Con in mano una copia fresca di stampa del Göteborgs-Posten, Nils scese al piano terra della stazione di polizia. Era giovedì, e nella sala d’aspetto del tribunale per i reati minori aleggiava il consueto tanfo di corpi non lavati, acquavite da quattro soldi e indigenza, reso ancora più penetrante dalla calura estiva.
Il detective proseguì verso destra, entrando nell’ala allungata dell’edificio che ospitava le celle di detenzione provvisoria. Lì i muri di pietra erano spessi il doppio ed entrava pochissima luce, per cui i prigionieri erano gli unici alla stazione di polizia a poter godere di un po’ di fresco in quella torrida giornata.
La guardia lo condusse a una porta, aprì il piccolo sportello e lasciò che Nils controllasse se era proprio quella la persona che cercava. Il detective annuì.
Paul Weyland sedeva accasciato sulla brandina ancorata al muro, lo sguardo fisso al pavimento. Si era tolto la giacca del pigiama e indossava una semplice maglietta. I capelli erano spettinati, come se vi avesse passato ripetutamente le dita in preda alla disperazione. Sul pavimento di pietra davanti ai suoi piedi il sole disegnava un quadrato, suddiviso in un reticolo di quadratini più piccoli proiettati dall’inferriata della finestrella. Il resto dell’angusto locale era in ombra.
Il tintinnio del mazzo di chiavi della guardia echeggiò fra le nude pareti del corridoio e la porta della cella si aprì.
Nel vedere Nils, Weyland raddrizzò subito la schiena e lo fissò con la consueta espressione altezzosa.
Senza dire nulla, Nils gli depose il giornale accanto, sulla branda. Weyland non lo toccò né lo guardò. Nils aspettava con le braccia conserte. Nessuno dei due parlava.
Poi la curiosità prese il sopravvento, e Weyland diede un’occhiata distratta alla prima pagina.
E a quel punto arrivò la reazione. Afferrò il giornale, vi si piegò sopra e nella sottile striscia di luce che entrava dalla finestrella studiò l’immagine grande e insolitamente nitida. Ritraeva Einstein su un palco davanti a un folto pubblico, con il re di Svezia in prima fila e i caratteristici finestroni del Padiglione dei Congressi sullo sfondo.
Lo sguardo di Weyland passò velocemente dall’immagine alla data sulla testata del giornale. Poi guardò Nils sospettoso, come se il poliziotto stesse cercando d’imbrogliarlo. Senza dubbio, la vista di Einstein in ottima forma sul palco era stata una sorpresa. Nils godeva della sua confusione.
Poi diede il segnale alla guardia bussando sulla porta, che venne aperta, e senza aver detto una sola parola il detective uscì. Il giornale lo lasciò a Weyland.
Il resto della giornata Nils fu occupato da un altro caso: un venditore di materiale da ufficio sospettato di frode. Era la solita vecchia storia di un giovane cui era stata affidata una somma di denaro considerevole e che, nella sua ingenuità, aveva creduto che nessuno si sarebbe accorto se ne avesse tenuta una piccola parte per sé. Nils l’aveva arrestato in una gioielleria, mentre stava per acquistare un bracciale per la sua fidanzata. Il commesso aveva avuto dei sospetti quando l’aveva visto prendere le banconote da una valigetta con l’emblema dell’azienda. Dopo qualche ora di insensato diniego, il giovane aveva confessato fra le lacrime.
Prima di tornare a casa a fine giornata, Nils telefonò a Ellen in redazione e le chiese: «Com’è stata ieri la conferenza? È andato tutto bene?» (Sapeva già che non c’erano stati problemi, poiché i due agenti sul posto gli avevano fatto rapporto. Ma la domanda era un pretesto per telefonarle.) «L’ha trovata molto noiosa?»
«Oh, no» rispose Ellen. «Al contrario.»
«Ma ha capito qualcosa di quanto ha detto Einstein?»
«Ah!» La ragazza proruppe in qualcosa a metà fra un sospiro e una risata. «Non aveva nessuna importanza che cosa dicesse, era come lo diceva. Parlava in un modo così dolce e così bello! Era come musica. E poi ha un fascino incredibile! Credo effettivamente di essermi un po’ innamorata.»
Con sua stessa irritazione, Nils provò una fitta di gelosia. Cercò di ridere; Ellen doveva aver percepito quanto suonasse forzato. Continuò animata: «E pensare che quando tutto questo sarà finito potrò scrivere di come lei e io abbiamo salvato la vita ad Einstein! Non crede che questa cosa diventerà un fiore all’occhiello per tutt’e due?»
«Purtroppo» disse Nils «non potrà scrivere di questa vicenda. Siamo stati costretti a informare il consolato tedesco che il loro compatriota è agli arresti presso di noi. Dobbiamo sempre farlo, con gli stranieri. Ci hanno chiesto discrezione: danneggeremmo soltanto Einstein, se questa storia saltasse fuori.»
«Ma al processo dovrà comunque venire a galla, no? Avete poi trovato il barattolo nel bidone della spazzatura?»
Dall’altra parte del filo ci fu silenzio per un paio di secondi.
«Pronto? È ancora lì?» alzò la voce Ellen.
«Non so di che cosa stia parlando» disse Nils.
«Del barattolo che Tora aveva trovato sotto il materasso. Ho telefonato io stessa alla polizia ieri sera. Lei era già andato a casa, per cui ho parlato con l’agente di guardia. Non volevo frugare in mezzo alla spazzatura, rischiando di sporcarmi le mani di veleno.»
«Grazie dell’informazione, signorina Grönblad. È molto preziosa per noi. Buona serata» concluse Nils velocemente e mise giù.
«Sì, è vero» rispose Nordfeldt alla domanda di Nils. «Si accomodi, Gunnarsson. Vedo che è turbato, ma è un bene che sia venuto. Avevo comunque già in mente di parlarle.»
Nils si sedette controvoglia. Nordfeldt accennò un sorriso e aprì un cassetto. Prese una piccola scatola.
«Vuole una Läkerol? Prego. Tenga pure la scatoletta.» Nordfeldt la spinse verso Nils. «Gli agenti di stanza all’Esposizione ne hanno ricevuta un’intera cassa. È in corso una grande campagna pubblicitaria, sa. Avrà certamente visto la réclame in cielo. Non ne prende?»
«No, grazie.»
«No? Io trovo che siano molto rinfrescanti.» Nordfeldt si riprese la scatoletta. L’aprì, infilò una pasticca in bocca e continuò, succhiandola rumorosamente: «Allora, l’agente di guardia ha ricevuto una chiamata dalla signorina Grönblad ieri sera, è esatto. La domestica della signora Ida Hornberg aveva trovato un barattolo con una polverina sotto il materasso di Weyland e l’aveva buttato nel bidone della spazzatura. Ho mandato lì un paio di uomini che hanno ispezionato i bidoni in cortile. Purtroppo stamattina il messaggio è passato inosservato al momento del cambio della guardia, e io ne sono venuto a conoscenza solo all’una del pomeriggio, quando qualcuno ha trovato un foglietto sul tavolo dell’agente di turno. Quando gli uomini sono arrivati sul posto, il camion della spazzatura era già passato a vuotare i bidoni, come fanno sempre il giovedì. Una vera sfortuna.»
«E il barattolo?»
Nordfeldt fece un gesto rassegnato.
«Sarà da qualche parte nella montagna di rifiuti a Skräppekärr. Possiamo solo sperare che la domestica sia una donna coscienziosa che divide per bene i rifiuti e che non abbia buttato per sbaglio il barattolo nel bidone degli scarti di cibo. Perché in tal caso i maiali che razzolano là fuori rischiano di mangiarselo.»
«Dobbiamo andare immediatamente a Skräppekärr a cercarlo!» disse Nils, alzandosi con tanta foga da rovesciare quasi la sedia. «Si tratta del materiale probatorio più importante, accidenti!»
Nordfeldt scoppiò a ridere.
«Mi sta prendendo in giro? Lo sa com’è quel posto? Trovare un ago in un pagliaio sarebbe sicuramente più facile. Inoltre questi non sono più affari nostri.»
«Non sono più affari nostri?» ripeté Nils stupefatto.
Nordfeldt si raschiò la gola e sistemò meglio alcune matite sulla scrivania.
«Si sono fatti vivi i tedeschi. Se ne occuperanno loro, adesso.»
Nils lo fissò come se non credesse alle proprie orecchie.
«Mi sta dicendo che Weyland verrà trasferito, commissario?»
Nordfeldt fece un rapido cenno affermativo.
«Verranno a prenderlo da un momento all’altro. Hanno pagato il conto dell’albergo. Il Grand Hotel Haglund ha ritirato la denuncia.»
«Ma il tentativo di avvelenamento? Il sequestro della signorina Grönblad? Il pulmino incendiato?»
Il commissario Nordfeldt annuì nuovamente – un cenno breve e veloce, a labbra serrate –, come se fosse d’accordo con l’osservazione ma non potesse commentarla.
«Ho ricevuto ordini dal capo della polizia» disse con voce sommessa. «I tedeschi subentreranno nell’inchiesta e ci contatteranno in caso di bisogno.»
«Ma chiuderanno sicuramente il caso! E quell’individuo la farà franca!» Nils era paonazzo per la collera.
Nordfeldt allargò le mani.
«Che cosa possiamo fare? Hanno presentato richiesta di estradizione, adesso sono affari loro. Noi dobbiamo concentrarci sulla sorveglianza di Einstein finché resterà a Göteborg. Una volta che sarà partito, per noi la questione sarà chiusa e potremo tornare a dedicarci ai soliti contrabbandieri di liquori e ladri di biciclette. Io non vedo l’ora.»
Nils pensò di aggiungere qualcosa, ma si morse la lingua. Annuì brevemente in un cenno di congedo e si avviò verso la porta.
«Non so cosa farà lei, Gunnarsson» gli gridò dietro Nordfeldt. «Ma io non ho intenzione di mangiare carne suina nel prossimo futuro.»
Appena fuori dalla stazione di polizia, Nils si bloccò.
In Spannmålsgatan sostava un’automobile nera tirata a lucido che non aveva mai visto prima. L’autista si era fermato proprio davanti alla stazione ed era ancora seduto al volante, in attesa del suo passeggero.
Nils si fermò all’ombra dell’edificio a osservare la vettura sconosciuta. I parafanghi laccati brillavano al sole come le ali di un gigantesco coleottero.
L’attimo dopo la porta che dava sul cortile si aprì, e Weyland fu condotto fuori da due uomini con lunghi cappotti dal taglio impeccabile. Portavano stivali neri e lucidi come l’automobile.
Anche Weyland indossava un completo elegante, ma un po’ troppo grande, che evidentemente gli era appena stato fornito, e aveva i capelli pettinati e impomatati. Aveva ancora le manette, ma il suo portamento era dritto e dignitoso.
L’autista aprì la portiera posteriore. Mentre stava per appoggiare il piede sul predellino, Weyland girò la testa e vide Nils. Si bloccò. I loro sguardi si incrociarono, e il tedesco sorrise senza scomporsi. Poi scomparve all’interno dell’abitacolo.
Dio solo sa di quali segreti sia a conoscenza o fin dove arrivino i suoi contatti, pensò Nils mentre l’automobile si avviava sul selciato e imboccava il ponte sull’Östra Hamnkanalen. Era pronto a scommettere che quelle manette sarebbero sparite molto presto.
Quando l’automobile uscì dal suo campo visivo, cacciò un urlo e picchiò il pugno con forza contro il muro dell’edificio, prima una volta, poi un’altra e un’altra ancora.
Si calmò, fece qualche respiro profondo e si guardò intorno. Fuori da una bottega più su, lungo la strada, c’era un cavallo solitario legato davanti a un carro, che lo fissava attraverso la frangia. Nessun altro era stato testimone del suo sfogo.
Prese un fazzoletto dalla tasca della giacca e lo avvolse intorno alle nocche sanguinanti. Rientrò nella stazione di polizia, e sotto l’effetto della scarica di adrenalina telefonò alla redazione del Kronan och lejonet.
La signorina Grönblad era ancora in ufficio. Si schiarì la voce e le chiese se poteva offrirle caffè e cialde al Bengtas Café quando avesse finito di lavorare.
Lei accettò. A Nils parve di cogliere una sfumatura di genuino piacere e di attesa nella sua voce.
Con un sorriso appena accennato mise giù, e sentì che la calma abituale si stava nuovamente diffondendo nel suo animo.