SEGNI NEL CIELO
Tenete d’occhio il velivolo Läkerol! Domenica pomeriggio passerà sopra Göteborg alla velocità di 200 chilometri orari. Farà alcuni giri nel blu e scomparirà velocemente com’è arrivato, per cui vigilate! Lascerà dietro di sé anche una sorta di nuvola gassosa che, grazie alle acrobazie del velivolo, comporrà la parola «Läkerol» nel cielo.
Göteborgs-Posten
«Gin» spiegò Vendela allungando a Ellen un bicchiere da cocktail con un liquido di colore rosato.
Vendela prediligeva le bevande di colori insoliti – gin rosa, liquore alla banana giallo o chartreuse verde brillante –, tutti regali del suo generoso amico del momento.
Negli ultimi tempi Ellen aveva preso l’abitudine di passare da Vendela dopo il lavoro per un drink, prima di salire nel cupo appartamento della zia. Le piaceva scalciare via le scarpe, raggomitolarsi sul divano in mezzo ai cuscini orientali e sentire come il drink e la musica jazz la facessero rilassare dopo una frenetica giornata di lavoro.
Per Vendela, che di solito si alzava all’una del pomeriggio, quello era invece il momento in cui caricava le batterie in vista della serata: balli, cene al ristorante e feste notturne in appartamenti e ville lussuosi. A volte il suo amico veniva a prenderla con la Buick decappottabile color verde bottiglia, ma più spesso si avviava da sola, determinata a divorare ogni divertimento in cui le fosse capitato d’imbattersi.
Il telefono squillò, e Vendela si allungò verso il ricevitore. Era l’unica persona che Ellen conoscesse ad avere il telefono su un tavolino accanto al bracciolo del divano. Aveva fatto tirare un lungo filo dall’ingresso, in modo da non doversi alzare per rispondere. L’idea le era venuta guardando un film con Mary Pickford. Dopo un po’ di lagnanze, battibecchi, risate e baci con schiocchi sonori, mise giù.
«Era Puffie» disse.
Ellen l’aveva immaginato. Puffie era l’amico di Vendela. Una volta Ellen l’aveva chiamato senza pensarci «il tuo fidanzato», ed era stata subito corretta. Puffie «purtroppo» non era il fidanzato di Vendela. Ma «ecco, un amico, possiamo dire».
Ellen aveva capito ben presto che Puffie era sposato. In realtà si chiamava Rutger Ekborg e viveva con la moglie in una grande villa a Langedrag. Era lui a pagare l’affitto dell’appartamento di Vendela.
«È ricco in una maniera indecente» aveva detto l’amica.
«Che cosa fa?» non aveva potuto fare a meno di chiedere Ellen.
«Si occupa di affari. Azioni. Investimenti. Quel genere di cose» aveva risposto Vendela con un gesto di noncuranza.
Puffie aveva telefonato per dirle che aveva la serata libera e che voleva andare alla Rotonda a ballare con lei. Si sarebbero incontrati davanti all’ingresso di lì a un’ora.
«Mah, vedremo se poi viene davvero» disse Vendela.
Ormai era abituata. Puffie si faceva sempre vivo con scarso preavviso quando «poteva allontanarsi». Poi succedeva spesso che «s’intromettesse qualcosa»: una questione d’affari urgente o un problema con la moglie. La strategia di Vendela era di essere sempre benvestita, truccata e pronta e, nel caso lui non arrivasse, fare spallucce e divertirsi per conto suo.
«Non sono mica una sua proprietà, o sbaglio?» amava ripetere con un leggero tono di sfida.
No, lui ti prende solamente a noleggio, pensava Ellen.
«Potresti venire anche tu» propose Vendela. «Così avrei compagnia se lui dovesse darmi buca.»
«Devo prima chiedere a zia Ida» disse Ellen. «Ma di sicuro non ci saranno problemi.»
La verità era che la zia le lasciava ampie libertà. Era troppo presa da se stessa per curarsi di cosa facesse Ellen e pareva non accorgersi che la nipote puzzava di alcol dopo essere stata nell’appartamento di Vendela, probabilmente per il semplice motivo che è difficile cogliere gli stessi odori che si emanano. Ellen aveva scoperto che la zia si versava volentieri un bicchiere di porto dalla bottiglia che c’era nella vetrinetta.
Quando salì in casa la trovò nel soggiorno, occupata a sistemare un mazzo di garofani accanto al ritratto di Gustav.
«Devo lavorare all’Esposizione, stasera» disse Ellen. «Un servizio su una festa, per cui dovrò vestirmi elegante. È possibile che faccia tardi.»
«Certo» disse la zia in tono distratto e aggiunse mentre osservava il proprio operato: «Ho visto un aeroplano, oggi. Disegnava lettere di fumo nel cielo».
«Sì, non era meraviglioso?» disse Ellen. «Quasi soprannaturale. Spero di riuscire a intervistare uno dei piloti.»
«E che cosa scriveva?» continuò la zia in tono acido, voltandosi verso Ellen. «Quale messaggio aveva quella scritta celeste per il genere umano? Läkerol! Una pasticca per la gola!» Increspò le labbra con tanta foga da far muovere il naso. «Se io avessi avuto il cielo di Dio per lavagna e le sue nuvole per gessetti, avrei scritto qualcosa di più adeguato. Un versetto della Bibbia. Oppure – se quello fosse stato troppo lungo – semplicemente: Gesù.»
«Salve, pollastrelle!» esclamò Puffie quando, con molto ritardo, comparve dalla folla brulicante fuori del ristorante Centrale.
Era la prima volta che Ellen vedeva da vicino l’amico di Vendela. In precedenza l’aveva intravisto dalla grata dell’ascensore mentre si infilava nel suo appartamento, oppure dalla finestra quando si fermava davanti al portone con la decappottabile e, suonando il clacson con impazienza, annunciava il proprio arrivo. Indossava una giacca a doppio petto color avorio e aveva così tanta brillantina nei capelli pettinati all’indietro che a Ellen ricordò l’immagine di una foca appena emersa dal mare.
«Oh, Puffie. Che bello vederti» tubò Vendela.
«E tu sei assolutamente deliziosa, Melody» replicò lui.
I due ridicoli soprannomi misero Ellen in imbarazzo; fra loro aleggiava un’intimità da camera da letto.
«È un bene che tu abbia portato un’amica» disse l’uomo quando Ellen gli fu presentata. «Magari potete andare alla Rotonda a scaldare la pista da ballo per me, io devo prima fare un salto al ristorante Centrale per cenare con un conoscente.»
«Senza di me?» disse Vendela in tono piagnucoloso.
«Tesoro, è una cena d’affari. Ti annoieresti a morte.»
«Non ne sono così sicura. Chi devi incontrare?»
«Un chimico tedesco. Ha messo a punto un insetticida fenomenale che ha prodotto in piccola scala. È qui in cerca di finanziatori per avviare una produzione industriale. Al suo paese sono un po’ in ristrettezze, al momento.»
«Un insetticida? Sarà di sicuro un successo. Io detesto gli insetti» disse Vendela. «Le zanzare sono fastidiosissime.»
«Non si tratta di zanzare, tesoro. Qui stiamo parlando di problemi molto più grandi. Ci sono bestioline che distruggono i raccolti ai contadini, causando danni per milioni di corone. Questo chimico presenterà la sua invenzione alla fiera dell’Agricoltura martedì. Ci siamo incontrati per pura combinazione all’Esposizione dell’Automobile, abbiamo scambiato quattro chiacchiere su una carretta e poi lui ha parlato di questa faccenda. Succedono così tante cose in agricoltura al momento, bisogna tenersi aggiornati. È un mercato enorme; tutto il mondo, in pratica. Perciò è un incontro importante per me, Melody, può avere degli sviluppi grandiosi. Va’ a divertirti con la tua amica, arrivo appena avremo finito.»
Lanciando baci con gesto galante, Puffie sparì a sinistra nell’ingresso del ristorante, e Vendela entrò con Ellen a destra nel locale da ballo.
Ellen ormai si sentiva di casa alla Rotonda. C’era stata diverse volte insieme a Vendela quell’estate, vestita e truccata come una perfetta flapper. Ogni tanto aveva incontrato suo fratello Axel, che aveva mantenuto la promessa e non aveva mai detto nulla ai loro genitori.
La presenza del sovrintendente Gunnarsson sembrava invece essere stata un caso isolato. Ellen aveva cercato invano con gli occhi la sua testa bionda sulla pista da ballo.
Non aveva più visto nemmeno Göte Fricksén nel locale, grazie al cielo. Le bastava vederlo di giorno, che si aggirava intorno alla sua scrivania come un cane affamato.
Vendela sembrava di cattivo umore. Quando Ellen si sedette accanto a lei dopo un ballo, stava fumando una sigaretta con gesti irritati e impazienti.
«Solo campagnoli, questa sera» sbuffò con un cenno sprezzante della testa verso la pista. «Mi è toccato ballare con un magnifico esemplare di cafone che veniva da Vårgårda. Quando siamo passati davanti all’orchestra, si è fermato e ha urlato: ‘Sapete suonare il Valzer del Cuculo?’ Il nero al sassofono è scoppiato a ridere. Dio quanto mi sono vergognata. Dov’è finito Puffie? Ormai sarà più di un’ora che siamo qui, o no? Credi che si sia scordato di me?» Spense rabbiosamente la sigaretta nel posacenere e si alzò. «Vieni, andiamo al ristorante. Non può trattarmi così.»
«Buonasera. Le signore hanno riservato un tavolo?» domandò il maître in frac che si era materializzato accanto a Ellen e Vendela non appena avevano messo piede nel ristorante.
Senza una parola, Vendela lo spinse da parte e avanzò a passi decisi. Nel mezzo della sala si fermò e si guardò intorno. Poi vide Puffie e il suo ospite in un angolo e si diresse determinata verso il loro tavolo. Ellen la seguì titubante.
«Oh, tesoro, credevo che ti fossi dimenticato di me» disse Vendela in tono lamentoso.
«Tutto a posto?» chiese il maître accorso con espressione inquieta.
«Ma certo» rispose Puffie sorridendo. «Le signore sono mie buone amiche. Accomodatevi, ragazze, gradite qualcosa da bere?»
Lui doveva aver già bevuto parecchio, notò Ellen; era rubizzo e gli luccicavano gli occhi.
«Champagne, forse? Dello champagne per le signore!» esclamò Puffie prima che avessero il tempo di rispondere e gesticolò con la mano verso il maître, che a sua volta chiamò un cameriere.
Vendela si sedette di fianco a Puffie ed Ellen prese posto dall’altra parte del tavolo, vicino al suo conoscente d’affari.
«Posso presentarvi il signor Müller?» disse Puffie. «Abbiamo appena concluso un magnifico affare. È tedesco, per cui non capisce una parola di quello che dici, tesoro, ma puoi senz’altro continuare a sorridergli, in modo che abbia qualcosa di bello da guardare.»
Puffie presentò Vendela in tedesco. Ellen dovette presentarsi da sola, poiché Puffie si era dimenticato il suo nome. Quando con la mano tesa si volse verso l’uomo che le era seduto accanto, lo riconobbe. Era Paul Weyland.
Lui le prese la mano e la tenne nella sua mentre la fissava negli occhi pronunciando qualche frase di cortesia in tedesco. Aumentò la stretta mentre continuava a inchiodarla con lo sguardo; Ellen si costrinse a ricordare che lui non era riuscito a vederla dietro il drappeggio a casa della zia, e che a riconoscerlo era solo lei.
Lo champagne era appena arrivato sul tavolo, quando Puffie si rese conto che lui e il signor Müller non avevano ancora preso il dessert. Ordinò torta Sacher e cognac per sé e per Müller, e torta Sacher e liquore alla prugna per Vendela. Ellen non voleva niente.
Puffie continuava a parlare in tedesco per cortesia nei confronti del signor Müller. Vendela, che non capiva un’acca, finì per essere esclusa dalla conversazione, una situazione insolita per lei. Mangiò la sua fetta di torta in un silenzio scontento.
Ellen non aveva problemi linguistici, ma aveva la bocca secca per l’agitazione.
«Ha visto qualcosa d’interessante all’Esposizione, signor Müller?» disse cercando di fare due chiacchiere.
«Non ho ancora fatto in tempo a vedere granché, ma i Padiglioni di Scienze e Tecnologie mi interessano molto» rispose l’uomo. «Terrò una conferenza alla fiera dell’Agricoltura sugli insetti dannosi.»
«Sì, mi è parso di capire che sia il suo ramo.» Ellen sorrise cortesemente.
«È un vero esperto!» fece notare Puffie.
«Sono dottore in Zoologia applicata» spiegò il signor Müller con semplicità, pulendosi le labbra con il tovagliolo di lino.
Puffie restò a bocca aperta e spalancò gli occhi.
«Due dottorati!» Batté la palma della mano sul tavolo, facendo tintinnare piattini e bicchieri. «E io la chiamo semplicemente ‘signore’! Lei è il dottor dottor Müller, per la miseria! Ha ha!» gridò Puffie, ormai decisamente sbronzo.
Il signor Müller fece un sorriso pacato e si rivolse a Ellen.
«È interessata agli insetti nocivi, signorina Grönblad?»
Ellen ebbe un fremito nel sentirgli pronunciare il suo nome, non credeva che se lo ricordasse.
«Non proprio» mormorò.
«Dovrebbe esserlo» disse il signor Müller molto serio. «Ma la maggior parte delle persone, perfino gli agricoltori, se ne disinteressa altamente. Si parla di migliori sementi, miglior concime, migliori macchinari agricoli, e di certo queste cose possono contribuire ad avere raccolti più abbondanti, ma a che serve» si chinò più vicino a Ellen, la fissò con sguardo intenso e luminoso e proseguì «se il grano alto e dorato nasconde piccoli animali dannosi, quasi invisibili? Esistono parassiti che rodono in silenzio, signorina Grönblad. Bisogna trovarli. E sterminarli.»
«Hai sentito, Melody? Il dottor Müller sa di cosa parla» esclamò Puffie e diede a Vendela una gomitata sul braccio.
Lei annuì annoiata e si sventolò con il tovagliolo, lo sguardo fisso sulla sala. Puffie fece un cenno al cameriere, che andò a riempirgli ancora il bicchiere di cognac. Lo vuotò come se fosse acqua.
Il signor Müller continuò a parlare della sua missione contro gli insetti dannosi e la voce, prima sommessa e controllata, s’infervorò sempre di più. Raccontò che di recente, con l’aiuto di «una donazione in dollari di provenienza tedesco-americana», aveva lanciato un periodico sulla materia. In Germania era stato un successo, e ora aveva in programma di fondare una serie di periodici riguardanti altre aree delle scienze naturali; e forse anche una rivista di filosofia, materia per la quale nutriva un vivo interesse. Si trattava solo di allacciare contatti e trovare i capitali iniziali.
Il locale era afoso, benché le porte verso la terrazza fossero spalancate. Dall’esterno arrivava il brusio della folla, mescolato con le note dell’orchestra accanto al laghetto delle Ninfee. Ellen aveva mal di testa. C’era aria di temporale.
D’improvviso Vendela trasalì e lanciò un gridolino. Una vespa stava girando bassa sopra le loro teste.
«Resta seduta immobile, Melody, vedrai che andrà via» disse Puffie in tono tranquillo.
Ma l’insetto non se ne andò; doveva aver fiutato la sua brillantina. Si posò sulla lustra superficie grassa e poi cominciò a girare intorno in esplorazione, mentre Puffie metteva in pratica il proprio consiglio rimanendo immobile come una statua.
«Vedi» disse con espressione chiaramente sollevata, quando la vespa infine volò via. «Nessun pericolo, se si resta fermi.»
Ma la vespa continuava a ronzare sopra il loro tavolo, finché non si posò sul piatto di Vendela e prese a mangiare le briciole di torta. Vendela era così terrorizzata che tremava.
«Odio le vespe» sussurrò con il pianto in gola.
Mentre Puffie ed Ellen cercavano di tranquillizzarla, il signor Müller aveva aperto in silenzio la sua valigetta e preso un piccolo barattolo. Svitò il coperchio e con l’estremità del manico di un cucchiaino raccolse qualche granello del contenuto, molto simile a zucchero semolato. Lentamente e con estrema cautela spostò il cucchiaino fino al piatto di Vendela e ne rovesciò il carico irrisorio sopra la vespa che si aggirava fra le briciole. Tutti erano in silenzio, gli sguardi puntati sul piattino.
L’insetto restò immobile per un paio di secondi. Poi con uno scatto improvviso e inaspettato si alzò in volo producendo un forte ronzio. Vendela urlò di nuovo.
Per mezzo minuto la vespa girò insistentemente sopra il tavolo, prima come in preda a una specie di collera e poi vacillando, con brevi ronzii interrotti, come un aereo cui avessero colpito un motore. Tutti e quattro la seguivano con lo sguardo, ammaliati.
Poi l’insetto tacque di colpo e cadde a capofitto in una piega della tovaglia.
«Tot» constatò il signor Müller.
Anche Vendela capì che cosa volesse dire.
«Fantastico!» esclamò Puffie applaudendo. «Che pubblicità! Ha ha! Semplicemente magnifico, signor Müller. Si potrebbe credere che l’avesse ingaggiata lei, quella vespa.»
Il signor Müller accennò un sorriso e annunciò che per lui era arrivato il momento di andare. Chiamò un cameriere, ma Puffie lo precedette, dicendo che si sarebbe occupato lui del conto.
«Ci mancherebbe altro, dopo una simile rappresentazione» chiocciò tirando fuori il suo portafoglio rigonfio, di cui amava far mostra.
«Che uomo, eh?» disse Puffie quando lui, Vendela ed Ellen furono fuori del ristorante. «Sono felice di averlo incontrato prima della sua presentazione alla fiera dell’Agricoltura. Dopo, tutti gli investitori si getteranno su di lui. Ma io sono arrivato per primo!»
«Bravo, amore mio. Hai proprio naso per gli affari. Ma adesso andiamo a ballare» disse Vendela, prendendolo sottobraccio. «Vieni con noi, Ellen?»
«Grazie, ma credo che per stasera possa bastare» rispose Ellen. Il mal di testa le dava un sapore metallico in bocca.
Restò lì mentre gli altri due sparivano nella Rotonda. Fuori era pieno di gente in abiti leggeri. Un coro zigano navigava sull’acqua del laghetto delle Ninfee cantando malinconiche canzoni alla luce dei globi blu.
Quando Ellen si voltò, vide oltre le porte di vetro Paul Weyland nell’ingresso del ristorante. Era fermo in un angolo e stava parlando con il maître.
Ellen mise il mal di testa su un piatto della bilancia e la sua curiosità sull’altro, e risultò che la seconda pesava di più. Se fosse riuscita a pedinare Paul Weyland e a scoprire dove alloggiava... Come sarebbe rimasto impressionato il sovrintendente Gunnarsson!
Quando un gruppo di persone entrò nel ristorante, s’infilò anche lei. Si mescolò fra loro e sbirciò furtivamente in direzione di Weyland. Vide il maître indirizzarlo verso una porta prima di affrettarsi incontro alla comitiva appena arrivata.
Weyland scomparve attraverso la porta che gli era stata indicata.
Ellen aveva dato per scontato che fosse la toilette, ma quando si avvicinò vide che c’era scritto RISERVATO AL PERSONALE.
Si piazzò in un angolo, seminascosta dal bancone del guardaroba, e aspettò. L’addetto al guardaroba – un uomo attempato dallo sguardo ammiccante, piuttosto inattivo siccome nessuno portava soprabiti quella sera – domandò se stesse aspettando qualcuno.
«No. O per meglio dire, sì. Il mio amico arriverà subito» disse Ellen con un sorriso forzato.
L’uomo annuì. Negli anni aveva visto molte signore in attesa con sorrisi forzati.
Dopo quarantacinque minuti Weyland non era ancora ricomparso. Forse aveva lasciato il locale da un’altra uscita.
Ellen si arrese. Il giorno dopo sarebbe subito andata dal sovrintendente Gunnarsson.
«Ci sono altri treni, signorina» le gridò l’addetto al guardaroba per consolarla, mentre lei usciva dalle porte a vetri.