Ellen

22 giugno 1923, sera tardi

 

Se Ellen aveva immaginato una zia inquieta, ancora in piedi ad aspettare in vestaglia la sua giovane nipote, si era completamente sbagliata.

L’ingresso era pieno di soprabiti sconosciuti, l’aria odorava di sigaro e di profumi intensi e dal salotto proveniva un brusio di voci. La festa di zia Ida era ancora in corso, benché fossero le undici passate. Ellen si guardò nello specchio dell’anticamera: ogni traccia di rossetto per fortuna era sparita.

Tora era seduta su uno sgabello nel corridoio e dormiva con il mento contro il petto, la cuffietta bianca tutta storta. Quando Ellen le passò davanti in punta di piedi, si svegliò di soprassalto e si alzò con uno scatto.

«Ah, sei tu, Ellen» disse, tornando a sedersi.

«E chi credevi che fosse?»

«Credevo che fosse lui, il tedesco. Se almeno si decidesse ad arrivare, io potrei riordinare la cucina e andare a dormire.»

Zia Ida comparve dal salotto, stretta nel suo busto e con il sorriso della padrona di casa. Nel vedere Ellen parve rimanere male e disse nello stesso tono deluso di Tora: «Ah, sei tu».

Certo che ci si sente proprio desiderati, qui dentro, pensò Ellen un po’ ferita.

«Stiamo aspettando un ospite» spiegò la zia, giocherellando impaziente con la sua lunga collana di perle tintinnante. «Doveva arrivare con il treno della sera da Stoccolma, ma pare ci sia stato un ritardo. Vieni di là a salutare, ci sono persone fantastiche qui, stasera.»

Ellen avrebbe preferito ritirarsi nella sua stanza, ma zia Ida l’aveva già cinta col braccio e la stava portando nel salotto dov’era radunata una decina di ospiti.

Poltrone e sedie della sala da pranzo erano state disposte a semicerchio, come intorno a una scena. Alcuni ospiti erano seduti e avevano un’aria annoiata, altri erano in piedi e discutevano animatamente.

Tutti gli sguardi si voltarono verso Ellen. La zia fece il giro presentandola come «la deliziosa figlia di mio nipote». Gli ospiti le furono presentati con epiteti altrettanto lusinghieri, espressi con voce lieve, ma forte abbastanza perché l’interessato potesse coglierli.

«Uno scienziato molto dotato» mormorò la zia a proposito di un signore con piccoli occhiali rotondi e i capelli divisi al centro da una riga perfetta. Lui salutò Ellen distrattamente, lanciando occhiate verso l’ingresso.

Da solo in un angolo, seminascosto da una palma, c’era un uomo magrissimo, con le guance arrossate e gli occhi lucidi.

«Un inventore geniale, molto più avanti della sua epoca» spiegò la zia quando Ellen strinse esitante la mano che l’uomo le tendeva. Sperava che fosse la genialità e non la tubercolosi ad accendergli in quel modo le guance e lo sguardo.

Una donna con i sopraccigli tracciati senza cura e i capelli crespi e ingovernabili fu descritta dalla zia come «straordinariamente sensibile nelle questioni spirituali; ha perfino previsto il giorno in cui Cristo ritornerà».

«Oh. E quando sarebbe?» chiese Ellen, incuriosita.

«Mia cara» disse la donna con voce roca, appoggiando la mano riccamente inanellata sopra quella di Ellen, «se andassi in giro a raccontarlo potrebbe scoppiare il caos, non credi?»

«Suppongo che abbia ragione.»

Ellen immaginò che fosse lei a evocare lo spirito di zio Gustav.

Fu poi presentata a un pastore di una piccola pieve di campagna – che però sembrava non sapere nulla del ritorno di Cristo – e a un uomo d’affari. «Assolutamente onesto e probo, a differenza di molti altri» lo definì la zia.

«Che piacere vedere una giovane così affascinante qui» disse l’uomo onesto, e sorrise. «È membro anche lei del...»

«No, no» lo interruppe zia Ida, tormentando nervosamente la sua collana di perle. «Ellen abita qui con me. Non partecipa all’incontro di questa sera.»

«Ah» fece l’uomo. «Capisco.» Tirò una boccata dal sigaro e assunse un’espressione disinteressata.

Ellen si domandò che cosa avesse voluto dire. Membro di cosa?

Quando l’ebbe presentata a tutti, la zia la condusse fuori del salotto.

«Ci sono dei tramezzini al salmone in cucina. E poi vorrai andare a dormire... Tesoro, devi essere stanchissima dopo questa lunga giornata di lavoro. Non è giusto far fare alla gente gli straordinari in questo modo.»

«Ha ha!» rise amaramente Tora dal suo sgabello.

Ellen mangiò in piedi davanti al bancone di marmo della cucina. Stava per infilarsi in bocca l’ultimo rametto di aneto, quando suonarono alla porta.

Tora balzò di nuovo giù dallo sgabello, si sistemò la cuffietta e andò ad aprire. Subito dopo Ellen udì il grido deliziato della zia e la voce di un uomo che parlava in tedesco.

«Herzlich willkommen, Herr Weyland!» cinguettò zia Ida in falsetto.

L’uomo disse qualche parola di scuse per il ritardo, e la zia rispose che in Svezia purtroppo i treni non erano puntuali come in Germania. Il suo tedesco era buono. Ellen sapeva che il suo defunto marito aveva fatto affari in Germania e che per un certo periodo vi avevano anche vissuto.

Tora preparò un vassoio con sandwich e tè. Andò in salotto, ma ritornò subito in cucina.

«Il tedesco non vuole niente» borbottò. «Sembra avere la bocca piena di mentine. Bene, allora me ne vado a dormire.»

Si levò il grembiule e la cuffia e scomparve nella sua stanza.

Ellen si pulì le mani con un tovagliolo e si preparò a fare altrettanto, ma una volta nel corridoio si bloccò. Di solito, il drappeggio di velluto nel vano di comunicazione con il soggiorno era tirato in parte da un cordone di seta con una nappa e fissato a uno degli stipiti. Ma adesso il cordone era sciolto e il drappeggio chiuso con cura. Questo suscitò la curiosità di Ellen.

Dal salotto sentì pronunciare il nome di Einstein. Zia Ida si stava forse interessando di fisica? Ellen non l’avrebbe mai immaginato. Si avvicinò alla tenda e sbirciò attraverso una fessura.

Zia Ida era in piedi insieme al tedesco davanti al semicerchio di sedie e poltrone. Era lei a parlare ed Ellen, che alla scuola femminile aveva il massimo dei voti in tedesco, non aveva difficoltà a capire. La zia stava raccontando qualcosa che aveva letto su un giornale di Stoccolma.

«... Un chimico tedesco di nome Paul Weyland è in visita nella nostra capitale, allo scopo di cercare finanziatori svedesi per il suo ultimo ritrovato. Un insetticida, non è così, signor Weyland?»

L’ospite tedesco rispose in modo vago, schioccando la lingua. Aveva davvero la bocca piena di mentine come aveva detto Tora.

«E allora mi sono domandata» continuò la zia con un gesto teatrale rivolto al pubblico, «può essere lo stesso Paul Weyland che tre anni fa organizzò una campagna in grande stile contro Einstein? Dall’articolo si poteva dedurre in quale albergo alloggiasse, e mi sono presa la libertà di inviargli un telegramma. Siamo dunque venuti in contatto, ed è risultato che era proprio quel Paul Weyland che avevo ammirato così profondamente per il suo coraggio e la sua fermezza.

«Con enorme piacere ho potuto constatare che l’opinione del signor Weyland su Einstein non era cambiata, anzi si era semmai consolidata. Egli condivide in toto la nostra preoccupazione riguardo alla scandalosa decisione del comitato di assegnare il Nobel per la Fisica ad Einstein.»

«Ma non per la teoria della relatività» gridò qualcuno. Ellen riconobbe la voce dello scienziato «enormemente dotato».

«Esatto» continuò la zia. «E io so che alcuni di voi hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per indurre il comitato a ricredersi. Ora, però, come ben sapete, fra tre settimane Einstein verrà qui a Göteborg per tenere il suo discorso per il conferimento del premio. Non appena questa formalità sarà sbrigata, gli verrà versata la somma corrispondente. E poi la gente comincerà a dire che ha ottenuto il Nobel per la teoria della relatività, giacché noi profani non siamo in grado di separare questo genere di cose. Quella teoria giudaica si diffonderà come una pestilenza, minando la visione cristiana del mondo. C’è qualcosa che possiamo fare? Possiamo impedire che ciò accada? È per discutere tale questione che il signor Weyland ci ha fatto la gentilezza di essere qui con noi questa sera.»

Un applauso caloroso diede il benvenuto all’ospite, che prese la parola. Tutti ascoltavano concentrati. Il pastore si era affrettato a cambiare posto, sedendosi fra la visionaria e un uomo più anziano che sembrava far loro da interprete.

«Cari amici, l’ora è tarda. Cercherò di essere il più conciso possibile e andare subito al punto» disse Paul Weyland, che ora sembrava aver succhiato tutte le sue mentine e parlava in modo chiaro e perfettamente intelligibile. «La teoria della relatività non ha alcun significato per la scienza, è un’astrazione matematica che solo pochissime persone al mondo sono in grado di capire. No, il successo della teoria dipende da Einstein stesso. È per questo che lui non permette a nessun altro di parlarne, ma va in giro per il mondo facendosi fotografare e acclamare sulla stampa come una star del cinema.»

Dal pubblico si udirono risate e sospiri.

«La sua teoria è facile da confutare» disse Weyland, «è stato fatto centinaia di volte, e morirebbe di morte naturale nel giro di qualche mese se non fosse per il circo che Einstein ha messo in piedi. Tutto il successo sta nella sua personalità, che senza dubbio è eccezionale, come può testimoniare chiunque abbia avuto modo di conoscerlo. Si dice che quell’uomo irradi fascino e calore, o addirittura bontà. Personalmente credo che si tratti di ipnosi.»

«Esatto! È quello che ho sempre detto anch’io!» gridò la visionaria.

«Le argomentazioni scientifiche sono dunque del tutto inutili» constatò Weyland. «Il problema è l’individuo Einstein. Sparito lui, sparisce anche il problema.»

Fece una pausa, lo sguardo puntato sul pavimento, mentre si spostava a sinistra di qualche passo, come per lasciare che il pubblico interiorizzasse con calma il suo messaggio. Quando riprese a parlare era uscito dal campo visivo di Ellen.

«La signora Hornberg mi ha parlato dell’organizzazione di cui siete membri. Poiché mi trovo fra amici, mi concederò di essere franco.»

Adesso nel soggiorno il silenzio era perfetto. Abbassando la voce, Weyland continuò:

«Sono in contatto con persone a Berlino che da tempo vorrebbero vedere Einstein ‘fuori gioco’, e che hanno le risorse per farlo. Einstein però è sempre rimasto nascosto. La maggior parte del tempo è all’estero, e quando si trova a Berlino fa in modo di avere sempre gente intorno a sé. È molto vigile. Ma qui a Göteborg la situazione è diversa. Mi è parso di capire che l’atmosfera nel vostro paese sia più rilassata che in Germania. Personaggi importanti girano tranquillamente per le strade; a Stoccolma ho visto perfino il re passeggiare come un cittadino qualsiasi, senza guardie del corpo o poliziotti al seguito. A differenza del popolo tedesco, voi non siete appena usciti da una guerra, perciò siete – com’è ovvio – un po’ sprovveduti riguardo alle questioni relative alla sicurezza. Anche Einstein ha nella sua personalità un tratto di innocenza infantile. Molti di coloro che gli sono vicini lo affermano, e si dice che ciò sia parte del suo fascino. Sebbene le circostanze l’abbiano reso prudente nella sua città, nei paesi scandinavi si crede al sicuro».

Paul Weyland fece un’altra pausa, si spostò lungo il tappeto e si fermò proprio davanti alla fessura del drappeggio: Ellen vedeva la sua schiena e i suoi capelli pettinati con cura. Cercò di rimanere più immobile che poteva, mentre l’uomo continuava: «So che verrà qui da solo. So anche quale tragitto farà, i suoi orari, dove alloggerà a Copenaghen e a Göteborg, e quale sarà la sua tabella di marcia».

«Lei è veramente ben informato» intervenne zia Ida impressionata.

«E credo di poter promettere che Einstein non terrà alcun discorso per il Nobel all’Esposizione per il tricentenario di Göteborg.»

Ellen spostò il peso sull’altro piede, e un listone del pavimento scricchiolò. Weyland si girò verso il tendaggio. La ragazza trattenne il respiro. Per la prima volta lo vedeva di fronte: aveva uno sguardo intenso sotto i folti sopraccigli scuri, sembrava che fosse in grado di vedere attraverso il pesante tessuto.

«L’ultima cosa andrebbe spiegata un po’ meglio» gridò l’uomo d’affari.

Weyland si volse di nuovo verso il pubblico.

«Ho la massima fiducia in voi, cari amici, ma più di così non posso dire. Meno conoscete dei miei piani, meglio è. A Berlino ci sono molte persone che sanno il fatto loro, quando si tratta di problemi di questo genere. Professionisti. Basta organizzarsi nel modo giusto. Vi prego, amici miei, di credermi sulla parola. Presto Einstein e la sua relatività saranno dimenticati come la moda dell’anno passato, e gli scienziati seri torneranno a essere apprezzati secondo i meriti.»

Tacque, e come se fosse stato anch’esso parte di una messa in scena perfetta, il campanile della Vasakyrkan batté la mezzanotte. Weyland colse al volo l’occasione; un finale più a effetto difficilmente sarebbe stato possibile. Mentre l’ultimo colpo stava ancora vibrando nell’aria, fece un inchino e si congedò dal suo pubblico. Sembrava aver fretta di andarsene: si limitò a commentare con un cenno della testa il pomposo discorso di ringraziamento di zia Ida e la pregò di chiamargli una vettura.

Le domande rimaste senza risposta ronzavano ancora dall’interno del salotto, quando attraverso le doppie porte Weyland comparve nell’ingresso. Ellen si infilò nel corridoio buio. Il tedesco si mise cappello e soprabito e scomparve verso il taxi in attesa.

In camera Ellen si lasciò cadere sul letto. Le parole che aveva sentito l’avevano sconvolta. Una minaccia contro Einstein! Che articolo sarebbe potuto diventare!

Ma si rendeva conto che la faccenda era ovviamente più grave. Era una questione di competenza della polizia. Doveva denunciare quanto aveva appena scoperto: ma l’avrebbero presa sul serio?

Un poliziotto in effetti lo conosceva, si ricordò all’improvviso. Nils Gunnarsson, il gentilissimo agente dalle orecchie grandi e gli occhi celesti che l’aveva accompagnata fino al portone. Lui l’avrebbe ascoltata, no?