Nils

23-24 giugno 1923

 

Al primo piano della stazione di polizia, Nils stava trascrivendo la testimonianza di Ellen. Usava l’indice della mano sinistra; la punta del dito gironzolava sopra i tasti come un bombo in cerca di un fiore, prima di posarsi sulla lettera giusta. Quando finalmente ebbe terminato, andò dal commissario Nordfeldt.

«Ah, sì, Weyland» disse questi in tono asciutto.

Diede una scorsa al rapporto di Nils e poi continuò: «Abbiamo già ricevuto altre segnalazioni su di lui. Quell’individuo è capace di fregare sia professori sia accorti uomini d’affari. Si muove in tutta Europa e ha ottenuto con l’inganno contributi di ricerca per progetti inesistenti e capitali d’investimento per invenzioni fasulle, eclissandosi senza pagare conti di alberghi e ristoranti. E via dicendo».

«Devo rintracciarlo?» chiese Nils.

Nordfeldt si strinse nelle spalle.

«Aspetti finché non arriva una denuncia per qualche conto d’albergo non pagato. Anche se a quel punto avrà già lasciato il paese, suppongo.»

«E la testimonianza della signorina Grönblad?»

«Mah.» Nordfeldt si grattò la nuca. «Non era la ragazzina che correva per il porto a caccia di interviste nel bel mezzo dello sciopero, sventolando il suo taccuino davanti agli agenti schierati? Sembra avere un debole per le situazioni drammatiche. E adesso» Nordfeldt s’interruppe e diede un’occhiata al rapporto prima di continuare «sarebbe rimasta nascosta dietro una tenda ad ascoltare un uomo che parlava in una lingua straniera. La prenderei cum grano salis, Gunnarsson. Weyland è un imbroglione di prima categoria, ma non è un cospiratore, né un assassino. Bisogna distinguere fra criminali e criminali.»

Nils pensò che anche Hamilton era un imbroglione. E ciò non gli aveva impedito di diventare un assassino.

Annuì e lasciò l’ufficio del commissario.

 

 

L’indomani era domenica, e Nils aveva la giornata libera. La dedicò al lavoro di polizia. Il commissario Nordfeldt gli aveva detto di non sprecare energie dietro a Weyland; la comunicazione sul foglio informativo era solo un avvertimento, non un avviso di ricerca.

Ma Nordfeldt non gliel’aveva espressamente proibito, e a che cosa Nils dedicasse le proprie energie nel tempo libero era affar suo.

Prese la bicicletta e andò nella zona dove si concentravano gli alberghi, vicino alla stazione. Pioveva. Nils non ricordava un solo giorno senza pioggia negli ultimi due mesi. Nei canali l’acqua arrivava quasi al bordo della banchina; quando passavano le chiatte del legname tracimava sulla strada, brunastra e piena di sporcizia.

Girò negli alberghi, mostrando il suo distintivo alle reception e chiedendo se ci fosse qualche signor Weyland, o Schütz, o Müller o Becker fra i loro ospiti.

Era un puro e semplice azzardo. Weyland poteva benissimo trovarsi in una delle cinquemila stanze private di cui il servizio alloggi dell’Esposizione disponeva, ma Nils aveva la sensazione che preferisse l’albergo.

All’Hotel Royal c’era un signor Schütz. Risultò essere un anziano signore di Francoforte, che partecipava a un congresso di tipografi. Il portiere lo indicò con discrezione a Nils; l’uomo era seduto nella sala da pranzo dell’albergo e stava consumando una zuppa con il tovagliolo annodato intorno al collo come un bavaglino. Nils scosse la testa, ringraziò e proseguì il suo giro.

Non trovò nessun Weyland in nessuno degli alberghi. E nemmeno Becker. Però trovò due Müller.

Uno alloggiava in un alberghetto la cui facciata modesta e posizione defilata destarono l’interesse di Nils. Aveva appena ricevuto la risposta positiva del portiere, quando il signor Müller comparve: un danese paffuto, alquanto loquace e non del tutto sobrio, presidente dell’Unione Scandinava di Avicoltura, che teneva la sua assemblea annuale in concomitanza con la fiera dell’Agricoltura. Quando finalmente riuscì ad andarsene, Nils sapeva tutto delle varie razze di galline, di quante uova deponevano, della loro cura e delle loro malattie, ma ancora niente su dove si trovasse Paul Weyland.

L’altro signor Müller era registrato al Grand Hotel Haglund, che Nils aveva lasciato per ultimo poiché risultava inadatto per chi volesse nascondersi – alla moda e con molto personale, un ristorante ben frequentato al primo piano e un traffico vivace davanti all’entrata.

Appoggiò la bicicletta contro un lampione, tolse le graffe dai calzoni e le infilò nella tasca del soprabito mentre si avvicinava alle doppie porte di vetro.

Il portiere studiò attentamente il distintivo di Nils. Quando alla fine lo giudicò autentico, lo restituì con gli angoli della bocca piegati all’ingiù, come se gli ispirasse disgusto anziché rispetto. Controvoglia, prese il registro degli ospiti e cercò nella lista dei nomi. Sì, un signor Müller effettivamente c’era. Domicilio: Berlino.

«E si trova per caso in camera, in questo momento?» chiese Nils.

Dalla falda del suo cappello l’acqua gocciolava sul bancone.

«Credo di no» rispose il portiere e si voltò verso il quadro dove le chiavi delle stanze erano appese sotto targhette d’ottone numerate. «Purtroppo no. Al momento il signor Müller è fuori, a quanto pare.»

«Per caso conservate il suo passaporto?»

Il portiere guardò Nils come se stesse decidendo se fosse insolente, ritardato o solo totalmente ignaro delle routine in un hotel di lusso.

«Certo» rispose. «Tutti gli ospiti stranieri devono lasciare qui il passaporto finché il conto non è stato saldato.»

«Posso dargli un’occhiata?» domandò Nils.

L’uomo valutò la richiesta e alla fine tirò fuori il passaporto del signor Müller. La foto era la stessa dell’avviso comparso fra le comunicazioni della polizia.

«Grazie di essersi preso il disturbo» disse Nils. «Sia gentile e non dica nulla della mia visita al signor Müller. Ho intenzione di fermarmi un momento ad aspettarlo.»

Senza rispondere, il portiere indicò la hall dell’albergo, arredata con poltroncine di vimini e alti esemplari di palma.

Nils appese il soprabito bagnato allo schienale di una poltroncina, appoggiò il cappello sul piccolo tavolo rotondo e si accomodò. Intorno a lui erano seduti ospiti benvestiti che bevevano tè o caffè discorrendo sottovoce. Il tintinnio delle tazze echeggiava nel locale rivestito di marmo.

Diede una scorsa ai quotidiani a disposizione della clientela. Da sopra il bordo del giornale osservava ogni persona che attraversava la hall; riconobbe un’attrice, un parlamentare e diversi membri dell’Unione degli Armatori che salivano le scale del ristorante. Ma di Weyland neanche l’ombra.

Restò lì diverse ore, finché il portiere non staccò e fu sostituito dal collega di notte. Erano le undici di sera. Nils s’infilò soprabito e cappello, ormai asciutti, e tornò a casa in bicicletta.