Nils

9 luglio 1923

 

La cucina del ristorante Centrale era come un’enorme giostra che girava a velocità folle.

Al centro i cuochi lavoravano alacremente ai fornelli e i loro volti grondavano sudore sotto gli alti cappelli bianchi. Gli aiutanti in cucina correvano avanti e indietro fra i banconi da lavoro e la dispensa, e attraverso le porte a vento passava un traffico ininterrotto di camerieri con vassoi e piatti.

Oltre alla grande sala da pranzo con terrazza, la cucina doveva servire La Rotonda, il roseto e qualche sera anche i due saloni delle feste. Il ritmo era frenetico, i membri del personale correvano a più non posso, si scontravano, urlavano e si riprendevano.

Nils capiva che dietro quella bolgia c’era un’organizzazione ben rodata, ma in quel preciso momento non riusciva a scorgere altro che un caos totale.

Lui si trovava ai margini della giostra. Era in piedi davanti al lungo lavello, con un grembiule di tessuto grezzo che gli arrivava ai polpacci, e strofinava un piatto dopo l’altro con l’apposita spazzola. Aveva richiesto espressamente quella mansione sia perché era l’unica che credeva di poter svolgere in maniera decente lì dentro, sia perché la postazione dei lavapiatti era vicino alla porta del roseto.

Lavava più in fretta che poteva, mentre le pile di piatti accanto a lui continuavano a crescere. Le roboanti fiamme a gas trasformavano la cucina in una sauna, e i fumi delle diverse cotture si mescolavano in un tanfo nauseabondo che gli dava il voltastomaco.

La porta a vento più vicina al roseto si spalancò. Nils si voltò e vide Ellen entrare di corsa – molto graziosa nella sua uniforme da cameriera, pensò. La ragazza si fermò accanto a lui, appoggiò alcuni piatti sporchi sopra gli altri e sussurrò: «È arrivato».

Poi sgusciò nuovamente fuori della porta.

Nils guardò da sopra la spalla il bancone su cui i cuochi mettevano i piatti destinati ai commensali.

«Ehi, tu» grugnì l’uomo al suo fianco davanti al lavello, un individuo tarchiato con il naso rosso e schiacciato. «Sei venuto qui per lavorare o per guardare le cameriere?»

Nils finse di non averlo sentito. Mentre lavava un piatto si guardò sopra la spalla in direzione della porta che dava sul roseto.

L’attimo dopo la porta si spalancò e il responsabile dei banchetti entrò frettolosamente in cucina. Batté forte le mani in aria per sovrastare il baccano e gridò: «Altro rombo per il roseto! Allez, allez!»

Il cuoco non aveva quasi fatto in tempo ad appoggiare il vassoio sul bancone, che Paul Weyland, impettito e impeccabile nel suo frac da cameriere, piombò come un falco e con gesto elegante lo afferrò al volo. Sollevò il vassoio all’altezza di una spalla sulle dita di una mano e si avviò verso la porta del roseto.

Suo malgrado Nils rimase impressionato da quella destrezza. Paul Weyland era un truffatore e un furfante, ma era difficile mettere in dubbio che il servizio professionale facesse parte del suo multiforme passato. Su quel punto aveva detto la verità. In Germania, Weyland era noto per le sue capacità organizzative. Forse aveva imparato nel campo della ristorazione?

Proprio mentre Weyland spalancava la porta a vento con la spalla, Nils lo vide infilare la mano libera nel taschino del gilet. Mollò la spazzola per i piatti, che cadde nel lavello con un tonfo, e lo seguì.

Superata la porta si bloccò. Un corridoio e una porta aperta conducevano al roseto. Il sole al tramonto filtrava all’interno e dal giardino si udivano il gorgogliare della fontana e il brusio degli ospiti.

Nils girò la testa e vide Weyland, che si era fermato in un punto in ombra del corridoio e aveva appoggiato il vassoio su una panca. Volgeva la schiena a Nils, e mosse una mano verso il taschino del gilet come per riporvi qualcosa. Con un elegante colpo d’anca sollevò il vassoio e uscì a passo brioso nel roseto.

Un cameriere di passaggio sfiorò Nils e gli piantò un gomito nel fianco.

«Che ci fa lei qui?» sibilò. Osservò con fare sprezzante il lungo grembiule bagnato di Nils. «Si è perso? La cucina è da quella parte.»

Nils mormorò qualcosa di inintelligibile e guardò verso il roseto.

«Non ha capito? Dev’essere un idiota» sbuffò il cameriere, scomparendo in cucina.

Nils rimase nel corridoio, in attesa. Il suo grembiule gocciolava. Non poteva fare nulla. Adesso doveva affidarsi a Ellen.

Dopo un momento Weyland tornò dal roseto reggendo il vassoio in alto come quando era uscito. Scivolò oltre Nils nel corridoio senza degnarlo di uno sguardo e sparì in cucina.

Nils lo seguì e vide che si fermava accanto al bidone della spazzatura e vi rovesciava tutto il cibo rimasto nel vassoio: i pregiati filetti di rombo, la purea di patate e gli champignon. Poi depose con indifferenza il vassoio vuoto sul bancone del lavello e uscì di nuovo.

Le porte a vento tornarono a spalancarsi ed ecco apparire Ellen, che reggeva un piatto con una poltiglia di cibo annegato nel vino. Era seguita a ruota dal maître, palesemente stressato, che di nuovo batté le mani richiedendo altro rombo.

Nils la raggiunse in fretta. Asciugandosi le mani nel grembiule, la condusse in un angolo tranquillo.

«Allora?» chiese sottovoce. «Com’è andata?»

La ragazza annuì, ansimando per la tensione.

«Bene. Einstein non ha avuto il tempo di mangiare nulla.»

«Fantastico, signorina Grönblad!»

Un nuovo vassoio arrivò sul bancone delle consegne. Il maître se ne occupò personalmente e lo portò fuori. Nils lo seguì con lo sguardo. Si chinò più vicino a Ellen e bisbigliò: «Weyland l’ha vista quando ha rovesciato il vino?»

Lei scosse la testa.

«No, si era già allontanato dal tavolo. Sembrava avere una gran fretta di correre via, dopo aver servito quel pesce.»

«Ha fatto un lavoro eccellente.»

«Grazie. Ma la mia carriera nella ristorazione probabilmente è finita» disse Ellen con una risata. «Svante Arrhenius era furibondo. Sarò licenziata in tronco, temo.»

«Mi dispiace, signorina Grönblad.»

Nils si guardò intorno. La grande giostra della cucina girava più veloce che mai; tutti erano concentrati sul proprio compito e nessuno sembrava far caso a loro.

«Lasci che mi occupi io di quello.»

Nils prese con cautela il piatto straripante dalle mani di Ellen e lo coprì con un canovaccio pulito.

«Ha fatto in tempo a mettere insieme un po’ di materiale per il suo articolo, allora?» le domandò.

«Una serata come cameriera al ristorante Centrale, intende?» Ellen sorrise mentre si aggiustava la cuffietta. «Sì, ma adesso ho materiale per un articolo molto più appassionante: Quando ho salvato la vita al professor Einstein

«Per quello deve aspettare» disse Nils. «Il cibo dovrà essere prima analizzato. E la serata non è ancora finita. Crede che Weyland l’abbia riconosciuta dopo ieri sera?»

Ellen scosse la testa con decisione.

«Ieri ero vestita per una serata danzante. Vendela mi aveva fatto un perfetto trucco da flapper con le palpebre ombreggiate e via dicendo, quasi non mi riconoscevo allo specchio. E Weyland non guarda gli altri, sembra totalmente concentrato sui suoi compiti.»

«Bene. Lo tenga d’occhio.»

Mentre Ellen tornava nel roseto, Nils andò con il piatto coperto verso una porta con scritto CANTINA e scese cautamente le scale. Trovò un ripostiglio quasi vuoto, appoggiò il piatto sul pavimento e tornò in cucina.

Aveva appena ripreso il suo posto al lavello, quando qualcuno lo colpì forte sulla spalla. Si voltò. Era il suo compagno di lavoro, il lavapiatti col naso schiacciato, che l’aveva colpito con la spazzola per i piatti.

«Quindi non ti accontenti di guardare, eh?» sogghignò l’uomo.

«A che cosa ti riferisci?»

«La cameriera con cui confabuli. Ti ho visto che uscivi dalla porta della cantina, poco fa. Siete stati giù insieme?»

«Devi aver visto male» disse Nils seccamente.

Sentì che stava arrossendo e la cosa lo irritò.

«Guarda che a me non la fai. Ci andate ognuno per conto proprio e poi risalite di nascosto uno alla volta. So bene come vanno queste cose. Ma non sei pagato per sedurre le cameriere mentre noialtri ci ammazziamo di lavoro.»

Nils continuò a lavare piatti in contegnoso silenzio.

Nel roseto l’atmosfera adesso era allegra e distesa, e molti ospiti avevano appeso la giacca allo schienale della sedia e si erano allentati il colletto inamidato. Albert Einstein era piegato sopra il tavolo e conversava animatamente con i suoi colleghi.

Due camerieri giravano con bottiglie di vino riempiendo i bicchieri. Il resto del personale di servizio era schierato lungo i muri dell’edificio. Ellen non riuscì a scorgere Weyland in mezzo a loro. Fece scorrere lo sguardo sugli ospiti, sui cespugli di rose e sulla fontana.

Poi andò in cucina e si guardò intorno nella folla brulicante del personale. S’inventò un’incombenza dove si lavavano le stoviglie, si chinò verso Nils e bisbigliò inquieta:

«Weyland non è più nel roseto. Non lo vedo da nessuna parte».

Nils lasciò cadere rumorosamente un mazzo di forchettine da dessert nel lavello e uscì in fretta dalla cucina, mentre l’altro lavapiatti gli gridava dietro qualcosa di indecente.

Nils raggiunse lo spogliatoio maschile. Diede un rapido sguardo intorno fra gli armadietti metallici e le panche.

«Oh, no. Di nuovo!» sospirò, accovacciandosi accanto a un mucchio di vestiti sul pavimento.

Era una divisa da cameriere – pantaloni, camicia, gilet, giacca e guanti bianchi –, abbandonata per terra alla rovescia.

Il serpente aveva cambiato pelle ancora una volta ed era sgusciato via.