclusivo, ma Jules non sembrò voler mollare l’argomento.
«Allora questa scatola è dotata di un fuoco magico?»
«Forse è meglio non parlare del nostro mondo», intervenne Sarah. «Potrebbero scoprirci o, come minimo, rinchiuderci in un manicomio medievale.»
«Giusto. Appena finiamo di mangiare, magari andiamo in giro a chiedere di Liz», disse Frank. «Di sicuro qualcuno la conoscerà o ne avrà sentito parlare.» L’investigatore in lui iniziava a risvegliarsi. A prescindere dal luogo, o dal tempo, in cui si trovava, l’uomo era nato per fare il reporter.
Sarah sorseggiò la birra. «Senza fare troppo chiasso, d’accordo?»
Lui fece una smorfia divertita. «Già, come se non si vedesse che non sei di qui. D’accordo, vedrò cosa riesco a scovare.»
«Anch’io.»
«Dovremmo essere al sicuro qui, a Dornia», disse Jules. «Finite di mangiare e poi vi porterò da qualcuno che potrebbe essere di aiuto. Ma dopo, siete soli.»
«Insomma è qui che ci dividiamo?» chiese Frank.
Jules annuì. «Come ho detto prima, devo tornare nella mia terra. Devo scoprire dove si trova Mia e assicurarmi che stia bene.»
«Non potremmo mai ringraziarti abbastanza, Jules», disse Sarah.
Finì il pasto, si congedò infilandosi tra due lunghi tavoli, e si diresse verso il bancone. Arrivata, agitò una mano per richiamare l’attenzione del taverniere.
L’uomo era robusto, con una barba nera. Si voltò a guardarla e sollevò le sopracciglia con fare curioso (o forse provocante), mentre strofinava il bancone sporco con uno straccio ancor più sporco. «Cosa desiderate?»
Vediamo un po’... illuminarti sulle meraviglie del sapone antibatterico? Se tutti voi imparaste un paio di cosucce sui germi, forse riuscireste a evitare tutte le epidemie che invadono i libri di storia, rise tra sé. «Forse potreste essermi di aiuto. Sto cercando una donna di nome Elizabeth Larker. Si fa chiamare ‘Liz’. È mia sorella, maggiore di un anno, e mi somiglia moltissimo.»
L’uomo riempì un boccale di birra, evitando di guardarla. «Mai sentita nominare, ma so che esiste un’Immortale identica a voi.»
Sarah scosse la testa. «No, non è lei. Liz è un’umana.»
«Come può essere un’umana, e al tempo stesso vostra sorella, se voi siete Immortale?» Abbassò lo sguardo sull’anello, quindi lo riportò sul viso di lei.
Sarah sospirò. «È una lunga storia, signore, ma vi assicuro che non sono una di loro.»
L’uomo fece una risatina sciocca, posò lo straccio sul bancone e sostenendosi sulle mani, grosse e pelose, si chinò in avanti. «Avete al dito l’anello di rubino e siete l’immagine spiccicata della principessa Gloria. Dovete essere per forza una di loro», disse, scandendo ogni singola parola.
Lei lo guardò fissò, sforzandosi di comprendere il significato racchiuso in quelle parole. Era ovvio che lei non fosse la principessa Gloria, e l’unica persona di sua conoscenza che le somigliasse anche solo remotamente era sua sorella. Un attimo... potrebbe essere che Liz...? Impossibile. E se così fosse, perché cambiare il nome in Gloria? Si appoggiò al bancone, più che mai incuriosita. Dai film aveva imparato che i banconieri sono le persone a cui rivolgersi per qualunque cosa, perciò era sicura che qualche domanda non avrebbe fatto male a nessuno. «Mi direste qualcosa in più su questa principessa Gloria? Per caso è stata adottata da adolescente?» Sarah considerò l’idea che forse il suo cosiddetto padre, re William, avesse rapito Liz o le avesse dato rifugio dopo aver saputo che aveva varcato il portale. Tutto sommato era successo anche di peggio.
«Adottata?» ripeté lui in tono di scherno, usando lo stesso straccio sudicio per asciugare i bicchieri e i boccali... quelli da cui bevevano i clienti. «No. Quando la principessa Gloria era ancora bambina lavoravo come cuoco al castello, per mesi corteggiai anche la sua bambinaia. So che a dodici anni si trasferì in un altro paese, ma è tornata di recente per trascorrere più tempo con la famiglia qui a Dornia. Si è fatta grande, adesso. L’ho vista il mese scorso durante un ballo al castello.»
Beh, idea sfumata, pensò Sarah. Non potrebbe mai essere Liz. «Potreste dirmi...»
Una serva si avvicinò al brusco proprietario e sussurrò: «Non dovreste parlare di loro.»
L’uomo annuì, increspando la fronte.
Sarah si raddrizzò e il suo viso assunse un’espressione determinata. Non avrebbe lasciato cadere l’argomento, non ancora. «Avete detto...»
Il tipo scosse la testa. «Potete rivolgermi tutte le domande che volete, ma temo che da parte mia non ci saranno più risposte. Ho una taverna da gestire.» Il tono era severo, quasi arrogante.
Sarah si chiese cosa lo avesse indotto a sigillare le labbra così all’improvviso. «Ma io...» L’uomo sbatté un pugno sul bancone. «Andatevene! Non voglio problemi con la vostra razza. L’ultima volta che sono stati qui, gli Immortali, mi hanno quasi infilzato con una spada. Non vi preoccupate del cibo e delle bevande, offre la casa, ma ho il diritto di chiedere a chiunque di lasciare la mia proprietà, e adesso vi sto chiedendo di andare.»
Frank si avvicinò e toccandole una spalla le sussurrò all’orecchio: «Non solo quell’anello ci tira fuori dai guai, offre anche altri benefici e omaggi.»
«Infatti, ma Victor avrebbe dovuto darmi un manuale di istruzioni. È chiaro che questo tipo non voglia aiutarci», disse Sarah.
Frank annuì, accigliandosi. «Già. Neanche gli altri parlano.»
Un rumore di zoccoli risuonò in lontananza, mentre fuori si udirono dei nitriti. Sarah attraversò la stanza e sbirciò al di là della porta. Il sole risplendeva sulle armature di una ventina di cavalieri armati che smontavano da cavallo. Sarah si precipitò da Frank, il cuore le era salito in gola. «Splendido! Ci sono soldati là fuori... tanti.»
«Dove?» chiese Frank, alzandosi dallo sgabello.
Lei indicò la porta. «Là fuori. Controlla tu stesso se non mi credi.»
Frank si insinuò tra i tavoli, diretto verso la porta. «Tranquilla, ho ancora il fucile anestetico.»
Senza perdere di vista l’ingresso, Sarah si affrettò dietro di lui.
«Ma come hanno fatto a trovarci?» mormorò Frank.
Benché lui non potesse vederla, lei si strinse nelle spalle. «Jules.»
L’amico scosse la testa. «Non sono uomini di re Victor. Sono soldati di re William.»
«Come fai a saperlo?»
Jules si mise alle spalle di Sarah, chinandosi in avanti mentre indicava l’ingresso. «Guarda lo stemma sulle armature. Vedi l’aquila reale dorata?»
Lei fece cenno di sì. «È il padre della principessa Gloria, signore di Dornia?»
«Lupus in fabula, eh?» Jules la fece voltare verso di sé, i suoi occhi brillavano. «Re William Jarod. Non è strano che si presentino proprio mentre ci siamo noi?»
Lei indietreggiò di un passo, sfiorando con l’abito la parete fredda mentre si girava verso Frank. «Forse sono venuti soltanto a mangiare qualcosa. Manteniamo la calma.»
«Ma se somigli anche solo un po’ alla Glor...»
Sarah sollevò una mano, interrompendolo nel mezzo della frase, e si guardò intorno alla ricerca di un’altra via di uscita. Non c’erano finestre né altre porte – neanche una botola nel pavimento. Maledizione! Non fanno verifiche antincendio qui?! Alla faccia dei rischi del fuoco. «Dovremmo denunciarli.»
«Cosa?» chiese Frank, corrugando le sopracciglia.
«Non importa.» Sarah si tirò su il cappuccio del mantello e tornò alla panca con Frank al seguito. Prese di nuovo posto accanto alla vecchia e con occhiate fugaci alla porta sussurrò: «Il posto è circondato. Come diamine facciamo a svignarcela?»
Frank le afferrò una mano, costringendola a guardarlo. «Aspettiamo e vediamo cosa succede. Nel nostro mondo, la polizia si ferma a comperare ciambelle zuccherate, giusto? Forse qui si fermano a comperare cosciotti.»
Lei assentì, d’accordo, e si nascose il viso come meglio poteva.
Un gruppo di cavalieri in cotte di maglia si precipitò all’interno della taverna, tutti si zittirono. Gli avventori, per lo più umili contadini, abbassarono gli occhi per terra, come nel tentativo di rendersi invisibili. Lo stomaco di Sarah si contrasse, nervosamente.
«Attenzione, tutti», disse un soldato. «Stiamo cercando la regina Gloria Fesque.»
Sarah rimase senza fiato. La mia solita fortuna... Non sono venuti per una porzione extra di patatine! Brividi le correvano su e giù per la schiena mentre decideva se tentare la fuga o far finta di nulla. Per quanto le piacesse l’idea di fiondarsi verso l’uscita più vicina, si rendeva conto che con il suo scatto probabilmente sarebbe arrivata al massimo al prossimo tavolo.
«Ne abbiamo seguito le tracce fin qui», proseguì il cavaliere, sfoderando la spada. «Indicatecela e ce ne andremo in pace.»
Lo sguardo di Sarah vagò dall’uomo alto e capelluto alla lama luccicante che brandiva, spaventosa nella luce fioca. La gente si gettò per terra, gattonando sotto i tavoli e piagnucolando. «Accidenti», sussurrò Sarah. «Mi state dicendo che sono riuscita a far incavolare due re? Com’è possibile?»
«Fareste meglio a correre, cara» bisbigliò la vecchia.
Sarah la guardò in tralice. «Sono una brava persona.» Fece una pausa, raccogliendo i pensieri. «Davvero. Mi vogliono bene tutti. Non ho nemici. Questo è troppo per me.»
«Direi che stai facendo un gran bel lavoro, considerato che hai due dei più potenti Immortali alle costole», disse Jules, «e alle mie», aggiunse.
Il cavaliere afferrò la serva per i capelli e tirò, sibilando: «Dov’è, ragazza? Dimmelo e forse vivrai un altro giorno per servire questi manigoldi.»
Un altro cavaliere rovesciò un enorme cero su uno dei tavoli. «Se necessario, non avremo alcuna remora a ridurre questo buco in un ammasso di cenere !» urlò.
Da sotto il cappuccio, Sarah sbirciò le due donne che con un boccale marrone versavano liquido sul fuoco senza fiamma che minacciava di incendiare il tavolo accanto.
«Dimmi se la donna che cerco è stata qui o si trova adesso in questo gran bel locale», continuò il primo cavaliere.
La serva si accigliò e guardò Sarah, come se stesse decidendo se tacere o consegnarla ai soldati.
Sarah increspò la fronte e fece un segno quasi impercettibile con la testa, implorando con lo sguardo la donna di restare in silenzio. La sua vita era nelle mani di quell’estranea caritatevole.
Il cavaliere estrasse un pugnale tempestato di pietre preziose e lo mise alla gola della donna.
L’ostaggio spalancò gli occhi come un cervo nella luce dei fari. Indicando Sarah, disse: «Lei porta il segno degli Immortali.»
Il cavaliere scaraventò la donna contro un tavolo, mandando in frantumi calici e boccali, e incrociò lo sguardo di Sarah. «In nome del re, siete in arresto per il reato di eresia. Sarete giustiziata. Arrendetevi adesso e la vostra sentenza sarà il meno dolorosa possibile.»
Cioè... la tipa mi ha appena venduta! E la solidarietà femminile? Non dovremmo sostenerci a vicenda? Sarah scosse la testa. Che stronza, ragazzi. La mancia se l’è giocata, poco ma sicuro. Allarmata, Sarah si inginocchiò e strisciò sotto i tavoli di legno, urtando contro un’infinità di gambe sudicie. Jules e Frank le arrancavano dietro. La mano schiacciò qualcosa di rosso e appiccicoso, se la pulì immediatamente sul mantello, urtando la testa. I topi squittivano e stridevano tutt’altro che contenti di venire interrotti mentre si pascevano delle ossa di pollo, bucce di arancia e torsi di mele sparsi sul pavimento. Arrivò alla fine del tavolo e sbirciò oltre, dove l’attendevano gli occhi di uno dei temuti cavalieri.
Questi sorrise, mettendo in bella mostra lo spazio lasciato dagli incisivi mancanti. «Eccola qui!» urlò.
Frank puntò il fucile anestetico e premette il grilletto. «Vai Sarah!»
Il cavaliere balzò indietro sbigottito e si tirò il dardo dal petto. Sarah corse verso il bancone e lo superò con un salto, senza sforzo. Non aveva idea di come fosse stata capace di saltare tanto in alto, ma sapeva che l’adrenalina poteva avere effetti assurdi. Atterrando in piedi, si girò e protese le mani, tirandosi dietro prima Jules e poi Frank. Dev’esserci una via di uscita. Assolutamente, pensò.
«Ho perso il fucile!» disse Frank. «Me l’ha tolto di mano con un calcio.»
Il taverniere era rannicchiato in un angolo. «Vi avevo detto che non volevo guai», sibilò.
Sarah gli afferrò una mano e strinse. «Vi prego, aiutateci. Questo pazzo vuole uccidermi.»
«Siete senz’altro un uomo onesto, signore. Non potete lasciare che facciano del male a una donna innocente per un errore di identità», s’intromise Frank.
Il taverniere indicò un punto. «Scendete di sotto. Sul retro, sotto le casse di verdura, c’è una porta che conduce a una galleria», sussurrò.
La scena che seguì si svolse al rallentatore. Correndo verso la porta che conduceva al sotterraneo, Sarah provò un dolore acuto alla spalla. Si voltò e vide un cavaliere che reggeva una balestra. Gli occhi erano ridotti a fessure, come se stesse prendendo la mira per non mancare il bersaglio. Nel giro di poco, altre frecce tagliarono l’aria e una le trapassò il cuore. Il dolore si irradiò per tutto il torace. Frank e Jules urlarono. Gli avventori strillarono. Le mancò il respiro e cadde al suolo, sbattendo il viso contro il pavimento freddo e sporco.
«Il male va fermato!» gridò il cavaliere. «Il vostro sacrificio salverà la nostra terra.»
Sarah gemette tra sé. Non c’era un filo di malvagità in lei. Imbrogliare il re era sbagliato, come pure rubare l’identità di qualcun altro. Ma lo aveva fatto solo per disperazione, per tornare a casa e fuggire da un mondo a cui non apparteneva.
La vista si annebbiò, il corpo si afflosciò. Non riusciva a muovere neanche un muscolo, e men che meno urlare. Sbattendo piano le palpebre, provò a schiarirsi la vista.
«Non te lo permetto!» Frank la sollevò tra le braccia.
Una porta si aprì con un cigolio e dei passi rimbombarono giù per una scala. Sarah sentiva la testa ciondolare avanti e indietro, come fosse inanimata, una sorta di pupazzetto dondolante su un cruscotto.
«Va’ avanti! Li trattengo io», gridò Jules, bloccandosi la porta alle spalle con enormi giare di birra che trascinava sul pavimento.
Con il dolore che le dilaniava il petto, Sarah fece un debole respiro, seguito poi da un lieve rantolo.
«Oh, Sarah», la supplicò Frank, con voce tremante. «Non morire, ti prego.»
Lei sollevò una mano ad accarezzargli una guancia. «Mi dispiace, Frank... mi dispiace tanto.»
«Resisti!», le ordinò lui, stringendole la mano.
«Sto... sto morendo», sussurrò Sarah.
Lui scosse la testa con enfasi, gli occhi erano spalancati, carichi di un’emozione indefinibile. «No! Non parlare così. Non permetterti di morire, Sarah.»
Dei puntini le affollarono la vista. È questa la fine? Sto davvero per spirare qui, nel sotterraneo di una taverna medievale? Non voleva morire senza sapere cosa fosse successo a Liz. «Quando trovi mia sorella, dille che le voglio bene.»
«Glielo dirai tu stessa», rispose Frank con tono sommesso.
Un rumore forte la fece sobbalzare.
«I cavalieri che si stanno accanendo contro quella porta potrebbero non essere d’accordo con... con te», disse Sarah con il fiato mozzo per il dolore, stringendo forte la mano di Frank.
«Stanno arrivando!» urlò Jules. «Sbrigatevi!»
Le mancò l’aria. La vista si fece ancor più offuscata, sbatté di nuovo le palpebre ma invano. Il suono delle voci si affievolì, quindi si disperse. E poi, ci fu soltanto il buio.